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Il Mondo - 27 settembre 1960
SOCIALISTI E RADICALI
di Anonimo

SOMMARIO: [Apertura di prima pagina, di "Anonimo"]. Dà notizia dell'accordo intercorso tra i due partiti in vista delle elezioni amministrative (1960), di cui difende e spiega le ragioni. Il partito radicale non è un partito "d'ispirazione socialista" né "marxista", ma ritiene giunto il momento di assumere "una vigorosa iniziativa di rottura e di trasformazione" per uscire dai governi di centro e realizzare "l'apertura a sinistra". I conservatori fanno previsioni pessimiste sul dopo-elezioni, ma invece occorre avere fiducia nelle possibilità di cambiamenti positivi. Il problema, come ha ricordato Nenni, è costituito dal comportamento elettorale di "due o tre milioni di elettrici e di elettori" della cui possibile evoluzione elettorale ha molta paura la DC; questo spiega i sogni della destra clericale ed economica, coi loro "tentativi e programmi di soluzione autoritaria". Milioni di persone subiscono ancora la "soggezione al parroco", ma "il mondo si muove e la vita moderna preme".

(IL MONDO, 27 settembre 1960)

Nei giorni scorsi il partito socialista e il partito radicale hanno concluso una alleanza in vista dell'imminente campagna elettorale. »Socialisti e radicali , dice il comunicato conclusivo, »si sono trovati d'accordo nel proposito di proseguire la lotta per una svolta a sinistra della politica italiana che assicuri stabili condizioni di libertà, di giustizia e di benessere. Hanno ritenuto che la prossima consultazione elettorale sarà il banco di prova di questa politica alla quale guarda la grande maggioranza degli italiani. Essa dovrà superare l'attuale situazione transitoria di emergenza, della quale il governo Fanfani è espressione, riproponendo ai partiti e soprattutto alla DC il problema di una scelta già indicata dalla volontà antifascista al paese .

Non crediamo ci sia bisogno di spiegare ai nostri lettori il valore politico di questo accordo. Il partito radicale, si sa, non è un partito d'ispirazione socialista, non è un partito di massa, non è un partito classista né tanto meno marxista. E' un movimento di opinione, è una partito che trova le sue origini nella grande tradizione risorgimentale di democrazia liberale e progressista che accompagnò il paese, si può dire, dalla lotta per l'unità d'Italia all'insurrezione antifascista e alla Liberazione. Se oggi i radicali, in piena autonomia, si schierano accanto al partito socialista nella competizione amministrativa, rammaricandosi di non aver vicini nella lotta comune repubblicani e socialdemocratici, ciò vuol dire che essi giudicano la situazione politica matura per una nuova vigorosa iniziativa di rottura e di trasformazione. Dal giorno della sua formazione, val la pena di ricordarlo, il partito radicale ha combattuto con coerenza il centrismo e il frontismo. Prima di ogni altra forza politica ha rite

nuto irreversibile la spinta autonomista del partito socialista; e non solo l'ha ritenuta irreversibile ma necessaria e quindi da favorire in ogni modo. Non si tratta di un'operazione di piccola tattica ma di un problema fondamentale per la politica italiana. Questo giudizio dettava naturalmente i modi e i programmi di azione.

Come sempre succede per le idee giuste, i radicali dapprincipio si trovarono soli. La valutazione positiva che i radicali davano del processo di autonomia socialista parve una stortura politica e ideologica, un'esaltazione di cervelli avventati e giacobini. Il centrismo dominava la scena, né sembrava possibile scuotere il vincolo di dipendenza che legava ai democristiani i partiti minori. Ebbene, a poco a poco, le cose mutarono. Repubblicani, socialdemocratici, democristiani di sinistra, con infiniti sbandamenti, perplessità, pentimenti, si resero conto che il centrismo era ormai una lampada spenta e che i consensi popolari sempre più si allontanavano dai partiti della ``solidarietà democratica''. Il centrismo voleva dire conservazione, sottogoverno, conformismo, clericalismo, affarismo. In pochi anni la Chiesa aveva costituito un vero e proprio supergoverno di cui i traballanti ministeri quadripartiti, tripartiti, monocolori, erano soltanto i governatorati vicari. Comandavano i cardinali e non i ministri. L

e parole dei vescovi guidavano i deputati e i prefetti.

A un certo momento qualcosa accadde che resta un punto fermo nella nostra storia. La democrazia cristiana, i repubblicani, i socialdemocratici, dopo una lenta maturazione, si dichiararono infine favorevoli alla svolta a sinistra. Quello che è avvenuto dopo è scritto nella cronaca delle agitate giornate di luglio: oggi, alla vigilia delle elezioni amministrative, il problema della svolta a sinistra è ancora il problema numero uno della politica italiana.

A differenza degli altri partiti, parliamo qui dei partiti democratici, laici, di sinistra, e non delle forze conservatrici o comuniste, i radicali non si preoccuparono di guardare ogni giorno il termometro per misurare il grado di autonomia che il socialismo manteneva nei confronti del comunismo. La piccola tattica di contare ora per ora i passi avanti e i passi indietro di questo partito, i finti stupori che si alternano ai mezzi sospiri di sollievo, le recriminazioni mescolate alle sollecitazioni, fanno parte di un repertorio che i radicali non amano sentir recitare. La questione non si risolve sedendosi come spettatori in un palchetto. Se si tiene necessaria la svolta a sinistra e una politica progressiva e riformatrice, bisogna impegnarsi per attuarla. Se il matrimonio si deve fare bisogna che tutti e due i promessi si muovano uno incontro all'altro.

Si sente dire da molte parti che le ultime vicende del partito socialista, legato ancora al partito comunista perché impegnato in molti comuni a formare maggioranze di estrema sinistra, renderanno impossibile dopo le elezioni una nuova politica e un nuovo governo. E molti sussurrano che, dopo le elezioni, i socialdemocratici e i repubblicani finiranno per rendersi conto dei loro errori e stringeranno finalmente la mano all'on. Malagodi che non ha mai cessato di considerare una sciagura l'apertura a sinistra. Il sei novembre dovrebbe segnare la fine delle utopie, ``le utopie sinistrorse'', per usare il loro bel linguaggio, e il ritorno, non sappiamo se trionfale o mortificato, del quadripartito. In tutte le grandi città dove appaiono possibili oggi giunte di centro sinistra, la democrazia cristiana si alleerebbe invece con le destre, d'accordo, naturalmente, con repubblicani e socialdemocratici. I socialisti sarebbero ributtati nelle braccia dei comunisti insieme con i cattivi radicali. Una grande quaresima v

errebbe dedicata alla confessione dei peccati, alla contrizione e all'espiazione dei Moro, dei Reale, dei Saragat e dei Fanfani.

E' sempre difficile far profezie in questo paese. Può essere che appariranno esatte le previsioni dei conservatori. Ma noi abbiamo l'impressione che le cose si svolgeranno diversamente. Sette anni non sono passati invano, e le giornate di luglio sono ancora nella memoria di tutti. Le settimane che seguiranno le elezioni amministrative saranno probabilmente un periodo critico della nostra storia avvenire. Il problema sempre rinviato, irritante, tormentoso, di un assetto stabilmente democratico del nostro paese, il grande quesito di sapere a chi spetta di comandare in Italia, tornerà sempre più vivo, urgente, indifferibile. Da mezzo secolo almeno in Italia hanno comandato i padroni di Malagodi. Una classe dirigente, mezzo laica, mezzo ecclesiastica, mezzo democratica, mezzo spagnolesca, continua a dominare. Che una parte del paese viva ancora in condizioni di miseria e di esclusione dalla vita civile, è cosa che non riguarda la grassa borghesia, accecata dal ``boom'' economico e dai miracoli borsistici.

Nel suo ultimo discorso al consiglio nazionale del partito socialista, Pietro Nenni ha ricordato che esistono »dai due ai tre milioni di elettrici e di elettori che si interrogano sull'uso che hanno fatto precedentemente del loro voto e sull'uso del voto che daranno il sei novembre . Non a torto i democristiani più consapevoli guardano con apprensione alla progressiva erosione che l'elettorato di centro destra subisce dal 1948 ad oggi. Uno spostamento di un milione di voti può determinare il crollo della dominazione democristiana. Si spiegano in questo modo i sogni della destra clericale ed economica di tamponare il deflusso con tentativi e programmi di soluzione autoritarie. Lelio Basso ha giustamente denunziato nella DC le forme caratteristiche del partito totalitario di massa, »forme che sono rappresentate , egli ha detto, »dalla coesistenza nello stesso partito di forze di destra egemoniche e di forze popolari subalterne . Non dovrebbe essere lontano però il giorno in cui queste forze subalterne si liber

eranno da una egemonia così pesante. Milioni di operai, artigiani, contadini, impiegati, professionisti, subiscono ancora, contro i loro interessi, la soggezione al parroco e pagano a caro prezzo la loro ingenua fede religiosa. Ma accanto a loro il mondo si muove e la vita moderna preme con i richiami del benessere e della sicurezza. Quando avranno aperto gli occhi si accorgeranno che non è un fatale disegno divino la loro condizione di minorati. Il ``margine di sicurezza'' che la destra difende per conservare la propria supremazia può un giorno non lontano saltare a favore delle opposizioni. Coloro che temono oggi uno spostamento di suffragi nelle grandi città a favore dei comunisti, non si accorgono che rifiutando ogni collaborazione dei socialisti, possono rischiare sul piano nazionale un rovesciamento di maggioranze volto fatalmente contro di loro. Missiroli condannava domenica l'on. Nenni perché voleva »un generale spostamento del paese a sinistra . Ricordava poi maliziosamente che l'on. Togliatti aveva

rincalzato chiedendo »un vasto spostamento di masse popolari nel medesimo senso. »Abbiamo capito , concludeva Missiroli. Come si vede non aveva capito nulla.

 
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