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Partito Radicale Angiolo - 17 gennaio 1996
IL THE' DEL CAPPELLAIO MATTO
di Angiolo Bandinelli

("L'Opinione", 17 gennaio 1996)

Sono 26 (ventisei) i gruppi, le forze, che il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro ha invitato al Quirinale, per consultarle su come uscire dalla crisi e restituire al paese un destino, un percorso politico, nel dilemma tra governo di riforme o elezioni. Inaccettabile.

Non sappiamo chi e quali siano questi gruppi, né chi e quali i loro rappresentanti: tra tanto scempio di informazione, questa ci è stata fino ad oggi negata, e abbiamo il sospetto che di molte di queste figure non ci verrà presentata nemmeno l'immagine di rito, dopo la consultazione presidenziale. E sarà un bene, perché il Paese non potrà capire che cosa certi nomi, certi personaggi potranno aver detto di importante e valido al Presidente. C'è un assurdo in tutto questo. Siamo indietro persino rispetto al sospetto, pur forte e diffuso, di un tentativo di ritorno al sistema proporzionale. Nel sistema proporzionale le forze politiche nutrivano la legittima pretesa di rappresentare, in qualche modo, un segmento della società, interessi, ideali, incrostazioni sociologiche: qualcosa, insomma, che giustificava la loro chiamata a consulto. Ma ci rifiutiamo di credere che la gran parte delle ventisei formazioni sia qualcosa di più o di diverso di una privata associazione di figuranti cointeressati esclusivamente all

a propria sopravvivenza politica. E' insomma evidente che ci troviamo di fronte ad un artificio, l'ennesimo, posto in atto da chi ha in mano il potere istituzionale: non per consultarsi, ma per spargere altro fumo su ciò che veramente accade nel Palazzo, o si vuole che accada.

In "Alice nel Paese delle Meraviglie" c'è il Cappellaio Matto, che invita questo e quello ad una sua assurda cerimonia del thé: mentre si reca all'appuntamento un altro simpatico personaggio, il Coniglio, recita:"I'm late, I'm late, for a very important date. No time to say 'Hello', 'Goodbye'...", con quel che segue. "Ho fatto tardi, ho fatto tardi - è la traduzione - per un importante appuntamento. Non ho tempo di dire 'Salve', o 'Addio'...". Immaginiamo che ciascuno dei piccoli, e un po' loschi, personaggi invitati da Scalfaro dirà qualcosa di simile alla moglie e agli amici, uscendo di casa dopo aver indossato la camicia buona per salire al Quirinale. Che altro potrebbe dire? In nome di chi parlerà al cortese ospite? E come potrà sperare che questi prenda sul serio le sue osservazioni, i suoi consigli, le sue pretese (perché ci saranno anche queste, sicuramente)?

Si potrà obiettare che il Presidente della Repubblica non ha fatto altro che prendere atto di decisioni, di scelte che sono state già fatte proprio all'interno del Parlamento. Se così fosse, potremmo al massimo coinvolgere anche le Presidenze delle due Camere nella nostra denuncia (in base a quali regolamenti, interpretazioni, cavilli, è stato possibile che si producesse simile scempio? Per coprire, o blandire, quali interessi, per consentire quale recupero di immagine?), ma non potremmo non continuare a rivolgere la nostra domanda al Presidente Scalfaro.

Ma è certo il Presidente Scalfaro che il suo gioco possa ancora rendergli in denaro sonante quello che egli dice e invoca continuamente, e cioè la salvaguardia delle Istituzioni, del Parlamento, e non piuttosto ottenere l'effetto contrario, il deterioramento definitivo di quel che resta spendibile - ed è tanto poco - della nostra democrazia? Non pensa che Weimar è forse ormai divenuto quasi un quartiere, una periferia di Roma? Ed è proprio sicuro che l'onda di piena del disgusto non finirà per rovesciarsi, alla fine, dinanzi al portone del suo Palazzo?

E' impossibile che una persona così avvisata come il Presidente della Repubblica non si renda conto dell'effetto che il suo procedere avrà sull'opinione pubblica. Dire che questa è già allarmata per la lunghissima crisi politica è poco: ogni giorno sondaggi e rilevamenti mettono in luce la disaffezione ormai montante e dilagante ovunque nei confronti del teatrino della politica così restaurato dopo il crollo di due anni fa: altri segnali vengono dalle ultime tornate elettorali, nelle quali il tasso delle astensioni è salito oltre ogni livello di guardia. Persino i massmedia, la televisione registrano il calo dell'interesse pubblico sui suoi programmi di contenuto strettamente politico. E' ovvio il timore che le due, tre (o più) settimane che occorreranno per smaltire questa orgia di inutili chiacchiere provochino altri danni di immagine e di credibilità.

In diversa misura, i tre Presidenti esternatori - Pertini, Cossiga, Scalfaro - hanno giocato la partita della contrapposizione del Quirinale al Parlamento. Fu così con Pertini, che in una delle sue prime uscite pubbliche ostentò di aver pagato di tasca sua un viaggio più o meno privato, per mostrare al paese che le sue mani erano, già allora, pulite. Cossiga dichiarò esplicitamente di voler picconare meccanismi che ingorgavano un funzionamento leale delle strutture politiche. Scalfaro è oltre: il suo gioco, scoperto come quello di Cossiga, è di depotenziare i risultati di quel voto del 27 marzo 1994 che sancì politicamente, se non formalmente e istituzionalmente, il passaggio della Repubblica al sistema maggioritario. A questo sistema Scalfaro è contrario, fisiologicamente avverso. Ed ecco che con ogni suo gesto ed atto, a partire dal rifiuto di concedere elezioni anticipate dopo il ribaltone bossiano, egli ha cercato di revocare quella conquista, di porla in dubbio, di toglierle logni fondamento di credibil

ità prima che di praticabilità. Oggi egli consegue il suo massimo capolavoro: invitando a prendere il thé e a fare due chiacchiere ventisei fantasmi, vuole mostrare al paese come la riforma elettorale che portò bene o male a quelle elezioni era sbagliata, non è servita a nulla, ed anzi ha peggiorato le cose.

Signor Presidente, noi ci permettiamo di dubitare che il suo calcolo funzioni nella direzione che lei auspica. Noi temiamo fortemente che la sua indubbia sensibilità politica questa volta abbia fatto cilecca. Di per sé, poco male. Una sua sconfitta riguarderebbe solo lei, il suo futuro, la sua immagine. Dunque non di lei ci preoccupiamo: ma del Paese, delle sue reazioni, della possibilità di una frana collettiva che possa prodursi nel delicato rapporto che lo lega al sistema politico, ed anzi - per dirla pomposamente - alle istituzioni democratiche. Dopo tutto, forse, il passaggio al fascismo avvenne con maggiore delicatezza, con molte più giustificazioni di quelle che sono state da tempo portate e vengono ogni giorno reiterate dalle somme autorità del Paese per evitare che un simile passaggio si ripeta.

 
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