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Rossi Ernesto - 2 marzo 1957
Vaticano e civiltà moderna
Documento sempre attuale il Sillabo degli "errori del secolo"

di Ernesto Rossi

SOMMARIO: Ernesto Rossi, dopo aver consultato una serie di brani tratti dai documenti pontifici, mette in rilievo che la Chiesa condanna in blocco tutto il pensiero moderno e la civiltà e aspira al ritorno al Medioevo.

Ha pubblicato questi documenti non ascoltando le osservazioni di amici che lo accusavano di averli scelti faziosamente; si è chiesto, inoltre, come i cattolici possano conciliare la loro fede nella immutabilità della dottrina della Chiesa e nella infallibilità del papa in presenza di tali documenti pontifici sulle maggiori questioni politiche e sociali del nostro tempo.

(IL RADICALE N. 1, 2 marzo 1957)

Da diversi anni non si trova più in commercio nessuna edizione del "Sillabo", che, pubblicato da Pio IX l'8 dicembre 1864, insieme alla enciclica "Quanta cura", per condannare gli errori del secolo, è un documento sempre attuale, richiamato continuamente dalla stampa cattolica. Ho, perciò, proposto all'editore Parenti di ristamparlo, facendolo seguire da una scelta di brani tratti dai documenti pontifici dei successori di Pio IX, a conferma e sviluppo delle sue principali proporzioni. L'editore ha senz'altro consentito.

Il lavoro di ricerca in biblioteca mi ha subito appassionato: non credevo di trovare una così abbondante miniera. Sono convinto che noi laici liberali dovremmo dedicare alle pubblicazioni del Vaticano una attenzione molto maggiore di quella che siamo soliti dedicar loro: ci troveremmo le armi polemiche migliori per la difesa di alcune delle nostre principali tesi. Scegliendo fior da fiore - nelle encicliche, nei messaggi, nelle allocuzioni, nelle lettere pastorali - quel che nell'ultimo secolo i pontefici hanno scritto o detto sul razionalismo, la libertà di coscienza, la libertà dei culti, la libertà di stampa, la libertà d'insegnamento, le "pestilenze" del comunismo e del socialismo, la separazione della Chiesa dallo Stato, i rapporti fra i poteri civili e i poteri ecclesiastici, ho messo insieme un piccolo campionario, in cui viene condannato in blocco tutto il pensiero moderno e la nostra civiltà. Le aspirazioni del Vaticano sono ancora tutte quante rivolte nostalgicamente al Medioevo; un Medioevo romant

ico, in cui il trono era sempre alleato dell'altare; gli uomini accettavano come verità quello che i pontefici dichiaravano esser la verità; le relazioni fra datori di lavoro e lavoratori e fra ricchi e poveri erano dettate dalla carità cristiana; ognuno se ne stava buono e tranquillo nel posto che il Padreterno gli aveva assegnato: secondo il Vaticano la Rivoluzione francese, frutto del razionalismo materialista, ha spalancato la porta all'inferno, dalla quale sono schizzati fuori mille diavoli ad appestare il mondo.

Prima di passare la mia piccola antologia alla stampa, l'ho data a leggere ad alcuni amici cattolici di sinistra, per averne il parere e i suggerimenti di eventuali aggiunge o variazioni. Il loro giudizio è stato completamente negativo.

"Se pubblicassi queste pagine - hanno osservato - dimostreresti solo la tua faziosità anticlericale: se avessi voluto, avresti potuto trovare nei documenti dei successori di Pio IX molte proposizioni in favore di tesi opposte a quelle dei brani che hai messo insieme. Per convincertene basta tu legga i messaggi natalizi di Pio XII".

L'unico consiglio che i miei amici cattolici mi hanno saputo dare è stato quello di non farne di nulla. Ma io non ho seguito questo loro consiglio, perché l'accusa di faziosità anticlericale non mi dispiace affatto, quando tutti i liberali, sedicenti continuatori del nostro Risorgimento, pare niente temano più che di essere sospettati di anticlericalismo; i comunisti sono legati al rispetto dell'articolo 7 della Costituzione, che hanno approvato, ed il leader del partito socialista denuncia l'anticlericalismo come uno dei maggiori pericoli dell'attuale situazione politica italiana.

Non ho seguito il consiglio dei miei amici cattolici anche perché mi sembra che non abbiano ragione. Nei rari casi in cui i successori di Pio IX hanno parlato in favore della democrazia e della libertà ne hanno sempre parlato in termini così ambigui e generici, ed hanno sempre subordinato il loro consenso al verificarsi di tali condizioni, che non occorreva poi molta abilità dialettica per mettere d'accordo queste loro parole con le proposizioni del "Sillabo".

Ho letto anche i messaggi natalizi di Pio XII, ma sono arrivato allo stesso giudizio che ne dava Ernesto Buonaiuti quando scriveva (a pag. 259 di "Pio XII", Roma, 1946):

"Tutte enunciazioni lapalissiane, di una banalità sconcertante, su cui non si vede come si sarebbe potuto non andare tutti d'accordo".

Il messaggio natalizio più decantato come democratico e liberale è quello del 1944, che, secondo Igino Giordani (in "Le encicliche sociali dei Pontefici", Roma, 1949) "le nuove democrazie farebbero bene a incidere nei propilei dei loro Parlamenti". Mette, perciò, il conto di soffermarci un poco ad esaminarlo.

Il momento in cui il messaggio fu lanciato - ricorda Giordani - era grave, in quanto "coincideva col supremo sforzo dell'hitlerismo armato di riprendere l'iniziativa e rovesciare la situazione militare con una sanguinosa controffensiva nel Belgio". Giordani non ricorda, però, che il messaggio venne lanciato quando il regime fascista era caduto da più di un anno e la guerra era ormai sicuramente vinta dagli alleati, che da alcuni mesi già occupavano Roma. Avendo bisogno dei dollari e dell'appoggio politico degli americani, il Papa aveva allora tutto l'interesse a parlare in modo da far buona impressione negli Stati Uniti e da far dimenticare la collaborazione che il Vaticano aveva dato al "regime", specialmente per l'impresa di Abissinia e per la guerra civile in Ispagna.

In conseguenza della guerra - disse Pio XII - i popoli "si sono come risvegliati da un lungo torpore":

"Edotti da una amara esperienza, si oppongono con maggiore impeto ai monopoli di un potere dittatoriale, insindacabile e intangibile, e richieggono un sistema di governo che sia più compatibile con la dignità e la libertà dei cittadini.

Queste moltitudini, irrequiete, travolte dalla guerra fin negli strati più profondi, sono oggi invase dalla persuasione - dapprima, forse, vaga e confusa, ma ormai incoercibile - che, se non fosse mancata la possibilità di sindacare e di correggere l'attività dei poteri pubblici, il mondo non sarebbe stato trascinato nel turbine disastroso della guerra e che, al fine di evitare per l'avvenire il ripetersi di una simile catastrofe, occorre creare nel popolo stesso efficaci garanzie".

I popoli richieggono... le moltitudini sono invase dalla persuasione... Ma il Papa non si sbilancia: non dice quello che pensa lui, in prima persona.

"In tale disposizione degli animi - aggiunge - vi è forse da meravigliarsi se la tendenza democratica investe i popoli e ottiene largamente il suffragio e il consenso di coloro che aspirano a collaborare più efficacemente ai destini degli individui e della società?".

Il Papa non se ne meraviglia e più avanti precisa:

"Esprimere il proprio parere sui doveri e i sacrifici che gli vengono imposti; non essere costretto ad ubbidire senza essere stato ascoltato: ecco due diritti del cittadino, che trovano nella democrazia, come indica il suo stesso nome, la loro espressione".

Ma anche questa, è solo una definizione: non una presa di posizione in favore della democrazia.

Per quanto riguarda la estensione e la natura dei sacrifici richiesti a tutti i cittadini - osserva il Papa - "la forma democratica di governo apparisce a molti un postulato naturale imposto dalla stessa ragione".

"Quando però si reclama "più democrazia e maggiore democrazia" una tale esigenza non può avere altro significato che di mettere il cittadino sempre più in condizione di avere la propria opinione personale, e di esprimerla e farla valere in una maniera confacente al bene comune".

Ma dopo queste idee, che Pio XII cita come idee "di molti", egli distingue il vero popolo, degno di questo nome da quello non degno, e gli uomini di governo degni di tenere il potere da quelli non degni. Il vero popolo riconosce che "ciascuno ha il diritto di vivere onoratamente la propria vita personale, nel posto e nelle condizioni in cui i disegni e le disposizioni della Provvidenza l'hanno collocato", e i veri governanti riconoscono che ogni potere viene da Dio. L'assolutismo contro il quale il Papa si scaglia non consiste nel divieto di qualsiasi critica, di qualsiasi opposizione al governo: consiste solo nel fatto che di fronte all'autorità dello Stato "non è ammesso alcune appello ad una legge superiore moralmente obbligante".

"Un uomo compreso da rette idee intorno allo Stato e all'autorità e al potere di cui è rivestito, in quanto custode dell'ordine sociale, non penserà mai di offendere la maestà della legge positiva nell'ambito della sua naturale competenza. Ma questa maestà del diritto positivo umano allora soltanto è inappellabile se si conforma - o almeno non si oppone - all'ordine assoluto, stabilito dal Creatore e messo in nuova luce dalla rivelazione del Vangelo".

Poiché l'unica verace interprete del Vangelo è la Chiesa cattolica, dire così equivale a sostenere che le leggi dello Stato devono essere ubbidite solo se ed in quanto si conformino, o almeno non si oppongano, alla volontà del Papa.

Questa teoria ha avuto una formulazione più precisa nel discorso pronunciato il 15 luglio 1949 ai partecipanti al I Congresso dei giuristi cattolici italiani, in cui Pio XII affermò che se la legge era iniqua, il giudice, applicando la legge, diveniva corresponsabile del legislatore.

"Il giudice - disse allora il Papa - non può mai con la sua decisione obbligare alcuno a qualche atto intrinsecamente immorale, vale a dire per sua natura contrario alla legge di Dio e della Chiesa.

Egli non può in nessun caso espressamente riconoscere e approvare la legge ingiusta (la quale, del resto, non costituirebbe mai il fondamento di un giudizio valido in coscienza e dinanzi a Dio). Perciò egli non può pronunciare una sentenza penale, che equivalga a una simile approvazione".

Su questi principi si fonda lo Stato teocratico; non si può fondare lo Stato democratico.

Né il messaggio del Natale 1944 ha poi impedito a Pio XII di dare tutto il suo appoggio a Franco, a Salazar e a Peron (anche a Peron, finanche è rimasto ligio ai sui filiali doveri verso la Santa Madre Chiesa).

Se anche l'osservazione dei miei amici fosse giustificata - cioè se anche avessi faziosamente scelto fra tutti i documenti quelli che suffragano le tesi del "Sillabo", trascurando quelli ad esse contrari - non riuscirei mai ad intendere come dei cattolici possano conciliare la loro fede nella immutabilità della dottrina della Chiesa e nella infallibilità del Papa col riconoscimento che nei documenti pontifici si trovano delle affermazioni contrastanti sui nostri maggiori problemi politici e sociali.

Ma questi sono casi di coscienza che io non mi pongo. Scegliendo i brani che ho scelto, mio proposito è stato quello di mettere in evidenza la gravità dell'errore, condannato nella ultima proposizione del "Sillabo", di chi sostiene che il "Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà".

Non lo può "per la contraddizione che non consente". Su questo punto di logica formale, da buon volteriano, vado completamente d'accordo col Papa.

 
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