Roma, 12 settembre 1970
Onorevoli colleghi,
domenica prossima, 20 settembre, siamo invitati a celebrare il centenario del compimento dell'unità nazionale con Roma capitale. Tale data segna anche la fine del »potere temporale . L'occasione mi sembra quindi opportuna per ricordare, a 25 anni dalla fine del fascismo, quanto resta ancora da fare per realizzare nel nostro Paese quella che gli stessi pontefici hanno voluto definire la »legittima sana laicità dello Stato in condizioni di effettiva »libertà religiosa .
Se infatti possiamo anche comprendere le ragioni che nelle condizioni dell'immediato dopoguerra hanno portato a confermare, con l'art. 7 della Costituzione, il Trattato e il Concordato stipulati »in nome della SS. Trinità tra la Chiesa cattolica e lo Stato fascista - per la preoccupazione allora di non turbare quella che veniva definita la »pace religiosa del nostro popolo - ora però, in condizioni mutate, dobbiamo riconoscere e disporci a superare quello che sempre più ci appare come un equivoco e dannoso compromesso.
I primi a riconoscerlo e ad operare per il suo positivo superamento dovrebbero essere gli stessi fedeli, laici e sacerdoti, impegnati a realizzare l'annunciato »rinnovamento della Chiesa così da farla essere e apparire quale essa stessa ha voluto definirsi in una costituzione dogmatica del recente concilio ecumenico. Ai cattolici italiani devono ben bastare, richiamandosi anche alla specifica dichiarazione conciliare sulla »libertà religiosa , le garanzie che per tutti i cittadini sono fissate nei »principi fondamentali della nostra Costituzione e, in modo specifico, dal successivo articolo 19: »tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitare in privato o in pubblico il culto .
Questo solo sarebbe sufficiente se mai non bastassero loro, meritando però di essere definiti »uomini di poca fede , le ben diverse garanzie che alla Chiesa, per il compimento della sua missione, sono state date dal suo fondatore.
Esperienze dolorose nel corso dei secoli, quali quelle di cui celebriamo in questi giorni il centenario della fine nel nostro Paese, ma ancora presenti sia pure in condizioni diverse in altri, ci confermano invece che i regimi di privilegio con supporti materiali e autoritari pretesi o offerti alla Chiesa dallo Stato, in situazioni di aperte o occulte discriminazioni fra i cittadini per motivi religiosi, generano sempre effetti negativi sia per la comunità civile che per quella religiosa. Poiché i diritti come le libertà che rivendichiamo per noi stessi non trovano altra garanzia se non nel riconoscimento di identici diritti e libertà per gli altri, con possibilità di esercizio effettivo per tutti.
Ma il compito e il dovere di realizzare concretamente un regime di libertà religiosa nel nostro Paese come fondamento alla realizzazione di una effettiva convivenza libera e democratica per tutti spetta a noi, al Parlamento quale espressione della sovranità popolare.
Nei prossimi giorni, ponendo fine all'imposizione dell'indissolubilità del matrimonio mediante norme giuridiche - intollerabili non soltanto sul piano dei diritti civili, ma soprattutto per chi crede nell'amore come libera, consapevole e continua donazione che nessuna costrizione può imporre o negare - con l'approvazione anche da parte del Senato di una sia pur discutibile legge che prevede casi di scioglimento, il Parlamento riaffermerà la pienezza della sua sovranità. Tuttavia noi siamo ben consapevoli del fatto che tale sovranità è in qualche modo e misura offesa e limitata, in questa come in altre materie, dalle regolamentazioni concordatarie che, richiamate dall'art. 7 della Costituzione, non possono essere modificate se non con il consenso delle parti che a suo tempo le hanno imposte ai loro »sudditi , salvo ricorrere al procedimento di revisione costituzionale.
Attendiamo tra l'altro di conoscere le risultanze cui è pervenuta la commissione nominata dai governi precedenti, a seguito di un voto del Parlamento nella passata legislatura, per tentare di proporre revisioni al Concordato.
Ma con l'occasione delle attuali celebrazioni, in una situazione che non presenta pericoli per quella che si definisce la »pace religiosa , anzi, in condizioni di più diffusa consapevolezza sia all'interno della comunità religiosa che di quella civile circa l'esigenza di dare autenticità ai valori che continuamente si richiamano, è ormai il metodo e il regime concordatario nel suo complesso che dobbiamo deciderci a mettere in discussione per superarlo, abolendo o riformulando l'art. 7 della Costituzione per rivedere tutta la conseguente legislazione in materia.
So bene che questi non sono i soli, né forse i più urgenti problemi da affrontare e risolvere nel nostro Paese, anche se hanno una grande importanza sul piano dei diritti civili. Non facciamo comunque fatica a riconoscere che i problemi della nostra società, sui vari piani e nei diversi settori, si sono tutti ridotti come nodi al pettine, formando un intreccio dal quale può risultare difficile anche soltanto il dipanarli per stabilire scale di priorità. Soltanto l'occasione mi ha quindi suggerito di riporre l'accento su quelli sopra richiamati.
Auguriamoci allora che le preghiere già indette, gli scambi di messaggi e le solenni dichiarazioni che accompagneranno le imminenti celebrazioni, al di là delle facili retoriche che suonebbero in aperto contrasto con la realtà delle situazioni presenti, concorrano a rendere tutti quanti più consapevoli e impegnati a realizzare quella effettiva laicità dello Stato e libertà religiosa che il regime concordatario continua a negare - essendo proprio di sistemi autoritari - e quindi in evidente contrasto con quell'ordinamento libero e democratico della società civile che siamo costituzionalmente impegnati a realizzare.
Con i più cordiali saluti.
Gian Mario Albani