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Conferenza Movimento club Pannella
Partito Radicale Paolo - 27 novembre 1995
Ciechi
Per Daniela De Nuzzo.

A Daniela avevo mandato in mail queste righe. Ma ella mi ha chiesto di inserirle in conferenza. Eccole

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Daniela,

non ho voluto scrivere in pubblico, o in conferenza in agorà queste righe, come avevo annunciato lì.

E dunque ti scrivo qui qualcosa, che se vorrai potrai inserire tu nelle conferenze che vorrai. Se vorrai.

Ho detto e ripeto che ogni volta che sento le parole "cieco", o "cecità" queste non mi passano inosservate nelle orecchie e nel cervello. E' vero e me ne accorgo. Mi accade una volta al giorno. Non ci ho fatto il callo e non credo mai ci farò il callo.

Quel fastidio leggero leggero c'è anche per me, e condivido le sensazioni che ti provoca. Ma la sensazione finisce lì.

Intanto una annotazione forse, o soltanto apparentemente fuori tema, o fuori luogo. Non sono diffidente, ma ragionevolmente e semplicemente refrattario a qualunque volontà di ridurre il linguaggio al politicamente corretto, al politically correct americano. Un negro per me è un negro, come per Martin Luther King e pure per Malcolm X. Oggi sembra non esservi più un solo negro, negli USA, ché lì non hanno più che Native-American, African-American, e così via. Lì, e qui, non c'è più un cieco, ci sono i non-vedenti (come c'è chi ci vuole non-violenti, invece che nonviolenti, o Satyagrahi). Lì, e qui da noi non c'è più il cieco, il sordo, lo storpio. Non c'è più corte dei miracoli. Nemmeno l'handicappato, nemmeno. Si spezza in quattro il capello delle definizioni, delle etichette, e quindi disabile, portatore di disabilità, e financo diversamente abile.

Io sono di genere handicappato e di specie cieco. Oltre che qualche altra cosa. Cieco lo sono, ed è un fatto; come lo sei tu. Il non vederci è tutta un'altra cosa, e lo sappiamo tu e io assai meglio di chiunque. Come sa chiunque soltanto pensi un momento a cosa la vista sia. E a me piace la parole handicap: nacque quando per far correre i fantini professionisti con i dilettanti, nella stessa corsa, i professionisti dovevano tenere una mano sul cappello - hand in cap - perché altrimenti avrebbero vinto troppo facilmente. Noi siamo quelli che mettiamo la mano sul cappello, ché altrimenti siamo troppo forti...

Tu sei cieca, Daniela, ma ci vedi benissimo - ed è tanto vero che è una banalità.

Poi, certo, la violenza è cieca, si dice, uando è cieca - non sempre, o di rado, la violenza è cieca. Il vicolo cieco è quello da cui si esce con le gambe davanti.

E sono pure molti coloro che dicono che l'amore è cieco. E noi, ciechi, sappiamo che non è vero, come tanti non-ciechi. Se l'amore è cieco non è amore.

Ma una violenza cieca è cieca. Una violenza - o una non-violenza - che non vede, non riflette, non scopre, non apre contraddizioni e dialoghi, è cieca. Non vede. E' cieca. La parola rende l'idea, bene.

Un presidente della Repubblica che sembra non sentire quel che dovrebbe ascoltare, vedere quel che dovrebbe vedere e sente e vede, è sordo e cieco. In quel momento lo è.

In questo paese praticamente da sempre i mezzi di informazione che usano immagini e parole rendono sordi e ciechi gli utenti. E' un fatto.

Davanti ad un quadro sono cieco. In una sala da concerto non lo sono. Nel senso che dal momento in cui sono arrivato alla mia poltrona sono semmai avvantaggiato dal potere apprezzare meglio i suoni.

La cecità è relativa. Relativa a quel che si fa. A quel che è in ballo. E se un comportamento politico denota cecità, insensibilità, o altro, si dica che è un comportamento che discende da cecità. E sarà chiaro di che tipo di cecità si tratta.

Non voglio dire che uno che non ci vede non abbia i suoi problemi. Non solo non voglio dirlo, ma proprio non mi è possibile dirlo. Ma certo non si è sempre e comunque ciechi. Questo vale per noi, come per chi ha gli occhi che funzionano.

Quando, meno di due anni fa, uscii da un lunghissimo soggiorno in ospedale, e pr la prima volta mi trovai a svegliarmi nel mio letto, mi accorsi che per rifare un letto non servono occhi. Molte cose non si fanno con gli occhi, con la vista in senso fisico. Lo sappiamo, lo sai tu megliio di me. E quando non si usano gli occhi, essere ciechi o meno non rileva proprio.

E io credo che allo stesso modo la cecità di un vicolo, di una violenza, di un Presidente della repubblica, di una classe dirigente, di ... sia un fatto. In quei momenti, in quegli atti.

Certo, la differenza è sul punto della volontà del vedere o non vedere - potrebbe obiettarsi. Io penso invece che vedere o meno cose e persone, fatti e cambiamenti, diversità e unioni dipenda dalla volontà per tuti, pr noi ciechi come per gli altri. In grandissima parte.

In ospedale, poco dopo avere perso la vista, la prima volta fu quella bellissima persona che è mio fratello a farmi la barba. Mentre ridendo e scherzando eravamo lì a lavorare a tagliar via peli lunghi di troppi giorni a me venne in mente che una volta degli Indù integralisti entrarono di notte nell'ashram di Gandhi, e sfasciarono tutto, per sfregio e minaccia. Tra le altre cose ruppero il piccolo specchio del Mahatma, e lui disse: mi hanno rotto lo specchio: vorrà dire che imparerò a farmi la barba senza usare lo specchio.

In verità è abbastanza facile radersi senza specchio, e si impara presto. Ma mi piacque pensare e dire tra me: vorrà dire che imparerò a farmi la barba senza usare lo specchio.

Essere ciechi è tutt'altro che facile. E' anzi durissima. E spesso terribile. Ma non siamo sempre ciechi.

Daniela, Scalfaro ha una copia della Carta costituzionale in mano. Immaginatelo. Oggi a lui fa lo stesso effetto che farebbe a noi un quadro di Lorenzo Lotto. A Scalfaro occorre qualcuno che gli speighi legalità e costituzione; a noi serve qualcuno che almeno ci racconti del pittore.

 
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