di Mario SignorinoSOMMARIO: Il 9 ottobre 1970 il Senato approva il progetto di legge Fortuna-Baslini-Spagnoli con alcuni emendamenti che rendono più difficile l'utilizzazione del divorzio. Infatti nell'immediata vigilia delle votazioni definitive il Presidente del Senato Leone promuove degli incontri fra gruppi parlamentari divorzisti e antidivorzisti che portano all'approvazione di emendamenti di compromesso. Nell'articolo di Mario Signorino (e nella intervista al senatore Carlo Garante Garrone pubblicata sullo stesso numero) gli interrogativi sulle ragioni per le quali il fronte parlamentare divorzista non ha voluto approvare la legge nel testo licenziato dalla Camera.
(L'ASTROLABIO, 18 ottobre 1970)
Doveva finire così, almeno adesso Leone, e si dilunga a dare interviste e spiegazioni minuziose: la legge sul divorzio non poteva non essere emendata nei modi e nelle forme che conosciamo. Io, conclude Leone, sono stato l'umile strumento di questa volontà superiore, di questa provvidenza che ha guidato alla fine la dura vicenda divorzista. Ma quale volontà, quale provvidenza? A seguire le spiegazioni del senatore - l'inevitabile mistura di galantomismo e di colore napoletano - non c'è alcuna traccia di un disegno volontario: c'è invece la espressione della più pura casualità. Prendiamo una delle interviste concesse, vediamo se si capisce qualcosa. Domenica 4, "Leone sente che c'è qualcosa nell'aria"; a mezzogiorno di lunedì "si sente dire" che lo si indica come mediatore; da parte di chi? "non riesce a saperlo, non l'ha saputo neppure dopo". Poi cominciano gli incontri, e non si approda a niente: "mercoledì mattina tutto è perduto", "nel pomeriggio la situazione è rovesciata", germogliano in aula i 13 franch
i tiratori dc e passo dopo passo si arriva al voto finale di venerdì: Come, non lo sapremo mai: tutto rimane nel vago, la trattativa è una cosa oscura e in fin dei conti marginale, chi conta è Leone e la sua ombra invisibile, quella cosa indistinta che lo investe della trattativa e poi spinge all'accordo superando le intenzioni stesse dei protagonisti. Quella cosa indistinta è la ragion di stato, del regime, di questo potere e dei suoi servitori ufficiali.
Galante Garrone, nell'intervista che pubblichiamo, dichiara che la legge Fortuna-Baslini non aveva affatto bisogno di essere, come s'è detto, "migliorata" e che gli emendamenti l'hanno moderata oltre ogni proposito dei divorzisti convinti. Fissiamo quindi un primo punto sicuro: gli emendamenti costituiscono un cedimento del fronte divorzista, sia perché introducono modifiche peggiorative sia perché, con il ritorno alla Camera, mantengono il divorzio il balia di imprevisti e patteggiamenti parlamentari. Un altro punto dev'essere chiaro: sono stati la corruzione e le cosiddette crisi di coscienza di diversi senatori laici a provocare questo cedimento; da una parte quindi i ricatti della DC, dall'altra l'insicurezza dei partiti divorzisti, vale a dire l'assenza di dibattito politico al loro interno e la loro scarsa democraticità, sono le ragioni effettive del mezzo insuccesso al Senato. Altro che buon senso, responsabilità e correttezza reciproca, come dice Leone: i partiti laici hanno trattato sotto il tiro de
l ricatto democristiano e sono stati in molti, l'ultimo giorno, a rimanere grati a Leone, cioè alla DC e quindi al Vaticano, per aver rinunciato a spingere all'estremo questo ricatto. La paura gli aveva fatto dimenticare che la legge doveva, secondo logica, essere approvata definitivamente al Senato e che quindi ogni ritardo rappresentava una sconfitta. E' banale, a questo punto, sostenere che si è scelto il male minore e che quindi si è, in sostanza, vinto lo stesso. Certo, nella situazione che si era creata forse non si poteva sperare di più. Ma è sorprendente che questo basti a spandere soddisfazione sull'esito dell'operazione, e soprattutto sul metodo seguito; perché proprio questo metodo è il dato più negativo. S'è riaffermato il "primato del parlamento", la sua "funzione insostituibile"? Oppure si è tentato di togliere alla legge i suoi denti rinnovatori, la sua carica dirompente nei confronti del regime clerico-moderato? Cosa significano le affermazioni conciliari "né vincitori né vinti"?
Seguite da commenti che hanno dilagato sulla stampa e nel mondo politico: al centro, un sospiro di sollievo addirittura smaccato per lo scampato pericolo, non dell'affossamento del divorzio, ma della rottura dell'equilibrio di potere; quindi il plauso generale per il metodo seguito, una contrattazione segreta non sul piano delle idee ma su quello duro del potere; infine la minimizzazione della legge. Era una riforma, si dice, che si doveva fare, che era matura, un mero aggiornamento settoriale della nostra legislazione; poi restano i grandi problemi, economici e sociali, occorre affrontare anche questi e tutto andrà bene. Davvero? E' realmente possibile eliminare d'un colpo tutta la storia del movimento che ha condotto la battaglia divorzista sul piano extraparlamentare, con motivazioni politiche e metodi originali? S'è detto che il divorzio ha inferto un "vulnus" al Concordato: è anche più vero che apre una breccia nel regime clericale e nelle sue varie ramificazioni, dalla scuola all'assistenza. Non è vero
che il Vaticano si appresta a chiedere "riparazioni" proprio in questi settori? Allora la domanda vera è questa: cosa si è contrattato con la sorridente mediazione di Leone, e quali saranno le conseguenze di questa trattativa? Il silenzio che è calato improvvisamente sulla lotta che ha portato il divorzio in parlamento è preoccupante. Le forze politiche si sono trovate d'accordo nel riassorbire, con l'ufficialità delle celebrazioni e i complimenti reciproci, un fatto abnorme, un'iniziativa di rottura che s'era risolta in un intreccio inedito di spinta dal basso e di azione parlamentare.
"Né vincitori né vinti"? Qualcuno ha vinto e qualcun altro ha perso. Forse non tutti i vincitori sono da ricercare in campo divorzista e non tutti i vinti dall'altra parte. Ma anche su questo punto saranno i fatti a farci sapere qualcosa di più.