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Spadaccia Gianfranco - 28 febbraio 1962
Crisi di iniziativa politica
di Gianfranco Spadaccia

SOMMARIO: Approfondita analisi critica dei processi politici in atto all'interno del Partito radicale. Partendo dalla presa d'atto del gruppo degli "Amici del Mondo" in seno al Consiglio Nazionale appena svoltosi, consistenti in una richiesta di "tutela dell'autonomia del partito", Spadaccia ne confuta le basi culturali e politiche. Non è possibile riproporre oggi in termini "giolittiani", il tema della "democratizzazione del socialismo"; tale obiettivo è storicamente superato mentre ciò che emerge dalla richiesta è l'incapacità del gruppo dirigente radicale ad adeguarsi ai tempi e anche alle nuove posizioni esposte da Valiani, secondo cui il Partito radicale deve essere la "componente liberale della sinistra". Di fronte ai nuovi problemi emergenti in Italia e in Europa, quella espressa da Valiani è posizione solo strumentale. Infine, deplora che Valiani abbia rassegnato le dimissioni dalla direzione. (Vedi la scheda su "Sinistra Radicale", a.b., nel testo n. 3669)

(SINISTRA RADICALE N. 5, febbraio 1962)

Il gruppo degli amici del Mondo, ha rivendicato in Consiglio Nazionale, la tutela della autonomia del Partito. Ma la autonomia di un Partito e la validità della sua funzione nella vita politica del paese si giudicano dalle iniziative e dalle proposte politiche prima che dai nomi degli uomini che sono chiamati a dirigerlo.

Allo stato dei fatti la pretesa ci appare ingiustificata. La esigenza della autonomia è rivendicata anche nel documento che questi amici hanno presentato al Consiglio Nazionale, ma i discorsi che abbiamo ascoltato non sono assolutamente tali da garantirla.

Abbiamo sentito riproporci, in termini giolittiani, il tema della democratizzazione del socialismo e del suo inserimento nella direzione dello Stato. E' un tema logoro: lo hanno consumato cinquant'anni di storia europea. Ovunque in Europa i socialisti si sono democratizzati, si sono nazionalizzati, si sono inseriti nel sistema e, contro ogni aspettativa, non hanno prodotto il rinnovamento della democrazia, ma ne hanno subito la crisi. E' una processo che ha avuto inizio in Europa con la prima guerra mondiale e che in Italia si è arrestato con il sorgere del fascismo: i risultati li vediamo in Francia e in Belgio, in Germania e in Inghilterra, dove i socialisti sono grosse forze strutturalmente in minoranza e incapaci di alternativa. Ma la coscienza di tale crisi europea del liberalismo e del socialismo è mancata completamente nei discorsi degli uomini della attuale direzione radicale.

Incapaci di inquadrare in questa dimensione il problema dei rapporti col PSI essi si sono rifugiati ancora una volta nel comodo schema giolittiano che non regge di fronte all'Italia e all'Europa del 1962 e di fronte alle trasformazioni che la società e lo Stato hanno subito con venti anni di governo fascista e quasi altrettanti di governo cattolico.

E la funzione dei radicali in questo processo? Dovrebbe consistere nel sollecitare e proporre l'unità dei quattro partiti laici e una politica unitaria della sinistra democratica. La proposta del fronte repubblicano della sinistra democratica, lanciata nel 1956 a Torino, ha trovato concorde per un lungo periodo di tempo tutto il Partito. Era allora una proposta politica che i radicali avanzavano agli altri partiti sullo slancio della iniziativa laica e della vivace battaglia di opinione che agitavano nel paese. Il Partito Radicale non si limitava a sollecitare uno schieramento di partiti, ma proponeva gli obiettivi di fondo intorno ai quali questo schieramento doveva realizzarsi e li desumeva dalla propria autonoma iniziativa politica.

Negli ultimi due anni questa iniziativa politica è venuta meno, l'impegno laico che aveva animato le battaglie politiche dei radicali è stato pressoché liquidato dalla classe dirigente del Partito. Si direbbe che questi amici, abituati a combattere la D.C. di Zoli, di Segni e di Tambroni e la politica ecclesiastica di Pacelli, di Siri e di Ottaviani, siano stati presi di sorpresa dagli avvenimenti. Non avevano previsto la D.C. di Moro e di Fanfani e la nuova, più morbida, politica della Chiesa e sono stati incapaci di adeguare l'iniziativa politica del Partito alla mutata strategia della D.C. e alla mutata situazione politica del paese.

In queste condizioni non esiste una politica radicale e la proposta della sinistra democratica diventa poco più di una formula. I rapporti fra PSI e PSDI, fra PSI e PRI si decidono in Parlamento e rispetto a questo processo il Partito Radicale è una forza assolutamente periferica e marginale non soltanto perché manca di una base elettorale ma perché manca di una iniziativa politica.

L'unico che ha tentato di riempire questo vuoto è stato, in Consiglio Nazionale, Leo Valiani. Trascinati dalla forza evocativa del suo intervento, come già è avvenuto altre volte nel passato, molti consiglieri nazionali hanno abbandonato ogni riserva critica, hanno avuto la sensazione di ritrovare una guida e una indicazione e, con essa, la coscienza di una funzione precisa del Partito Radicale.

Entusiasmo ingiustificato e sensazione effimera.

Il Partito Radicale è per Valiani la componente liberale della sinistra, il Partito che dal 1956 ha parlato per il paese, lavorando per la svolta a sinistra. Questa è anche oggi - per Valiani - la sua funzione: "Noi dobbiamo spiegare alla sinistra italiana che, senza l'accettazione piena e integrale dell'alleanza atlantica, pur con tutte le critiche che al suo interno si possono avanzare, essa si fa sconfiggere di nuovo come nel '19 e nel '47...". "Io sono per una alleanza elettorale col PSI, ma ad una condizione: che si faccia in Italia una alleanza democratica generale, in cui accetteremo molte esigenze del movimento socialista, ma in cui loro devono accettare questa nostra esigenza in fatto di politica estera...".

La formula della sinistra democratica è il modo di imporre al P.S.I. la politica atlantica. "Se noi ci rivolgessimo soltanto al PSI escludendo PSDI e PRI, gli daremmo ragione nei confronti degli altri sul terreno sul quale non ha ragione e sul quale, se gli dessimo ragione, lo faremmo camminare verso la sua e la nostra sconfitta anziché verso la sua e la nostra vittoria".

Siamo radicalmente in disaccordo, come gli amici che seguono il notiziario sanno. Dal discorso di Valiani resta fuori la crisi della democrazia in Europa, concepita da lui come errore o deviazione e non come crisi di sistema; resta fuori il terzo mondo, che esiste solo come campo di manovra delle due grandi potenze continentali; resta fuori il problema del disarmo, la cui soluzione passa attraverso l'Europa; resta fuori il problema degli obiettivi della svolta a sinistra in Italia che Valiani dà per scontati mentre non lo sono affatto.

E' un discorso che richiede una più ampia risposta, alla quale non ci sottrarremo, nell'intervallo da qui al congresso.

Ma fin d'ora riteniamo di poter dire che la funzione che Valiani attribuisce al Partito è strumentale, secondaria e transitoria rispetto ad un'operazione politica che ci è largamente estranea. Valiani sa benissimo che è così; se credesse veramente il suo discorso valido a garantire l'autonomia e la crescita al Partito Radicale, non avrebbe citato, un uomo come lui abituato nella vita politica a pagare di persona, ad assumerne la segreteria. Invece è tornato a Milano ed ha rassegnato le dimissioni dalla Direzione, lasciando ai suoi amici piena libertà circa l'uso da farne.

Prendano atto gli amici del Mondo che Valiani è stato di passaggio e si decidano a dare al Partito ciò che il Partito chiede: proposte e prospettive politiche da confrontare liberamente con quelle provenienti da altre parti.

 
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