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Il Mulino - 1 marzo 1956
I DISCORSI DEL MESE: PER UN FRONTE REPUBBLICANO APERTO A TUTTI I DEMOCRATICI

SOMMARIO: Il gruppo de "Il Mulino" ha sempre indicato nella formazione di una "Sinistra modernamente democratica" il primo obiettivo per ottenere una "struttura dello Stato che garantisca il massimo di libertà al Paese...". Saluta, nella scissione liberale che ha dato vita al Partito radicale, un fatto che consentirà di "affrontare il terreno scoperto delle concrete scelte politiche". Così le forze democratiche si sforzano di uscire da un "equivoco centrismo", mentre "i due grandi partiti di massa" stanno perdendo di "mordente". E' possibile costituire un "movimento democratico di sinistra" capace di inserirsi nel dialogo tra i due maggiori partiti. Tuttavia, occorre guardarsi dalle facilonerie, e questo va detto proprio in riferimento al partito radicale (al quale "L'Espresso" indica come obiettivo quello di diventare non un partito "minore" ma un "grosso partito"). I radicali presumono che la società italiana debba accettare la loro verità "metastorica", e questo è un fatto "negativo". Ciò che oggi è neces

sario, invece, è promuovere un vero "fronte repubblicano" aperto a tutti i democratici. Il partito "nuovo" oggi necessario dovrà essere "una federazione ampia e articolata e decentrata...".

(IL MULINO, n. 53, Bologna - Marzo 1956)

Allorché, or sono due anni, attraverso la Relazione introduttiva al "Primo Convegno degli amici e collaboratori del Mulino", cercammo di meglio individuare i nostri interessi culturali, dando ad essi un senso e una prospettiva, scrivemmo che il problema più grave della società italiana era "quello di una sinistra modernamente democratica che bisognerà pur fare", e cioè di una iniziativa politica capace di "edificare una struttura dello Stato che garantisca il massimo di libertà al Paese dove l'iniziativa dei privati è carente, che abbia il coraggio di spezzare lo spesso strato di incrostazioni corporative che soffocano la parte più sana della nostra vita pubblica". Non potevamo dire allora, per la stessa realtà delle cose, attraverso quali operazioni politiche, quali strumenti culturali, quali tecniche organizzative sarebbe nata questa sinistra democratica: come 'gruppo di pressione', se non ci era possibile "scendere in competizione con le grandi ideologie organizzate che occupano la vita politica italiana"

, sentivamo di dover agire, proprio per evitare il fallimento, "in una prospettiva che, essendo in primo luogo di ricostruzione culturale, non ometta di impegnarsi in tutte le iniziative che concretamente si diano".

Bisognerà ora riconoscere che la situazione politica italiana rispetto a quei giorni, ancora psicologicamente vicini al 7 giugno, è profondamente mutata. Infatti l'equilibrio interno ai partiti laici, che erano l'indispensabile elemento dell'esperienza quadripartitica, si è venuto spostando nel senso di una iniziativa di sinistra: da un lato, lo stile e la coerenza con cui il Partito Repubblicano ha saputo battersi in Parlamento per la propria linea politica senza cedere al ricatto dell'unità delle forze democratiche, capace ormai solo di coprire rinuncie e compromessi; dall'altro, la costanza e la pazienza con cui gli uomini di Unità Popolare, senza proporsi miraggi o speranze elettorali, hanno organizzato nel paese quelle forze politiche già bruciate dalla lotta in funzione di una autonoma iniziativa, la quale, anche se a volte è stata confusa, contraddittoria e ambigua, ha impedito ogni abdicazione delle proprie ragioni individuali e improdittive adesioni ai grandi partiti di massa. Da ultima, la sci

ssione del Partito Liberale ha messo a nudo l'equivoco nascosto dietro l'azione dei tre partiti di democrazia laica, dimostratasi incapace di fare uscire il Paese dall'immobilismo proprio per le divergenti politiche di cui questi partiti si facevano assertori. Il costituirsi della Sinistra liberale in Partito Radicale darà a questa scissione un significato positivo nella misura in cui le permetta di uscire da quelle improduttive proteste morali - implicite nella sua lunga prassi aventiniana -, per affrontare il terreno scoperto delle concrete scelte politiche.

Se all'interno delle forze democratiche si è venuto coagulando in questi anni un nuovo equilibrio che non neutralizza e immobilizza le opposte esigenze in un equivoco centrismo, ma le convoglia in una omogenea linea di sinistra, i due grandi partiti di massa hanno in gran parte perso quel mordente e quella spinta politica che poteva giustificare la loro pretesa di porsi, di fronte all'elettorato, come i soli partiti capaci di risolvere i problemi della società italiana. La Democrazia Cristiana, dopo il Congresso di Napoli, ha mostrato ai moderati e ai riformisti quale divario ci sia fra le esigenze e i fatti, fra i programmi e le scelte politiche; e così sembra puntare, più per quieto vivere che per consapevolezza politica, verso una nuova maggioranza assoluta, nell'illusione che questa risolva i suoi problemi e, con questi, quelli della società italiana. D'altro canto, nell'ambito delle forze rivoluzionarie, il comunismo non riesce più a presentarsi come l'unica alternativa possibile alla tragedia dell

'immobilismo italiano; e questo, non certo in virtù della sinistra democratica, ma per la debolezza e incertezza della sua stessa linea politica, dedita a una saggia paternalistica conservazione della propria base e costretta a subire, da un lato, con disappunto, l'iniziativa socialista, anche nelle sue espressioni più ambigue e timide, dall'altro, il gioco politico della distensione, dato che non si può, nello stesso tempo, sorridere e fare la rivoluzione.

Questo iniziale discorso dovrebbe solo mostrare come, in questi due anni, siano aumentate le possibilità di costituire un movimento democratico di sinistra, capace di condizionare attivamente la lotta politica e di essere presente in quel dialogo fra Partito Comunista e Democrazia Cristiana, nel quale per tanti anni, si è riassunta la situazione italiana. E questo è un fatto assai confortante, specie per chi ha avvertito tutta l'irrazionalità e la patologia di queste situazioni, quanto di velleitario e di antieducativo vi fosse nelle pretese dei due grandi partiti di essere i soli protagonisti della storia italiana. Con questo non intendiamo però dire che la storia abbia dato ragione agli uomini della democrazia laica: essa ha fornito loro solo un'occasione di lavoro, una nuova congiuntura politica più favorevole: per questo, prima di entusiasmarci per la 'sedia vuota', crediamo sia necessario soprattutto confrontare le proprie ragioni con quelle degli altri, evitando ogni ottimistica certezza destinata

solo a cullare sogni e speranze, ma incapace di tradurre questi sogni e queste speranze in azioni ed opere concrete. Proprio perché sentiamo - e la storia della nostra rivista, anche nei suoi errori e nei suoi limiti, lo dimostra - che il problema politico fondamentale, oggi, è quello di formare in Italia una moderna forza democratica, preferiamo anteporre ai consensi e agli entusiasmi quelle perplessità e quei timori che ci hanno dominato in questi mesi; e questo non per un cattivo vezzo da intellettuali sofisticati, continuamente inappagati da un mondo che non si concilia con le loro fantasie, ma perché temiamo una certa 'congiura del silenzio' che si è creata negli ambienti della sinistra laica, la quale tende ad impedire ogni critica e ogni discussione ideologica in nome di un empirismo e di un pragmatismo assai angusto, molto lontano da quei modelli anglosassoni a cui noi pure ci ispiriamo. Nel rifiuto aprioristico della discussione ideologica, nell'astratto primato del fare, si rischia spesso di copri

re operazioni dilettantesche e scelte affrettate. E non nascondiamo che, scrivendo questo, pensiamo soprattutto al Partito Radicale: troppo spesso esso sostituisce alla prudenza, alla pazienza e all'unità - che sono, oltre che religiose, virtù politiche - un entusiasmo che suona falso, perché non corrisponde allo stagnante clima morale italiano, e una sicurezza orgogliosa di cui la storia e i fatti non hanno ancora dato motivo.

Per uscire dal generico, facciamo un esempio che ci sembra assai indicativo, almeno per chi abbia seguito le discussioni e gli atteggiamenti dei radicali attraverso i convegni e la stampa più qualificata. In un editoriale dell'Espresso, giornale che solitamente esprime le idee degli ambienti radicali, si scriveva: "Con le decisioni prese nel convegno di Roma del 4 e 5 febbraio, il partito radicale ha detto ad alta voce le sue prime parole. Anzitutto: niente partito 'minore'. I partiti 'minori' sono, più o meno, i tronconi residui di formazione politica più estese, i resti e i ricordi di grandi speranze di rinnovamento tramontate nel parziale insuccesso. Un partito nuovo 'minore', non avrebbe senso: sarebbe come un partito che volesse fare, del suo futuro, il passato. Quindi, o il partito radicale riuscirà ad essere un partito importante, diciamolo pure un grosso partito, o esso non sarà niente. Solo se gli italiani riconosceranno nel nuovo partito la sede di tutte quelle istanze laiche, democratiche, an

ticonformiste, che fra le forze cattoliche e socialiste non hanno oggi rappresentanza, il partito radicale potrà avere un immediato e degno domani". La nostra divergenza si può tutta riassumere in quel "riconosceranno": questo verbo tradisce assai bene un atteggiamento psicologico di alcuni esponenti radicali, il quale rischia di avere i suoi contraccolpi e le sue risonanze sul piano pratico, di essere un errore politico prima che un difetto umano.

Sono due gli aspetti negativi impliciti in questo atteggiamento che vogliamo ora sottolineare. Innanzi tutto, quello che investe il rapporto fra la classe politica radicale e la società italiana. Non si può, se si vuole operare politicamente attraverso quelle tecniche e quei metodi che la democrazia a suffragio universale comporta, continuare a ripetere che esiste un dovere da parte del popolo, sino ad ora vissuto nell'errore, di riconoscere quegli ideali di cui alcuni intellettuali si sentono i portatori e i gelosi custodi. Questa sufficienza nasconde solo un disprezzo verso la comunità incapace di creare, anch'essa, nuovi valori e nuovi modi di vita: gli intellettuali la devono guidare perché essa è cieca alla vita morale e politica. Ma la così detta ideologia laica, che ha certo nobili tradizioni e - per il passato - grandi interpreti, non è una verità metastorica ed eterna: essa, al contrario, ha bisogno di essere continuamente rinnovata e rivissuta a contatto delle nuove esperienze, deve soprattutt

o essere sottoposta a una attenta revisione in sede culturale dopo quella disfatta da cui furono travolti proprio quegli uomini che, dal Partito d'Azione ai partiti minori, di fatto, forniscono aggi tutti i quadri dirigenti al Partito Radicale. Non basta dire che questo è un partito nuovo, che non è un partito minore, che è un partito senza compromessi, forte solo delle sue eterne ragioni, perché queste affermazioni possano tradursi in realtà: non è tanto la società italiana che deve riconoscere l'esattezza e la giustezza di questa ideologia metastorica, quanto la nuova classe politica che deve comprendere ed esprimere i nuovi ideali, le nuove esigenze, i nuovi problemi di quella società italiana che, in questo dopo guerra, sta cercando a fatica e oscuramente (e spesso fuorviata da una classe politica che non la comprende) la sua strada.

Ma dietro questo atteggiamento psicologico, dietro questa certezza di essere destinati a salvare la democrazia, si cela un altro gravissimo pericolo che investe i rapporti fra i radicali e quegli altri partiti, o correnti, che hanno occupato, già da tempo, lo stesso spazio politico in cui essi oggi vengono a muoversi. Dal tono degli iscritti e delle operazioni politiche effettuate (la scissione di Unità Popolare, la benevola condiscendenza verso i repubblicani, una certa ostilità per il movimento di Comunità, fin talune troppo facili ironie verso Saragat, reo di essere al governo con Malagodi) sta nascendo un curioso patriottismo di partito, diremmo quasi un esclusivismo morale e politico, un altero senso della propria primogenitura, quando poi è così evidente la sproporzione fra i fini e i mezzi, fra le ambizioni e le forze effettive, fra la pretesa ad essere i soli interpreti della sinistra democratica e la recente sconfitta politica che fu, nonostante tutto, la permanenza nel Partito Liberale e la st

essa scissione, per il modo con cui è stata effettuata. Giustamente, in ben due editoriali, Nord e Sud ammoniva gli amici radicali sull'ingiustizia di quelle ironie sui repubblicani e di quelle accuse ai socialdemocratici, mostrando come il vero problema oggi fosse quello di promuovere in Italia un Fronte Repubblicano in cui confluissero, come già in Francia attorno alla forte personalità di Mendès-France, tutti i diversi aggruppamenti e partiti democratici italiani. E la proposta di un Fronte Repubblicano aperto a tutti i democratici ci trova totalmente consenzienti, non solo per la sua attività in sede tattica, dato che nè il Partito Repubblicano, nonostante la presenza di La Malfa, nè il Partito Radicale, nonostante la vivacità dell'intelligenza dei suoi uomini, nè Unità Popolare, che attraverso i suoi aderenti pur testimonia di grandi valori morali, da soli possono rappresentare tutta la sinistra democratica italiana. Il mondo laico è, per ricchezza di tradizioni, per sensibilità critica, e per un oscuro

senso di crisi (che non sa però come risolvere), il meno suscettibile a quelle semplificazioni e a quelle ortodossie che un partito tradizionale, con la sua burocrazia, la sua ideologia, i suoi esclusivismi, comporta.

Ma non è una semplice questione di tattica elettorale, anche se questa ha la sua importanza e il suo peso non indifferente. La ragione che ci spinge a sostenere questa federazione è soprattutto culturale: infatti, nelle pagine della nostra rivista, abbiamo spesso sottolineato la natura antidemocratica della politica dei partiti italiani quando tendono, per fini particolari ed egoistici, a tenere imbrigliate e a soffocare ogni autonoma iniziativa che si dia nella società italiana al fine di avere a disposizione una nuova 'etichetta' nella lotta per il potere: dai sindacati agli enti economici di riforma e di produzione, dalle associazioni culturali ai movimenti giovanili, alle cooperative, su tutti questi organismi della società civile sempre grava la miope ragion di Stato dei partiti politici. E vincono sempre le piccole considerazioni, queste eterne nemiche delle grandi. Un partito nuovo per una politica nuova sarà solo quello capace di liberare e dare maggiore autonomia e consistenza a tutte quelle po

ssibilità di rinnovamento che esistono allo stato potenziale nella società italiana. Ma per questo compito bisogna creare un 'partito' che non si adatti passivamente alla struttura dello Stato italiano, burocratico e accentratore, unitario e gerarchico, come di fatto hanno fatto tutti gli altri partiti politici italiani, compresi quelli che avevano una tradizione di autonomismo come il Partito comunista, con i Consigli di Fabbrica, e la Democrazia Cristiana, con le libere associazioni. E' questa stessa struttura (sia dei partiti che dello Stato) l'ostacolo principale al rinnovamento della nostra società e al consolidamento della democrazia. Un partito sarà nuovo solo se si costituirà come una federazione ampia e articolata e decentrata di gruppi politici e culturali, capace di allinearli su un vasto fronte in vista di alcuni fini comuni.

Forse la nostra critica potrà sembrare troppo psicologistica, e quindi periferica alle concrete scelte politiche che la sinistra democratica dovrà un giorno affrontare: eppure, un atteggiamento di prudenza, di pazienza, e di umiltà, ci sembra oggi la condizione elementare per un lavoro comune che il patriottismo di partito, la fretta delle verifiche elettorali, la sufficienza dell'ideologia laicista rischia, ancora una volta, ma forse per l'ultima, di compromettere. Per questo, alle parole di circostanza, ai facili consensi, alle incondizionate adesioni, abbiamo preferito rendere esplicite sino in fondo quelle che sono state le nostre perplessità, sperando solo che al calore di un entusiasmo o di una fede la nostra critica non appaia troppo dissonante e lontana; e questo perché si tratta di un problema che ci coinvolge tutti e trascende di gran lunga le nostre persone.

 
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