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Pasolini Pier Paolo - 5 aprile 1963
NON CREDO NELLE NUOVE SINISTRE
di Pier Paolo Pasolini

SOMMARIO: Il 28 aprile del 1963 si svolgevano in Italia le elezioni alle quali il Partito radicale, appena uscito dalla crisi, non partecipò. Diffuse però un fascicolo contenente giudizi di numerosi intellettuali sulla crisi delle sinistre, e sulla via per uscirne lungo un processo "realmente rivoluzionario" capace di rinnovare le sinistre del "triangolo Milano-Parigi-Dusseldorf", cioè dell'Europa. Tra gli interpellati oltre a Pasolini, c'era Elio Vittorini appena rientrato nel Partito radicale. L'opuscolo è oggi introvabile; lo scritto di Pasolini è dunque, praticamente, un inedito.

Cari amici, non posso rispondervi da uomo politico, e neanche da cittadino che fa, della politica, il versante pratico della propria vita. Posso rispondervi da uomo emotivo, ingenuo, oltre che per la natura, anche per le circostanze che mi respingono indietro, ai margini, là dove l'uomo se ne sta solo con le sue ansie. Una ondata di irrazionalismo, dunque, sul castello razionale che ho tentato di costruirmi, con letture e vita pubblica, durante gli anni cinquanta. Quali indicazioni "realmente rivoluzionarie" dare alle "forze laiche e democratiche del mondo occidentale" (ossia ai borghesi che non si sono dimenticati di essere uomini)? Non credo altro modo, altra possibilità rivoluzionaria, altra alternativa, che quelle classiche della lotta operaia. Oggi più che mai. Si tratta di vedere cosa è andato perso in questi anni, nelle "forme interne" di questa lotta, così da darci un senso di delusione, o di insoddisfazione ecc.

E' chiaro, Stalin. L'unico modo - per me s'intende - di "riproporre indicazioni di fondo realmente rivoluzionarie" è chiarire storicamente, con forza accanitamente esaustiva, questo "errore". Ecco perché tanta inquietudine nei partiti comunisti europei, e quindi tanta insoddisfazione negli "indipendenti di sinistra" e, infine, tante tentazioni neo-liberali, radicali: perché ancora nessuno ha capito e ha spiegato, con quella esattezza storica che esaurisce e dissacra i fatti, le ragioni di quell'errore. Così ce lo trasciniamo dietro in disgeli che non sono disgeli, in superamenti che non sono superamenti, in nuovi corsi che non sono nuovi corsi. Tattiche, diplomazie, in campo ufficiale - perché purtroppo anche un partito rivoluzionario ha la sua ufficialità - nobili crisi in campo ideologico, ecc. ecc.

Io, per me, sognerei una "Dieta", con partecipazione plenaria delle "teste storiche" di tutti i partiti comunisti, per trovare insieme una spiegazione storica, ideologica, filosofica di Stalin. Fin che egli non sarà capito, vivrà, e fin che egli vivrà, il comunismo nel mondo non avrà la forza di "riproporsi come reale indicazione rivoluzionaria". Altre indicazioni, ripeto, non ne vedo. E, con questo, rispondo anche alla vostra terza domanda: negativamente.

Non credo nelle opposizioni borghesi, non credo nei movimenti pacifisti borghesi e nelle "nuove sinistre", per quanto abbia per esse tutta la simpatia che una persona civile (e emotiva, e ingenua com'è il borghese che sono io) può provare. Non mi piace fare la parte dell'uomo pratico, realista e pessimista: ma devo onestamente dire che non credo alla trasformazione delle "strutture militari in servizio civile", attraverso la lotta dei pacifisti (mi stava per scappare un lapsus: azionisti) borghesi.

La seconda domanda che ponete mi sembra la più impegnativa: ma è quella che più sfugge alle mie competenze... Potrei legger la sostituzione del triangolo "Genova, Milano e Torino" col triangolo "Milano, Parigi e Dusseldorf" come l'equivalente pratico, fattuale, della sostituzione del capitalismo col neocapitalismo. Lo scossone ideologico e terminologico che questo aggiornamento implica non mi pare essere ancora dominato dai partiti comunisti europei. C'è in essi qualcosa di antiquato: i loro discorsi fanno un po'... anni cinquanta. Guardate un po' il fervore statistico, propagandistico, terminologico dei partiti al potere: che aria nuova, ottimistica, tirata a lucido... Essi hanno in mano, da padroni, lo spostamento dalla provincia all'Europa. Ed è qui che tornerebbe profondamente utile un dialogo, un rapporto, una sincronia di lotta tra i partiti comunisti e i "borghesi all'opposizione": sono questi che potrebbero avere, più liberamente, la forza di aggiornare le cose, di impostarle più spregiudicatamente e

modernamente. I movimenti operai classisti rischiano, appunto, di essere un po' "classici" e hanno bisogno di una lotta interna di rinnovamento; hanno bisogno di "nominare" le cose modificandone un po' quei significati il cui raggiungimento è costato tanta fatica, e tanta lotta, e tanto sangue.

Cordialmente, vostro

 
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