DI MARCO PANNELLASIGNOR DIRETTORE
PERCHE' DICO "NO" A MACCANICO (E AL TANDEM CON SCALFARO)
Vogliono salvare la partitocrazia, mantenendone l'impianto "perbene" dopo il grande repulisti giudiziario e la bancarotta della vecchia classe dirigente. L'incarico a Maccanico significa inequivocabilmente questo. La partitocrazia, infatti, non è semplicemente una degenerazione arraffona e ladra di un modello che ha funzionato e che ora si possa ripristinare. La partitocrazia è il regime storico del consociativismo antifascista originato dal Comitato di liberazione nazionale: è il regime dei Riccardo Lombardi, dei Lelio Basso, degli Ugo La Malfa e, ovviamente, dei Palmiro Togliatti, degli Amintore Fanfani, degli Aldo Moro (mentre Alcide De Gasperi e Luigi Einaudi, tanto celebrati, furono fatti fuori o emeritati prestissimo). Il tandem Maccanico- Scalfaro è il tentativo illusorio di salvare quella visione post-fascista e partitocratica dello Stato italiano. Già nel '61 chiamavo questo ibrido di etnie, di confessioni non laiche, di famiglie e di lobbies, il "modello libanese". Istituzioni deboli, famiglie fort
i. Fazioni armate, arbitri disarmati. E spalmata su tutto una cultura da protettorato, in cui il senso dello Stato è una funzione caricaturale. Il debito pubblico, con i suoi fantasmagorici due milioni di miliardi, è un componente strutturale e conseguenza necessaria di quel modello. Nel loro rigoroso parlamentarismo, Scalfaro e Maccanico hanno presieduto per decenni, con dignità formale e comprovata capacità, al Governo unanimistico della spesa pubblica, al trionfo del voto consociativo (dal Msi al Manifesto) per l'80% delle leggi in commissione.
I due hanno grandi qualità, si muovono con pulizia anche quando si fanno espressione di un attentato alla Costituzione. Che altro è infatti, se non una ulteriore, drammatica forzatura della Costituzione, un governo che nasce per governare la riforma delle istituzioni, esautorando il potere del Parlamento nel luogo vero in cui esso dovrebbe esercitarsi e confiscandolo a favore dei partiti? Tutti capiscono che questo esecutivo ha davanti a sè diciotto mesi di vita e anche più, ma solo e soltanto a condizione di farsi espressione del Gran Consiglio informale dei partiti e degli interessi costituiti, come già accadde durante il "caso Moro".
Il presidente incaricato è la migliore espressione di quelle che Gaetano Salvemini chiamava "le culture riunite", un impasto di protezionismo e di industrialismo all'ombra dell'alta finanza, sotto gli auspici della Fiat, delle grandi famiglie e della ricchezza consolidata, dei sindacati e dell'azione operaia e socialista. E' il partito degli insospettabili, un partito che mi mette in grande sospetto.
Mi si dice: ma l'accordo è fatto in nome del presidenzialismo... Rispondo che questo presidenzialismo improvvisato ha tutta l'aria di essere la copertura del "governo dei diciotto mesi", del governo di fine legislatura che rimanda il voto al suo termine più lontano. Il presidenzialismo copre un programma appetitoso nei veri settori di azione di un esecutivo, nell'economia e nell'ordine pubblico, nella politica estera e nella giustizia. Comunque, si tratta fino a prova contraria di un presidenzialismo che nasce sotto una stella simile a quella che battezzò la riforma elettorale di Sergio Mattarella, il Mattarellum. Il referendum voleva un turno unico e il maggioritario secco, come nell'Inghilterra del bipartitismo. Invece il Gran Consiglio parlamentare dei maggioritari finti varò una legge elettorale con recupero proporzionale e meccanismo di "scorporo", in modo tale da avere un maggioritario con 26 partiti.
Lo stesso accadrà con il presidenzialismo consociativo. I poteri del presidente saranno oggetto non già di un accordo, che non c'è, ma di un mercato, che è già cominciato. E sotto a questa discussione, all'ombra del restaurato doppio turno, riemergerà la grande voglia di restituire potere ai partiti e di domare infine questo grande processo di emancipazione che era cominciato il 18 aprile del '93.
Un presidenzialismo con venti e più partiti è l'ombrello perfetto per la crescita di un intreccio di poteri, di sottopoteri, di corporazioni e di altri veicoli chiusi di una cultura oligarchica, emergenzialista, liberale nei culti liturgici ma illiberale nella sostanza politica e nella prassi formale.
Peccato che Rifondazione e Alleanza nazionale siano risultate come paralizzate, nei loro "no" come nei loro "ni", di fronte a questo ibrido nascente. Se avessero aderito alla campagna per la messa in stato di accusa del capo dello Stato, oggi non avremmo questo dispiegato tentativo di restaurazione partitocratica, con una prospettiva di governo blindato dai grandi partiti che chiama al dovere dell'opposizione.