SOMMARIO: Con la sentenza contro Aldo Braibenti si sta attuando un processo alla cultura, all'arte, alla psicanalisi, al mondo intellettuale, a valori essenziali della civiltà moderna, a comportamenti e sfere che riguardano solo l'intimità di ogni cittadino. Per questo i radicali si pongono a fianco di Braibanti.
(NOTIZIE RADICALI N. 38, 16 luglio 1968)
DICHIARAZIONE DI UN GRUPPO DI ESPONENTI RADICALI SULLA SENTENZA DEL PROCESSO BRAIBANTI, REDATTA DALL'EX SEGRETARIO NAZIONALE DEL P.R. E DIRETTORE DI "AGENZIA RADICALE", MARCO PANNELLA.
"Dopo qualche secolo, la giustizia italiana ha potuto finalmente porre di nuovo le mani su una strega, che da 46 anni s'era iscritta all'anagrafe del nostro paese con il nome di Aldo Braibanti.
Già la giustizia militare tedesca e quella dei coadiutori Carità e Koch, ne avevano, oltre vent'anni fa avuto sentore: ma s'erano lasciati scappare la preda; e il "progressista" codice Rocco, se aveva inserito nelle nostre leggi il delitto di plagio, aveva però dimenticato di confermare la punizione del rogo. Non addebitiamo quindi agli estensori del verdetto la responsabilità - per ora - mancato incenerimento del satanico personaggio.
Dalla condanna a 9 anni di Aldo Braibanti vengono anche altre preziose indicazioni.
Per esempio, quella dell'implicita esortazione a tutte le famiglie italiane a risolvere in modo nuovo e radicale i dilaganti dissensi di generazione o di pensiero, che possono porle in crisi.
Per i giovani ribelli di sempre, per i giovani artisti, per gli studenti, il diritto e la scienza contemporanei offrono infatti ormai, in Italia, cure adeguate che si sintetizzano in tre momenti: ratto; alcune decine di applicazioni di elettroshoc (o meglio di determinazione di uno stato di coma insulinico) che ne modifichi l'Io; divieto assoluto - pena la morte civile - di vivere fuori dalle mura paterne oltre il tramonto e di toccare qualsiasi libro edito negli ultimi cento anni, non foss'altro che dalle "Edizioni Paoline". Così com'è stato fatto, con la sanzione della giustizia per il giovane Giovanni Sanfratello.
Riconosciuto ciò obiettivamente, aggiungiamo che, chiuso in tal modo il processo di prima istanza contro Aldo Braibanti, si apre per noi ora l'"affare Braibanti". Non si tratta, qui, d'altro che d'una macchinazione basata su dei falsi dolosi della privata accusa (che sono parsi spesso assunti in proprio - e non importa evidentemente la buona fede individuale del magistrato - sul piano processuale dell'istruttore e dalla pubblica accusa, o sorprendentemente ignorati).
E' nostra opinione che si stia attuando un processo alla cultura, all'arte, alla psicanalisi, all'odiato e "infetto" mondo intellettuale, a comportamenti o sfere che riguardano solo l'intimità di ogni cittadino, a valori essenziali della civiltà moderna.
Per questo, consapevolmente, affermiamo che la nostra interpretazione della giustizia e della stessa legge della Repubblica non può che porci, in questo doloroso episodio, accanto al professor Braibanti, e non a coloro che l'hanno giudicato in nome del popolo italiano. E se questo, nel 1968, significasse necessariamente la condanna ed il carcere, non sarebbe la prima volta e non cambierebbe nulla ai termini della questione.
(per evidenti errori di dettatura, stenografici o tipografici questo testo ha alcune lievi difformità con quello pubblicato da "Paese Sera" delle ore 21, lunedì 15. A "Paese Sera" va comunque il ringraziamento dei firmatari della dichiarazione N.D.)