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Gozzi Federico, De Caprariis Vittorio - 18 ottobre 1960
SOCIALISTI E COMUNISTI
di Federico Gozzi

SOMMARIO: Solleva riserve sulla campagna elettorale [per le elez. amministrative del novembre, n.d.r.] del partito comunista. Esso sostiene che occorre battere "tutta la democrazia cristiana"; tale affermazione "contiene una polemica appena sottintesa contro i partiti della sinistra democratica" che si rifiutano di considerare la DC "come un blocco monolitico". La posta in gioco è dunque se fallirà o si realizzerà, invece, la "possibilità" di una "grande operazione politica" a livello "nazionale", per "sbloccare la situazione" [si intende qui il Centro-sinistra, n.d.r.]. Togliatti attacca il P.S.I. a Milano. Ingrao si scaglia contro le giunte di "centro-sinistra": repubblicani, socialdemocratici, socialisti hanno "salvato" in parlamento la D.C. dopo la crisi tambroniana. consentendo il governo Fanfani, ecc.

Ciò che in realtà preoccupa i comunisti è proprio la possibilità di una "alterazione dei rapporti di forze all'interno del blocco di sinistra a favore dei socialisti". Per questo, attaccando violentemente la DC, essi in realtà vogliono indebolire le prospettive di un P.S.I. diventato "autonomistico". [ricordiamo che Federico Gozzi è lo pseudonimo di Vittorio De Caprariis].

(IL MONDO, 18 ottobre 1960)

I rumorosi attacchi che in queste settimane di contesa elettorale i comunisti muovono contro la democrazia cristiana, contro "tutta la democrazia cristiana", come essi amano specificare, non bastano a distogliere l'attenzione da quella che per il PCI è la reale posta in gioco delle elezioni amministrative di novembre. E del resto già la specificazione che s'è ricordata dovrebbe indurre a riflettere che nei propositi comunisti v'è qualcosa d'altro, che va ben al di là delle fortune elettorali del partito cattolico.

L'affermazione che il nemico da battere è "tutta la democrazia cristiana", infatti, contiene una polemica appena sottintesa contro i partiti della sinistra democratica, dai repubblicani ai socialisti, che si rifiutano di considerare la stessa DC come un blocco monolitico tutto reazionario, che individuano concordemente l'avversario più temibile nei gruppi clerico-fascisti che sono intorno e dentro il partito cattolico, e che, insieme, intravvedono la concreta possibilità di una grande operazione politica, al livello locale e a quello nazionale, per sbloccare la situazione, operazione che può e deve essere compiuta assieme alle forze democratiche che pure costituiscono buona parte della democrazia cristiana. E' la possibilità che da queste elezioni possa uscire rafforzata la prospettiva di tale operazione politica, che, anzi essa possa passare dal campo delle ipotesi a quello della realtà, che costituisce il pericolo maggiore pei comunisti, ciò che essi temono più ancora, che il monopolio politico della DC.

E basta guardarsi intorno per rendersene conto. Non è certo un caso che l'on. Togliatti abbia aperto la campagna elettorale del suo partito proprio a Milano, dove le tradizioni socialiste sono più lontane e più forti che altrove, dove la vocazione di un socialismo autonomo e democratico fa una cosa sola coi ricordi dell'antico prestigio e delle antiche vittorie, dove, finalmente, nelle elezioni amministrative del 1956 il PCI ebbe a subire un forte colpo proprio ad opera del socialismo autonomistico. Neppure è un caso che appunto da Milano l'on. Togliatti abbia rivolto contro la politica del PSI la grave accusa di ambiguità e di colpevole abbandono della causa dell'unità dei partiti popolari, dando così il via alla campagna antisocialista. E quello che una settimana era appena un accenno, che poteva essere colto solo dagli osservatori attenti, dopo i discorsi di domenica non è più un mistero per nessuno: la politica di centro-sinistra ha preso senz'altro il posto della democrazia cristiana nell'oratoria di co

mizio comunista, ed ogni pretesto è diventato un alibi eccellente per attaccare i socialisti.

Se il PSI non fa blocco coi comunisti viene accusato di ossessione della solitudine e di segrete intenzioni capitolarde; se, invece, si allea coi "borghesi radicali", è accusato d'incoerenza per aver richiesto una legge elettorale che consentisse di mettere fine alla politica dei blocchi contrapposti, e per essersi, poi, alleato col partito radicale. Quest'ultimo, a sua volta, è diventato il pretesto per ogni sorta di recriminazioni critiche e polemiche, se non addirittura il simbolo di una nuova politica dei socialisti: appunto i discorsi dei radicali, la loro richiesta di una coerente politica di centro-sinistra, serve da occasione per intimare al PSI la denuncia e la rinuncia alla politica autonomistica, a tutta la loro azione degli ultimi anni. Il caso più recente ed eloquente è quello del discorso dell'on. Ingrao a Terni: "questa delle giunte di centro-sinistra, ha detto appunto Ingrao, è una questione su cui occorre fare la massima chiarezza, perché l'elettorato popolare e in particolare quello sociali

sta debbono sapere per quali maggioranze dovrà servire il voto che ad esso viene chiesto": dove è facile intravvedere la minaccia di una denuncia per tradimento della classe operaia.

Ma dove è facile, altresì, intravvedere che ciò che i comunisti avversano più di ogni altra cosa è la prospettiva di una politica di centro-sinistra. Il governo Tambroni, essi argomentano, non fu l'ultimo tentativo di prevaricazione clerico fascista, perché quello Fanfani non è già il "governo di restaurazione della legalità democratica e di rispetto della costituzione", da loro richiesto, ma l'inganno estremo fatto alla coscienza antifascista del paese, che è stato, con esso, privato del suo successo di luglio. E se i vincitori poterono essere spogliati della vittoria, ciò avvenne perché una parte di essi, rompendo il fronte democratico che s'era creato nelle piazze, consentì che si formasse appunto l'attuale governo. Repubblicani e socialdemocratici con l'appoggio dei socialisti, che si astennero in parlamento, avrebbero, perciò, aiutato la democrazia cristiana a conservare il monopolio del potere. L'aver commesso un così grossolano errore sarebbe non solo prova dell'incapacità politica dei partiti della s

inistra democratica, ma anche testimonianza del tradimento che essi hanno consumato ai danni dello spirito antifascista del paese e ai danni delle più autentiche speranze popolari. E d'altra parte lo stesso errore sarebbe prova anche di quanto astratta ed irreale e, in analisi estrema dannosa sia la svolta a sinistra, la politica di centro-sinistra, che tutte le forze della sinistra democratica, dai repubblicani ai socialisti, auspicano ed esigono dalla DC come ulteriore svolgimento delle giornate di luglio. Il solo modo concreto che vi sia oggi di spezzare il monopolio politico democristiano è di allearsi col PCI, di costituire un fronte all'estrema, che sia tanto forte da imporre ai democristiani le sue condizioni; tutti gli altri tentativi sono, invece, destinati ad accrescere, e non a diminuire, il potere della DC: è quello che ha ripetuto ancora ieri l'on. Togliatti.

Ciò che interessa non è tanto criticare queste proposizioni, che del resto il semplice buon senso è sufficiente a confutare, quanto rilevare lo stato d'animo e la preoccupazione politica che lo detta. I dirigenti del PCI sanno benissimo che un'eventuale ulteriore flessione della destra monarchica e neofascista ed il conseguente rafforzamento della DC non sarebbero, dal loro punto di vista, una grave iattura. E sanno anche che neppure il permanere dell'attuale equilibrio di forza tra quelli che essi considerano i due blocchi contrapposti di destra e di sinistra sarebbe molto dannoso si loro fini. Ciò che li impaurisce, invece, è una possibile alterazione dei rapporti di forze all'interno del blocco di sinistra a favore dei socialisti: poiché questa alterazione, provando che la politica autonomistica ha il consenso del corpo elettorale, agevolerebbe l'ulteriore allentamento dei rapporti tra il PSI ed il PCI e favorirebbe l'attuazione concreta di una svolta a sinistra nella politica nazionale. E poiché i comuni

sti comprendono perfettamente che il successo di una tale politica diminuirebbe il margine del loro campo di manovra e a poco a poco finirebbe col privarli di mordente, fino a svuotarli del tutto, essi sostengono che devono impedire ad ogni costo che ciò avvenga.

Dal '56 ad oggi, a mano a mano che la politica autonomistica del PSI è venuta prendendo corpo, è passata dai propositi e dalle dichiarazioni di principio agli atti concreti, le difficoltà dei comunisti si sono accentuate e i comunisti medesimi sono passati gradualmente da un atteggiamento benevolmente sornione (di chi sa di essere più bravo e più rapido nella manovra tattica e nei cosiddetti salti della quaglia) alla diffidenza e al sospetto, agli ammonimenti severi ed ai colpi di spillo. Ed oggi che il punto centrale della lotta elettorale è il rafforzamento della politica autonomistica del PSI e dunque il naufragio dei residui sogni frontisti, dagli ammonimenti e dalle schermaglie i comunisti sono passati alla polemica aperta nei comizi e nella stampa, nelle cooperative e nelle fabbriche. Quando i dirigenti del PCI intonano i loro inni straziati alla solidarietà di classe e all'unità delle forze popolari minacciate ed anzi infrante, non pensano affatto alla DC ma ai socialisti, non vogliono affatto limitar

e il monopolio democristiano del potere, ma stroncare i socialisti. Questa è dunque la prima volta che i comunisti rinunciano ad ogni accorgimento tattico e scatenano un attacco frontale, violento e senza esclusioni di colpi: l'avversario principale del PCI, il nemico da battere realmente, non è tanto la democrazia cristiana, quanto il socialismo autonomistico. Le prove teoriche e politiche del tradimento socialista sono state già raccolte; l'articolo sul "socialtraditore" Nenni è stato già scritto: non resta che mandarlo in tipografia.

 
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