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Rea Salvatore - 2 marzo 1957
Lettera da Napoli: la crisi comunista
di Salvatore Rea

SOMMARIO: Salvatore rea si domanda cosa farà la massa dei comunisti che non crede più al proprio partito, specialmente cosa farà il sottoproletariato di Napoli. Il rischio è che si assista ad un passaggio in blocco nelle file di Lauro. Gli unici partiti che potrebbero opporsi all'invadenza laurina sono il PCI e DC che, però, non sono attualmente nella condizione di elaborare temi propri.

Il Consiglio comunale di Napoli si trova, pertanto, in una paralisi mentale e strutturale ed è incapace di risolvere i gravissimi e molteplici problemi che affliggono la città. In tale situazione il partito radicale non si scoraggia e continua ad impegnarsi attivamente.

(IL RADICALE N. 1, 2 marzo 1957)

Che farà, o dove andrà a finire, la massa di comunisti che non crede più al proprio partito?

Certamente, dopo un periodo di incertezza, il proletariato più evoluto capirà da chi siano difesi i suoi veri interessi, quali siano le forze che possono instaurare in Italia, senza demagogia e promesse mirabolanti, una democrazia progredita e moderna.

A Napoli esiste un problema di sottoproletariato, il più vasto e multiforme che si possa trovare in Italia, al quale non si può guardare con la stessa fiducia accordata al proletariato più evoluto. Che farà quella aliquota di sottoproletariato già comunista che oggi non rinnova la tessera, cui il partito non è riuscito a dare una coscienza di classe, fondamentalmente borbonica, seguace del più forte, e facile preda del ricco che può darsi a distribuzioni di pasta, come hanno già dimostrato le passate elezioni amministrative? Se per il proletariato esiste un pericolo di scetticismo e di astensione totale dalla vita politica e dal voto, per questo sottoproletariato, a Napoli come del resto in tutta la Campania, esiste il pericolo d'un passaggio in blocco dall'altra parte della barricata, alla DC o a Lauro.

Già Lauro, dopo il clamoroso successo ottenuto nelle elezioni del 27 maggio, un successo però contenuto entro le mura cittadine, va suonando da qualche mese la tromba d'un meridionalismo d'accatto nel tentativo di far leva, per i voti della cosiddetta "grande destra", sul malcontento delle popolazioni del Mezzogiorno, sul qualunquismo della media borghesia meridionale e su quel complesso di vittimismo che agita i napoletani nei confronti del nord e dell'opera del governo persino quando qualche rappresentante napoletano viene bocciato al "quiz" televisivo. E' dopo aver vaneggiato per anni delle risorse turistiche risolutrici dei nostri problemi economici, va ora affermando che solo l'industrializzazione di Napoli e dell'Italia meridionale potrà ridurre il dislivello di reddito tra nord e sud, dando un impulso del tutto nuovo alla nostra economia.

Di fronte a questa iattanza del tutto vicereale, DC e PCI, gli unici partiti che potrebbero opporre alla invadenza laurina una seria resistenza, stanno come paralizzati, incapaci di elaborare temi propri, di approfondirli e dibatterli pubblicamente. Già molto prima della crisi che ora li travaglia gli esponenti comunisti avevano instaurato con Lauro una specie di "gentlmen's agreement", per merito del quale si cominciavano a lodare alcune delle imprese del sindaco. La DC, dopo alcuni sussulti seguiti alla batosta elettorale, s'è adagiata in un rimasticamento uniforme delle trovate laurine, sfiancandosi in una concorrenza continua (nel chiedere al governo aiuti per Napoli, ad esempio) di nessun effetto per il fatto che giunge sempre in ritardo e sembra forzata dall'iniziativa laurina. E, sul piano meridionalista, incapace di far valere persino quel poco di buono che ha realizzato. Negli ultimi tre mesi, a parte alcuni discorsi intorno ai fatti d'Ungheria, i maggiori comizi tenuti dalla DC a Napoli sono stati

quelli del presidente della Cassa del Mezzogiorno su Ignazio da Loyola, del presidente della Camera sullo stesso argomento e su S. Francesco, e d'un altro grosso esponente d.c. sui Camillani e la loro opera durante il colera di Napoli.

Da questa paralisi mentale e incapacità strutturale (di lunga mano per la DC, recente per il PCI) è sorta nel Consiglio comunale di Napoli una strana situazione. Da due mesi circa, infatti, il Consiglio vota i provvedimenti della Giunta laurina alla unanimità, l'opposizione è praticamente inesistente. Eppure i problemi di Napoli, insoluti ed urgenti, sono molteplici e basterebbe citare, tanto per fare alcuni esempi, quelli della cronica disoccupazione, dei minacciati licenziamenti in alcune industrie, dell'edilizia popolare e scolastica, della speculazione edilizia, del piano regolatore, della Mostra d'Oltremare, ecc. Persino alcune proposte concrete fatte dai radicali, quali l'utilizzazione in favore dell'edilizia popolare del 2% percepito dal Comune dalle ditte appaltatrici di lavori stradali e speso per feste varie, da accoppiarsi a una tassa da applicare sulle costruzioni di lusso, con un incitamento esplicito ai partiti democratici a farle proprie in Consiglio comunale, non sono state raccolte. Né la st

ampa cittadina, (fu solo il "Paese Sera" che trovò tali proposte sagge e senz'altro accettabili) osò impadronirsi dell'idea.

Perciò la battaglia radicale, in questo fossato di omertà e di sbandamento, è nella città partenopea particolarmente difficile. Se alle difficoltà ambientali e di costume, all'attendismo tipico della media borghesia meridionale, anche la più evoluta, si aggiungono poi quelle di carattere finanziario, si comprenderà facilmente perché alla sezione di Napoli del partito radicale non sia stato sino ad oggi concesso di allargare il proprio raggio di azione, svolgendo una intensa opera di propaganda e di organizzazione in città e in provincia. Ciò malgrado, le adesioni, particolarmente dei giovani, continuano. E l'anno nuovo si apre con un serio impegno di lavoro, sia per la creazione di una più vasta rete di nuclei radicali nella regione campana, sia per la formazione d'un vasto fronte laico che operi sui problemi concreti della civica amministrazione in opposizione alla nasseriana civiltà laurina, sia per il chiarimento, in campo più specificamente culturale, della posizione radicale rispetto ad ideologie che se

mbrano destinate a un irrimediabile tramonto.

 
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