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Bandinelli Angiolo - 19 novembre 1957
L'ATTIVISTA PEDAGOGO
di Angiolo Bandinelli

SOMMARIO: Si analizza l'operato dei Centri Didattici Nazionali, una creatura del Ministro dell'Educazione Nazionale Bottai riesumata in pieno clima clericale. Dopo una ricostruzione storica e un giudizio (negativo) sulle loro strutture e sul personale che attualmente li regge, si prende in esame il progetto più ambizioso prodotto dal più attivo dei Centri, quello per la scuola secondaria: l'istituzione di classi "sperimentali", che ha aperto la strada alla più generale sperimentazione di una "scuola secondaria unitaria opzionale" preludio nientedimeno che "ad una riforma generale dell'insegnamento secondario inferiore". Questo secondo progetto viene particolarmente seguito da una Commissione ad hoc creata dal Ministro della P.I. Si prende poi in esame la questione delle scuole "post-elementari", un tipo di scuola per i ceti inferiori inadeguato e retrivo.

(IL MONDO, 19 novembre 1957)

Caduto ormai nel dimenticatoio il progetto di riforma Gonella, cattolici, conservatori e funzionari si son dati bravamente ad escogitare qualche nuova maniera per corrompere ancor più la già vacillante scuola. Le ambizioni di costoro sono sempre grandi: non si è rinunciato del tutto a trasformare, rivoluzionare, riformare. Solo, si è adottata, come più comoda, la via traversa, quella dei piccoli passi. Dài oggi, dài domani, il risultato dovrà bene un giorno essere pari all'ansiosa aspettativa. L'obiettivo principale di questo esercizio è stato del resto bene scelto: la scuola secondaria inferiore, quella cioè che, con una triplice articolazione (vale a dire la scuola media, l'avviamento e le recenti classi post-elementari) accoglie i ragazzi dagli 11 ai 14 anni. Lo strumento per l'operazione a lunga scadenza è stato trovato in una vecchia invenzione fascista, i Centri Didattici Nazionali.

Questi Centri furono istituiti dal Ministro dell'Educazione Nazionale Bottai, con legge 30 novembre 1942 n. 1545, nel quadro di riforme che andò (per analogia con la Carta del Lavoro) sotto il nome di Carta della Scuola: di tutti gli istituti e ordinamenti previsti da questa tipica creatura del regime soltanto i Centri Didattici sono ritornati in vita. Si era al tempo in cui il fascismo si dava a stringere definitivamente la nazione in un assetto corporativo saldamente controllato dallo Stato. La crisi della guerra fece accelerare i tempi e, proprio alla vigilia della fine, si volle porre l'ultimo fastigio alla paziente costruzione tirata su in venti anni. Per buona sorte molte di quelle strutture non videro mai la luce.

Anche da una sommaria scorsa alla legge istitutiva, si capisce chiaramente quale fosse la vera ragione di vita di questi Centri: "ciascun Centro Didattico è sottoposto alla vigilanza del Ministero dell'Educazione Nazionale; ogni attività dei Centri deve essere preventivamente autorizzata dal Ministero (articolo 15)". E più oltre si stabilisce l'istituzione, quale superiore organo direttivo, di "un Comitato Centrale composto dei direttori generali del Ministero, del fiduciario nazionale dell'associazione fascista della scuola, del commissario dell'Ente nazionale per l'insegnamento medio e superiore, del Segretario Nazionale del sindacato fascista degli insegnanti" oltre che di alti funzionari e, dulcis in fundo, "di non più di 3 persone scelte tra studiosi di problemi didattici e scolastici". Questi studiosi, pur nel generale conformismo del momento, dovevano fare ben paura! Il Comitato era presieduto dal Sottosegretariato di Stato.

I compiti dei Centri erano definiti minuziosamente; si possono compendiare però sommariamente in una funzione di stimolo e di guida della scuola in senso fascista. Si parlava naturalmente di "ravvivare negli uomini di scuola l'interesse per gli studi di metodologia didattica", di "classi sperimentali" e di altre belle cose, ma si tratta di pretesti; non essendo neppur concepibile mettere in discussione i pilastri della pedagogia fascista, ci si rifugiava nella didattica e nello sperimentalismo. I reazionari si illudono che la didattica consista nell'uso estrinseco e formale dei mezzi offerti dalla moderna pedagogia e che lo sperimentalismo scolastico possa coprire, sotto la formula vagamente clinica buona tutt'al più per i laboratori degli alchimisti, la deliberata ignoranza dei concreti problemi della scuola. Comunque il tecnicismo di queste formule soddisfaceva chi avesse voluto ficcare il naso nelle segrete cose e tutti potevano dirsi soddisfatti, novatori ingenui e conservatori scaltri. Riesumati in regi

me democratico con semplici Decreti Legge, questi Centri hanno conservato l'originaria struttura. Naturalmente, zoppicando, perché il Comitato Centrale non ha potuto essere richiamato in vita. Si è ovviato al piccolo inconveniente con un Comitato di Coordinamento composto dei medesimi professori e funzionari che li dirigono e con un Ufficio per i Centri Didattici presso il Ministero. In realtà i Centri hanno avuto carta bianca e di questa sostanziale autonomia (giustificata dall'essere essi costituiti, dalla Legge istitutiva, in soggetti di diritto pubblico) hanno largamente profittato.

I Centri attivi sono attualmente sette: Centro Studi e Documentazione (con sede a Firenze), Centro per la scuola materna (con sede a Brescia), Centro per la scuola elementare, Centro per la scuola secondaria, Centro per i licei, Centro per l'istruzione tecnica e professionale, Centro per i rapporti tra la scuola e la famiglia (tutti con sede a Roma).

Se si volesse misurare la loro importanza dai risultati effettivamente conseguiti, non si dovrebbero spendere molte parole. In generale, stante la rigidità e scarsa permeabilità dell'organizzazione scolastica italiana, l'opera di questi Enti sembra essere caduta nel vuoto: opuscoli, convegni, conferenze, con le quali si è cercato di mobilitare l'opinione degli insegnanti, ma con scarsi risultati.

Tornando alla questione da cui ha preso inizio questa nota, e cioè ai problemi particolari della scuola secondaria inferiore vediamo invece subito che il dibattito si fa più vivace, la polemica acquista tono anche, e forse principalmente, per le iniziative del Centro Didattico competente, il C.D.N. per la scuola secondaria, indubbiamente il più attivo e il più conseguente nel portare a fondo le proprie iniziative. Si è già detto che questo settore scolastico è particolarmente interessato ai problemi della riforma, perché più rapidamente caduto in una condizione di permanente crisi. L'originaria sistemazione in due grandi rami, quello della scuola media propriamente detta e quello dell'avviamento non risponde più ai requisiti di una scuola veramente democratica, e cioè aperta a tutti senza discriminazioni sociali. Alla scuola media nata per selezionare, attraverso un curriculum di studi rigidamente umanistico, avente a suo fondamento il latino, la classe dirigente nazionale, si contrappone una scuola di avvia

mento povera, scarsa di mezzi, dichiaratamente destinata a fornire una istruzione preprofessionale ai ceti più umili con una sorta di selezione a rovescia. Caduto il progetto Gonella che lasciava inalterate le cose, o forse le peggiorava, ci si orienta oggi quasi unanimemente verso una scuola unica non selezionatrice ma formativa e orientatrice, capace insomma di favorire il rispetto del disposto costituzionale che sancisce l'obbligo della frequenza scolastica fino al quattordicesimo anno di età. E' in questo settore che il C.D.N. per la scuola secondaria ha promosso da tempo un particolare esperimento di attivismo didattico, suscitando vigorose polemiche.

Due famose circolari (la "1600" del 28 settembre e la "2400" del 25 novembre 1954) diedero l'avvio a questo ambizioso programma, invitando presidi e professori di scuole medie e di avviamento ad istituire classi "sperimentali" aperte ai nuovi programmi. La scuola rimase sorda, tranne poche eccezioni. E queste sarebbero state lodevoli se qualche frutto fosse venuto fuori dal loro zelo; ma, sfogliando gli opuscoli dove si danno notizie (vaghe e superficiali) sui risultati fin'oggi conseguiti, si ha l'impressione precisa che allo stato delle cose si sia fatto un buco nell'acqua; magari finendo con l'irritare e con il rendere scettici anche coloro che inizialmente guardarono all'esperimento con occhio benevolo. Invano pedagogisti e studiosi di buon senso hanno fatto presente l'inutilità di esperienze fatte senza una seria preparazione, al di fuori del consenso generale, in un ambiente e con materiale umano impreparato, senza salvaguardare le esigenze dei ragazzi dei ragazzi spesso trovatisi a disagio nel passagg

io da queste scuole "sperimentali" a quelle del grado superiore, e soprattutto senza intimo convincimento. Niente da fare: bisognava giustificare l'esistenza di un apparato costoso, oligarchico, ambizioso, pieno di sicumera. Così si è andati avanti per anni.

Alla fine ci si è accorti in qualche modo che l'attivismo scolastico era come quel serpente che si morde la coda, e cioè non attivizzava proprio niente. Non sarebbe stato difficile scoprire le cause di questo fallimento, che gettava in definitiva il discredito, presso gli impreparati, su valide e giuste esigenze della pedagogia più avanzata. Invece di correre ai ripari dando ascolto alle voci dissidenti che pure onestamente avrebbero dato il loro contributo alla soluzione di problemi di tanta delicatezza, si è ancora una volta preferito adottare la maniera forte, chiudendo gli occhi sulla realtà.

Con il compiacente aiuto del Ministro della Pubblica Istruzione, on. Paolo Rossi, socialdemocratico, si è addirittura promosso un più vasto esperimento di "scuola secondaria unitaria opzionale" che dovrebbe preludere nientedimeno ad una riforma generale dell'insegnamento secondario inferiore. Dalla persuasione all'imposizione dall'alto il passo è stato breve, tranne che per l'impazienza dei suoi zelatori, per i quali forse si è fatto ancora troppo tardi. Questo progetto aggrava ancora di più la situazione. La scuola secondaria unitaria, la riforma dell'insegnamento sono nei voti di tutti. Ma come è possibile giungervi quando ancora tanti problemi e non trascurabili sono irrisolti? E d'altra parte una sperimentazione di questa importanza richiede una minuziosa preparazione, una esatta raccolta di dati, una notevole lungimiranza e una cautela infinita, e soprattutto una essenziale intima fiducia, cose del tutto assenti nel progetto avviato.

E' vero che, in precedenza (sempre sotto l'egida compiacente del Ministro sopra ricordato) una commissione costituita nell'aprile 1956 aveva presentato una serie di proposte relative ad una possibile riforma dell'insegnamento secondario inferiore. Ma teniamo presenti alcuni fatti: primo, la commissione era composta per la stragrande maggioranza da personalità dei Centri Didattici, né la presenza di un Calogero, di un Borghi poteva mutarne sostanzialmente gli indirizzi. In secondo luogo le conclusioni raggiunte non potevano e non possono essere valide che sul piano generalissimo dei principii, sui quali del resto già in precedenza, sia pure obtorto collo avevano finito con il convenire anche i più retrogradi conservatori, pena il restare del tutto tagliati fuori di un qualunque discorso. Terzo, i dissensi su punti fondamentali erano di una gravità tale da consigliare molta moderazione e prudenza. Invece si ha il sospetto che questa commissione fosse stata creata a bella posta per giustificare in qualche modo

l'iniziativa delle scuole unitarie sperimentali di cui si è detto: con la tacita intesa di servirsi delle sue conclusioni, ove non affiorassero divergenze sostanziali, e di accantonare le questioni controverse. Ed ecco che si è ottenuto di più del desiderato, perché, oltre a dar vita all'esperimento scolastico tanto a cuore al C.D.N. per la scuola secondaria, si è finito con dare sanzione ufficiale ed irreprensibile ad un'altra stortura: le famigerate classi post-elementari care al cuore dei maestri, della Direzione Generale dell'Istruzione Elementare e di tutti coloro che pensano sia ovvio e giusto legare ancor più i ceti rurali alla terra e al suo determinismo nella convinzione che essi non meritino altro di meglio.

Si è parlato della scuola media e della scuola di avviamento: spendiamo qualche parola per le post-elementari, che a suo tempo la stampa di informazione fece passare per una realizzazione democratica in favore delle classi più lontane dall'istruzione, presso le quali si annida la più alta percentuale di analfabetismo.

Ricorre alla mente un bellissimo saggio di M. Rossi-Doria, pubblicato sul numero di settembre 1955 della rivista "Nord e Sud" con il titolo "L'educazione dei contadini". Rimandiamo a queste belle pagine gli interessati ad un problema di tanta importanza.

In sostanza si può dire questo: se fin'ora le scuole elementari non si sono dimostrate sufficienti a debellare la piaga dell'analfabetismo (e, si badi, non solo per carenza di mezzi, ma anche per gravi difetti di impostazione) come è possibile sperare di sanare la situazione semplicemente allungando il curriculum di studi elementare di qualche classe? Impossibile per questa via il recupero alla scuola di ceti che già disertano le scuole attualmente loro offerte perché non vi trovano risposta alle loro esigenze umane e sociali se non in ristrettissima misura. Che qualche decina di migliaia di nuove frequenze possa soddisfare l'ottimismo ministeriale, è ovvio: ma così non si fa, in concreto, che procrastinare il momento di una definitiva messa a punto dei problemi dell'educazione di larghe masse di popolazione, profondendo altro denaro in maniera antieconomica e antipedagogica. A nulla è valso che il prof. Borghi presentasse all'attenzione della Commissione un notevole progetto di scuole "consolidate" sul mode

llo americano. Adducendo motivi finanziari (infondati, almeno fino ad un più probante accertamento), il progetto è stato accantonato.

Come si vede i lavori della Commissione sono stati indubbiamente fruttiferi, dal punto di vista dei Centri Didattici e degli ambienti ad essi vicini. Ha finito sempre col prevalere la tesi del peggio oggi piuttosto che il meglio domani.

Nelle nuove scuole sperimentali l'artificiosa didattica concepita in senso meramente strumentale celebrerà i suoi trionfi. Temiamo però che siano di breve durata. E' difficile costruire sul vuoto: il massimo che possa raggiungere è un effetto di "panna montata", secondo una felice espressione appositamente coniata.

 
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