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Carandini Nicolo' - 10 giugno 1958
L'APPELLO DEI GIOVANI
di Nicolò Carandini

SOMMARIO: Saluta e ringrazia innanzitutto i "giovani radicali", per l'impegno profuso durante la campagna elettorale condotta assieme ai repubblicani. E' stata "una bella e buona battaglia", ed ora occorre ricominciare e andare avanti. "Ci siamo battuti contro comunisti e democristiani" portando con noi i valori del "Risorgimento" ed ora per questo subiamo i loro attacchi "concentrici". Occorre dunque una nuova "vigilanza". Il partito comunista ha mantenuto le sue posizioni e dimostrato tutto il suo "immobilismo". La DC ha potuto vincere solo grazie alla Chiesa "che l'ha salvata". Il socialismo, diviso in due tronconi, "per la sua stessa indecisione ha convogliato a sé gli incerti". Le due sole "nette sconfitte" sono toccate alla alleanza radical-repubblicana e al partito liberale. Questo si è presentato come "un vero e proprio partito conservatore", con l'aperto appoggio della Confindustria. I radicali e i repubblicani si sono presentati "come portatori di una visione politica di sinistra democratica e laic

a". Essi hanno incontrato "il meglio della nostra pubblica opinione", ma "la maggioranza degli elettori democratici" non ha potuto nemmeno essere avvicinata. Occorre ora continuare nel lavoro iniziato, "in piena autonomia" e "senza prestarsi a confusione di idee".

(IL MONDO, 10 giugno 1958)

Mi rivolgo con gratitudine ai giovani radicali che in una campagna elettorale condotta nelle più difficili condizioni hanno dato una indimenticabile prova di devozione e di coraggio. L'alleanza radicale-repubblicana, sprovvista in partenza di ogni accordo, ha avuto scarsa fortuna, ma riconosciamolo, la presenza radicale si è manifestata, specialmente nelle zone politicamente più avanzate e sensibili, con singolare vigore e, oseremmo dire, non senza successo. Concluso questo nostro primo faticoso ingresso nelle prove elettorali, è dai giovani che ci viene l'incitamento a perseverare. E più di ogni soccorso da loro avuto, ci conforta e ci rallegra questo segno di una imbattibile fiducia nell'avvenire. Essi sentono con noi che, finchè vengono le ultime garanzie della democrazia, vittoria e insuccesso non sono termini definitivi, sono momenti di passaggio verso successivi rovesciamenti di sorte. La nostra risposta è quella che essi attendono. Siamo con voi con tutto l'animo, siamo d'accordo: il responso elettora

le ha confermato le nostre vecchie ansietà, ha aggravato i pericoli che hanno giustificato il sorgere ed il mordente polemico del partito Radicale. Le nostre istanze fondamentali sono le più vere e necessarie che mai. Avete ragione, giovani amici, qui non si finisce mai ma si ricomincia con migliore tempra e maggiore impegno. In questa convinzione riprendo con piena serenità la penna, libero dalle asprezze a cui inevitabilmente conduce la lotta contro le forze soverchianti, allietato, se mai dalla pace d'animo che segue ad una bella e buona battaglia sostenuta con fatica e sincerità. Perchè la nostra, giovani radicali, è stata veramente una bella e buona battaglia condotta dal primo giorno all'ultima ora in fraterno disinteresse, senza che un'ombra di egoismo o di calcolo velasse o affievolisse una esemplare solidarietà. E questa generosità non è stata solo fra noi, ma si è estesa ai rapporti coi nostri alleati Repubblicani i quali vorranno ricordare domani la prova di lealtà che hanno da noi avuto.

Noi anziani, passati attraverso la tristezza di ben diverse esperienze, non ci siamo mai trovati in compagnia più sincera e sicura di quella radicale. Che i giovani, in numero crescente e in un'ora non felice, sentano il valore di questo bene e vogliano conservarlo con noi ad ogni costo, è un segno propizio che supera e compensa ogni avversità. Vivremo, dureremo, avanzeremo a fatica, anche se i nostri maggiori avversari si azzardano a congratularsi del nostro trapasso fra le ombre. Ci siamo battuti contro comunisti e democristiani e dagli uni e dagli altri si leva contro di noi una concorde deprecazione, come se sulla nostra empietà fosse sceso un severo castigo da due opposte Provvidenze. L' on. Togliatti si rallegra di vederci pagare il fio del nostro anticomunismo come se per uomini, quali siamo, cresciuti alla luce delle libertà risorgimentali l'anticomunismo fosse una volgare eresia. I democristiani fanno eco annunciando dalle colonne del loro organo ufficiale che "i conti sono chiusi con le forze risor

gimentali", e noi siamo additati in prima linea fra quelle forze. In questo la concordanza fra i due massimi partiti è perfetta: per l'uno e per l'altro il grande sconfitto è il " Risorgimento " con tutto quello che contiene di libertà spirituali e di dignità civile. Consci di assicurare, con altre parti democratiche, l'irriducibile presenza delle "forze risorgimentali", non abbiamo nulla da rispondere ai comunisti dai quali nulla ci attendevamo. Massima attenzione dobbiamo invece all' ardire con cui gli interpreti del più retrivo pensiero cattolico pretendono di rovesciare alla leggera il corso della storia, illudendosi di riaprire e chiudere a loro modo quel "conto" che la più illuminata coscienza civile e religiosa del paese aveva regolato, in tempi meno oscuri, come la più alta conquista dell'Italia Unita. Una conquista che la costituzione Repubblicana ha solennemente riaffermato quando ha voluto garantire la libertà della Chiesa e dello Stato entro la intangibile sovranità delle rispettive sfere.

Siamo avvertiti. Parole imprudenti hanno rivelato agli italiani cosa li attende se essi allenteranno la loro vigilanza. Quelle parole, sfuggite all'organo responsabile del maggiore partito nella grossolana felicità del successo ci additano da sole il nostro dolore. Esse danno alla difesa laica, che è stata e sarà essenzialmente nostra, il senso di una estrema salvaguardia dell'indipendenza civile e della pace religiosa a cui il paese ha diritto e che, ancora una volta, una minoranza difenderà per il bene di tutti.

Del risultato di queste elezioni indette in vista di un vivo rinnovamento, e concluse nella stanca ripetizione del passato, ogni diagnosi è stata fatta. non è inutile però riassumere le cose così come le vediamo nei nostri occhi. Il Partito Comunista, nonostante la turbata intesa col P.S.I. e la crisi dei suoi ceti dirigenti e intellettuali, ha mantenuto le vecchie posizioni dando la prova aritmetica del suo massiccio immobilismo. In nome di istanze sociali che la democrazia italiana non ha saputo far sue e soddisfare, esso ha avuto, dai ceti sofferenti e da un più vasta soddisfazione degli animi, milioni di suffragi che ancora una volta restano accantonati al di fuori della responsabilità democratica. Su questo fronte quindi nulla di nuovo. La Democrazia Cristiana è riuscita a neutralizzare, dopo gravi ansietà, l'ondata crescente del pubblico sfavore aggrappandosi allo sfrenato intervento della Chiesa, scesa per la prima volta apertamente in campo come forza politica nel pieno spiegamento della sua autorità

spirituale e della sua organizzazione temporale, la D.C. ha toccato riva, con una forte affermazione, ma la vittoria non le appartiene, appartiene alla Chiesa che l'ha salvata e per questo più la dominerà. Nella stessa coscienza dei cattolici questa vittoria ha un sapore amaro. Per i credenti che non hanno rinunciato a giudicare in libertà di spirito, la Chiesa, spogliandosi di ogni riserbo e varcando la prudente misura del suo spirituale ufficio, ha dato prova esuberante della sua influenza politica, ma ne ha segnato anche il limite. La D.C. non ha conquistato la maggioranza assoluta perchè, a sua volta, la maggioranza dei cattolici non ha ritenuto valida la intimazione ecclesiastica di concentrare totalitariamente i voti su un partito "provvidenziale" e di negarli indiscriminatamente ad ogni altro partito. L'Italia cattolica si è divisa, la militanza clericale nella tensione del massimo sforzo si è contata ed ha così contestato l'impossibilità di superare il limite di sicurezza della libertà di coscienza

e delle garanzie democratiche che la proteggono. Il Socialismo, per il molto che lo riguarda, non è uscito dall'equivoco e nell' equivoco stesso ha trovato una delle ragioni del successo. L' on. Nenni non ha detto un no deciso alla parentela comunista, l' on. Saragat ha detto un no a fior di labbra alla parentela democristiana. Così, a cavallo fra due anime e due impegni politici il socialismo italiano per la sua stessa indecisione, ha convogliato a sé gli incerti. Se questo successo elettorale avvicini o allontani il processo di unificazione fa parte del mistero. Certo è che se l'unificazione non avverrà, ne l'una ne l'altra branca del socialismo riuscirà a sottrarsi alle attrazioni che lo insidiano, ne raggiungerà quella indipendenza ed autorità che ogni buon democratico deve augurargli nulla di speciale da osservare sulla sacrosanta caduta verticale delle fortune monarchiche e sul limitato ma costante regresso di quelle fasciste. Foglie staccate dal tronco istituzionale del paese e quindi secche o in via

di essiccazione.

Certo è che, sul piano democratico e costituzionale, le due sole nette sconfitte sono toccate alla alleanza radicale repubblicana ed al Partito Liberale, cioè alle due forze che si erano presentate su posizioni opposte ma egualmente chiare. Il P.L.I, in una versione tradotta nella lingua e nello spirito dell'on. Malagodi, si è presentato come il campione di una destra apertamente dichiarata e quindi meglio manifestata di quella camuffata sotto i segni del cesarismo laurino o della riesumazione fascista. A parte la contraddizione del nome, il P.L.I ha assunto, con le relative responsabilità, la fisionomia di un vero e proprio partito conservatore schierato in difesa di un limitato settore e di una ristretta concezione economica. La delusione che è toccata alla sua aspettazione ed a quella dei suoi sostenitori è dipesa in primo luogo da un errore di impostazione politico-economica centrata su alcuni dilemmi troppo elementari ed arcaici a cui nemmeno l' on. Malagodi, esperto in economia moderna, può credere. A

completare la disavventura liberale il resto lo ha fatto la imprudente campagna cucita a filo bianco di tutta la stampa ancorata alla più rigida destra economica, il peggio lo ha fatto la miope politica della Confindustria col suo troppo palese e compromettente soccorso di mezzi e di favori. Anche la Confindustria ha commesso il suo errore puntando clamorosamente su un solo cavallo. Anche essa così si è contata, ma il conto non le è tornato.

E veniamo a noi Radicali e ai nostri alleati repubblicani. Ci siamo presentati, sul versante opposto con altrettanta chiarezza come portatori di una visione politica di sinistra democratica e laica, moderata e coraggiosa, cioè moderna, opposta ai miti e alle sfide comuniste, indipendente dai miti e dalle esitazioni socialiste, ribelle alle tutele confessionali. Offrivamo al turbamento e allo sconteno dell'opinione media una via di uscita conforme a quella su cui procedano le più libere e giuste democrazie dell'occidente. Facendo precedere quello che prima deve venire, chiedevamo anzitutto la ricostruzione di uno Stato libero e capace, non insidiato nella sfera della sua competenza. Prospettavamo la fondamentale necessità di provvedere una forza di ricambio all'intoccabile egemonia della D.C. Affermavamo che senza questa effettiva emancipazione dello Stato, senza questa elementare normalizzazione della struttura e della funzione parlamentare, senza il parallelo riordinamento tecnico e morale della pubblica am

ministrazione (per il quale ci siamo battuti in un lungo passato di coerenza e di coraggio), non vi era possibilità di serio studio e di efficace applicazione di un qualsiasi programma soddisfacente l'interesse generale. Ovunque siamo giunti a penetrare siamo stati ascoltati e compresi e incoraggiati da quello che ci è apparso il meglio della nostra pubblica opinione, da una minoranza di animosi cittadini (quanti giovani fra di essi) a cui va la nostra gratitudine. Ma la maggioranza degli elettori democratici non ha potuto essere da noi nemmeno avvicinata in questo primo ed avventuroso contatto elettorale. Molti, che pure ci hanno intesi, non hanno osato raccogliere il nostro richiamo verso una più ampia visione di sinistra democratica rinnovata e disincagliata dai vecchi schemi custoditi dai vecchi partiti. E' una realtà che va accettata il nostro difetto è di aver preceduto i tempi. E' il difetto ed il merito di tutte le minoranze di punta. Ma il tempo cammina.

Continueremo a dire la nostra verità dalle colonne di questo giornale che ospita il nostro pensiero e quello dei nostri contraddittori in una polemica utile alla maturazione politica del paese. Quale è la nostra posizione di fronte agli altri partiti che affollano il parlamento? Io ritengo che come lo siamo stati, dobbiamo continuare ad essere attivi fautori di un "fronte repubblicano" che comprenda i partiti democratici che rifiutano il frontismo di marca comunista e stiano, alle tentazioni e flessioni, all'opposizione verso la Democrazia Cristiana. Aggiungo che, nell'accingerci alla paziente e meditata ripresa della nostra iniziativa e nel prevederne gli sviluppi, dobbiamo vedere chiaro e tenere fermo il concetto che ci qualifica e ci rende necessari come una formazione di sinistra democratica e laica decisa a vivere in piena autonomia da altre posizioni politiche, senza prestarsi a confusioni di idee o comunque ad attrazioni estranee alla sua dottrina ed al suo metodo. Perchè è certo che la collaborazione

dei partiti della sinistra democratica in un più largo fronte sarà tanto più valida e completa quanto più ogni forza partecipante porterà intatto il suo patrimonio di pensiero, di esperienze, di tradizione.

Questo volevo dire ai giovani perchè meditando su quanto avvenuto e guardando a domani, sappiamo che cosa pensa uno fra i più sinceri apprezzatori della loro buona volontà.

 
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