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Carandini Nicolo' - 4 settembre 1956
OCCASIONE PERDUTA
di Nicolò Carandini

"Noi guardiamo con tristezza alla grande occasione che il nostro Paese ha perso a Londra di pagare un leale tributo a quell'europeismo che è il solo possibile fondamento della sua politica estera".

SOMMARIO: Interessantissima analisi della questione del Canale di Suez aperta da Nasser nazionalizzando la "Compagnie Universelle du Canal". Si ricordano le premesse alla nazionalizzazione, le minacce di Nasser, la proibizione imposta dall'Egitto al transito di navi israeliane. Sarebbe grave se l'Europa si piegasse al diktat di Nasser, per le conseguenze che si avrebbero sia sull'approvvigionamento di petrolio che in generale sulla sicurezza e certezza del diritto internazionale. Ed è grave che l'Italia non abbia protestato con fermezza contro "l'offesa al diritto delle nazioni". Francia, Inghilterra e Stati Uniti si sono schierati a difesa del controllo internazionale del Canale, anche se gli USA hanno proposto di accettare comunque il fatto compiuto della nazionalizzazione. Alla Conferenza di Londra la delegazione italiana si è comportata ambiguamente, e su questo comportamento si leva l'indignata critica di Carandini. "Che cosa ha turbato la libertà di iniziativa e di condotta della nostra politica estera

?" Probabilmente, le "influenze politiche" di "influenti settori del mondo cattolico", a partire dallo stesso "Osservatore Romano". Un tipico esempio di "furbizia italiana", di cui non ci si può gloriare.

(IL MONDO, 4 settembre 1956)

La fase dei viaggi di cortesia attorno al globo ha trovato un punto di arresto in un urto internazionale che ha richiamato la nostra politica estera ad impegni di grave responsabilità. Se la frequentazione assidua dei convegni diplomatici dedicati alla solidarietà occidentale ha valso al nostro paese la inclusione in una triade di "saggi", la Conferenza di Londra ha porto ora il destro di manifestare quella saggezza. L'impressione pubblica è che la prova non sia stata del tutto felice.

Conoscendo, in materia di conferenze internazionali, la difficoltà dei fatti e la malignità delle apparenze, non vorrei formulare un giudizio affrettato. E' bene quindi ricordare brevemente i fatti e ripercorrere quanto è avvenuto dal 16 al 23 scorso a Lancaster House, in quella stessa augusta sala che ha visto undici anni fa Alcide De Gasperi affrontare la gelida apertura della Conferenza della Pace a viso aperto, con una fermezza d'animo ed una franchezza di parola che hanno strappato d'un colpo l'Italia dalla inferiorità della sconfitta fascista.

Il 26 luglio scorso il Presidente Nasser ha messo brutalmente le mani sulla più importante via d'acqua del mondo, ha nazionalizzato la "Compagnie Universelle du Canal Maritime de Suez" che gestiva il canale dal 1869, ha respinto ogni impegno di controllo internazionale alla libertà del traffico. Il pretesto a questo affronto è stato il diniego anglo-americano (e sovietico) a sovvenzionare la costruzione della diga di Assuan per la raccolta delle acque irrigue del Nilo. Nel giro di una settimana, le cose sono precipitate: fra il 20 ed il 26 luglio l'America e l'Inghilterra hanno annullato l'offerta di credito, Shepilov ha dichiarato che l'URSS non considerava il finanziamento della diga una necessità urgente. Nasser ha affermato nei più violenti termini nazionalistici ed antioccidentali che finanzierà la diga appropriandosi i proventi del transito internazionale di Suez. Così è sfuggita al controllo internazionale una via d'acqua che ha rivoluzionato, lungo un secolo di progresso, la vita economica dei contin

enti, aperta come è stata a tutte le marine del mondo secondo un solenne impegno che solo l'Egitto ha violato proibendo fin dal 1948, ed in dispregio della diffida dell'ONU, il transito alle navi israeliane. Una discriminazione questa che potrà essere domani esercitata verso qualsiasi bandiera, sia valendosi della disponibilità fisica del Canale, sia con misure amministrative di aggravio di tariffe a carico di un determinato settore o a danno di tutto il commercio mondiale per il profitto di un solo paese monopolizzatore.

Se il mondo occidentale chinasse la testa alla pretesa egiziana, le relazioni europee col medio-oriente (da cui l'Europa trae i 4/5 delle sue importazioni di petrolio) crollerebbero ripercuotendosi dalla disfatta subita a Suez, alla sicurezza degli oleodotti terrestri e delle sorgenti stesse di petrolio in tutto il mondo arabo. Conseguenze queste di gigantesca portata, ma tutte ancora inferiori al danno irreparabile dell'arbitrio internazionale impunito, dell'affronto ai patti sanciti, della indulgenza fatale a quelle sopraffazioni del diritto altrui che, compiute da grandi e piccoli dittatori, hanno seminato la sventura e l'angoscia fra una umanità che non ritrova una speranza e una certezza. Secondo l'accordo anglo-egiziano dell'Ott. 1954, il 13 giugno di quest'anno l'ultimo scaglione di truppe britanniche aveva puntualmente abbandonato l'Egitto affidando gli immensi depositi della zona strategica del Canale alla protezione del governo egiziano. E' stato nel corso delle celebrazioni di questo evento che il

Col. Nasser è stato elevato alla Presidenza della Repubblica. Pareva veramente che questa elezione plebiscitaria coincidesse simbolicamente con la esemplare osservanza britannica dei patti convenuti e che sotto tale simbolo le relazioni dell'Egitto con l'occidente dovessero svilupparsi in pace e fiducia. E' stato invece questo affidamento a fornire al Presidente Nasser l'occasione di sovvertire con un colpo di mano una situazione strategica, economica, politica e morale su cui si regge l'incerto equilibrio fra due mondi. Il progressivo inserimento di questo strano partecipe al "gruppo dei neutri" nell'orbita di una tutela sovietica che non si manifesta solo nel riarmo egiziano attraverso le forniture cecoslovacche, conferisce a questa improvvisa sovversione il più inquietante degli aspetti.

Il Governo italiano non ha mancato di realizzare le ripercussioni particolari che questo colpo di stato internazionale può avere sui traffici marittimi e su tutta l'economia italiana, ma quello che non ha sentito od espresso con sufficiente forza è la protesta contro l'offesa al diritto delle nazioni, è la consapevolezza del danno morale che un ondeggiamento nella compattezza dei paesi democratici avrebbe portato a quella sicurezza occidentale che non consiste nel ricorrere alla generica protezione del Patto Atlantico, ma nell'operare virilmente in ogni occasione a difesa dei principi che sostengono quel patto e la società di popoli liberi a cui si vuole appartenere.

La torbida marea di emozioni nazionalistiche suscitate nel mondo arabo dal gesto inconsiderato di Nasser ha trovato Francia, Inghilterra e Stati Uniti fermamente schierati a difesa del controllo internazionale del Canale. Da questa resistenza è sorta la conferenza di Londra a cui hanno partecipato 22 nazioni rappresentanti l'80% dei transiti del Canale. Alla apertura dei lavori il rappresentante americano Foster Dulles ha moderatamente e praticamente proposto che si riconoscesse il fatto compiuto della nazionalizzazione della compagnia del Canale tenendo fermo e irrinunciabile il diritto al controllo internazionale delle operazioni di transito.

E' di fronte al timore di urtare il dittatore su questo punto di diritto che si sono verificate le nostre più penose esitazioni. Riportando le varie reazioni alla proposta Dulles il Times ha dedicato due laconici commenti all'atteggiamento dell'Italia: "Il rappresentante italiano ha messo in evidenza l'importanza del Canale per l'Italia riservandosi il diritto di commentare la proposta Dulles", "la delegazione italiana affermava, prima della seduta pomeridiana, che il Ministro Martino sosteneva i principi della proposta Dulles, ma la delegazione italiana sembrava ansiosa di riservare la sua posizione finale".

Tale ambigua riserva si scioglieva finalmente di fronte al decisivo consenso di maggioranza che la proposta Dulles incontrava, dopo che il delegato del Pakistan, a nome anche della Turchia, della Persia e dell'Etiopia se ne era fatto promotore salvi alcuni, accettati, emendamenti di forma.

Un Comitato composto da Australia, Stati Uniti, Persia, Etiopia e Svezia è stato incaricato dalla Conferenza di avvicinare il governo egiziano e di iniziare trattative.

Di una attiva proposta o partecipazione italiana non una traccia. Si è risaputo poi invece che il governo italiano aveva anticipatamente offerti i suoi servizi di mediazione all'Egitto il quale li aveva respinti. Perché allora esporre la nostra delegazione a Londra alla parte di protettore non desiderato? Perché non comprendere che un simile atteggiamento era tanto più vano in quanto tutta la Conferenza era mediatrice, in quanto la sola mediazione valida doveva venire, come è venuta, dagli Stati Uniti per il peso della loro influenza e dalla Russia preoccupata sempre di tenere l'occidente in stato febbricitante ma di evitare i febbroni incontrollabili? Se si voleva "moderare" perché non unirsi con un proprio emendamento ai quattro Stati che hanno un contributo decisivo facendosi promotori della proposta Dulles emendata cui poi l'Italia ha dovuto dare il suo voto? Se si voleva inaugurare a Londra l'inizio di quella che potrà un giorno diventare, ed oggi storicamente non è, una tradizionale amicizia con l'Egit

to ed il mondo arabo in rivolta contro l'Europa, perché non pronunciarsi francamente secondo lo spirito europeistico che appartiene alla politica italiana, contribuendo così con tutto l'occidente ad arginare il fatale errore dell'Egitto e l'incauta esaltazione dei paesi arabi, piuttosto che tergiversare fino all'ultimo fra una tiepida solidarietà con la proposta americana ed una malconsigliata mezza indulgenza verso l'avventura egiziana? Se si voleva prendere parte ad una efficace azione mediatrice, che l'Italia avrebbe potuto capeggiare, non sarebbe stata somma saggezza regolarsi in modo da essere inclusi nel Comitato dei cinque paesi che per incarico della Conferenza si preparano ad aprire trattative al Cairo?

Può darsi che le informazioni di cui disponiamo non siano tutte esatte e complete, ma queste domande di senso comune sono sulle bocche di tutti i cittadini preoccupati della piega delle cose. E' inutile che gran parte della stampa governativa si dia da fare a mettere in evidenza la misteriosa e provvidenziale azione di corridoi che l'Italia avrebbe esercitato a Londra. Quando queste azioni marginali sono condotte con energia e chiarezza di intenzione, esse escono per forza di cose dalla discrezione in cui si velano e vengono riconosciute e premiate più di un clamoroso intervento. Quando, attorno ad una simile vantata azione il silenzio regna, vuol dire che nulla è avvenuto degno di romperlo.

Così la fratellanza quadripartita fa sì che tutti i partiti di governo rispettino le apparenze di una unità di consenso all'azione svolta a Londra. Ma l'animo dei socialdemocratici era tutt'altro che incline alla indulgenza o alla rassegnazione come ha dimostrato chiaramente il compiacimento espresso dal loro Capo per l'atteggiamento dell'On. Nenni di fronte alla crisi egiziana; ma i repubblicani non hanno certo tergiversato o dubitato del dovere italiano in simile circostanza, né l'On. Segni può aver mancato sino a tal punto di visione. In ultimo tutti sanno che a Palazzo Chigi spirava ben altra aria e si aveva ben più realistico concetto dei doveri e delle possibilità italiane, come dimostra il disagio in cui il Ministro Martino è partito per Londra.

Che cosa ha turbato la libertà di iniziativa e di condotta della nostra politica estera in questa cruciale occasione, togliendo al nostro paese l'opportunità di pronunciarsi con forza e chiarezza di fronte a responsabilità internazionali che ha lungamente sollecitato di dividere? La voce pubblica indica le influenze politiche che sono intervenute e che non hanno, del resto, esitato a dare pubblica manifestazione dei loro intendimenti. Sono essenzialmente le intromissioni di alcuni influenti settori del mondo cattolico che, inspiegabilmente, hanno sostenuto e continuano a sostenere, di fronte ad un rigido caso di diritto e di morale internazionale, una morbida azione mediatrice che il nostro paese dovrebbe alla lunga imporre a chi, almeno da noi, non la vuole. L'Osservatore Romano, con tutta l'autorità di cui dispone, rincorre il fantasma della mediazione fino a compiacersi che l'Italia non sia stata inclusa nel Comitato dei cinque paesi incaricati di mediare un accordo al Cairo, perché l'Italia "non deve bru

ciarsi" in questa prima generosa prova per conservare le mani nette e adatte a manipolare domani il compromesso che potrà soddisfare il nuovo guardiano del Canale di Suez! Ma, dunque, il dovere di un paese libero e responsabile non è quello di bruciarsi quante volte occorra in ogni opera di giustizia degna di essere servita? Noi restiamo di questo parere e guardiamo con tristezza alla grande occasione che il nostro paese ha perso di pagare il suo leale tributo a quell'europeismo che è il solo possibile fondamento della sua politica estera. Guardiamo con rammarico al nuovo motivo che abbiamo dato a quella accusa di "furbizia italiana" che il mondo non ci risparmia ma che noi cerchiamo scioccamente di meritare.

 
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