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Vittorini Elio - 10 aprile 1963
IL VOTO RADICALE (2): Elio Vittorini

SOMMARIO: Il 28 aprile del 1963 si svolgevano in Italia le elezioni alle quali il Partito radicale, appena uscito dalla crisi, non partecipò. Diffuse però un fascicolo, curato da Elio Vittorini, Marco Pannella e Luca Boneschi, contenente giudizi di numerosi intellettuali sulla crisi delle sinistre, e sulla via per uscirne lungo un processo "realmente rivoluzionario" capace di rinnovare le sinistre del "triangolo Milano-Parigi-Dusseldorf".

Per Elio Vittorini i socialisti svolgono la loro attuale politica di centro-sinistra in base alla vecchia impostazione togliattiana che transigeva su tutte le questioni laiche pur di poter collaborare con i cattolici.

(IL VOTO RADICALE, 10 aprile 1963)

"Io ho oscillato in questi ultimi anni, nelle scelte elettorali, tra partito socialista e partito comunista. E' un oscillare che risponde a due interessi che hanno in me uguale tensione: - l'interesse per la politica come possibilità amministrativa di salvezza degli uomini nell'immediato, nel quotidiano, nel discontinuo; - e l'interesse per il significato culturale, e cioè globalmente storico, dell'azione politica stessa.

Posso rimandare in proposito, per spiegarmi subito meglio, a una nota che ci accade di scrivere su un numero di" Politecnico "il 23 marzo 1946, commentando un articolo di Karl Renner, allora presidente socialdemocratico della repubblica austriaca. "Lo articolo di Renner", vi dicevamo, "non potrebbe essere più felice come condensazione di saggezza politicamente marxista... Nasce tuttavia il dubbio che una simile attività di realizzazione politica non risponda più al motivo rigeneratore per cui si formò il marxismo... Oggi molto è cambiato dai tempi di Marx. Ma il mondo e l'uomo non fanno ancora oggi lo stesso" `disgusto' " che ai tempi di Marx? Non c'è ancora oggi motivo di desiderare che mondo e uomo cambino?... Il marxismo della saggezza politica, anzi amministratore, sembra prescindere da questo" disgusto, "questo desiderio... Noi non neghiamo l'importanza della saggezza politica. Non la diminuiamo nemmeno. Che però la saggezza politica si compiaccia a tal punto di sé da porsi essa stessa a dottrina, ci al

larma e preoccupa... Dietro la saggezza politica di un marxismo che amministra... deve pur esserci un furore culturale che miri ancora a cambiare questa sporca faccia del mondo. La vitalità stessa del marxismo è appunto nel suo furore culturale. E può superare tutte le posizioni dottrinarie o anche scientifiche che si è conquistate, per il fatto che, di là da esse, contiene una netta negazione e volontà creatrice di preciso valore culturale..".

La nota riguardava, al momento in cui fu scritta, non soltanto i socialisti ma anche i comunisti. Tutti due i partiti facevano allora parte, con lo stesso impegno e le stesse debolezze, del governo italiano. Né oggi io ritengo, nel citarla, di poterne limitare il senso ad esprimere le mie riserve solo sul partito socialista. In fondo i socialisti svolgono la loro attuale politica di centro-sinistra ancora in base alla vecchia impostazione togliattiana che transigeva su tutte le questioni laiche pur di poter collaborare coi cattolici. E i comunisti rimangono ben lontani, nel modo in cui conducono oggi la loro opposizione, dal dare quelle rassicurazioni di carattere "culturale" (di carattere globalmente storico) che noi ci troviamo, in mancanza d'altro, a cercare in loro.

Il guaio, nelle verifiche elettorali, è che il voto non possa portare in sé una motivazione. Noi votiamo per chiedere, per premere, per spingere, facendo generosamente un credito che speriamo si sappia interpretare. E i partiti invece si prendono invariabilmente il nostro voto come un applauso, o addirittura un festoso scodinzolio al loro modo di comportarsi.

 
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