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Notizie Radicali - 17 marzo 1971
DOCUMENTO DELLA GIUNTA ESECUTIVA DEL PARTITO RADICALE SULLE CONSEGUENZE DELLE SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE NELLE PROSPETTIVE DI AZIONE POLITICA IN ORDINE AI RAPPORTI TRA STATO E CHIESA.

SOMMARIO: Le recenti sentenze della Corte costituzionale in materia di rapporti fra Stato e Chiesa evidenziano una situazione in cui la trattativa con la Santa Sede è inopportuna e scorretta sia dal punto di vista costituzionale, sia sul piano extra statale. Finora si è ritenuto che la trattativa fosse necessaria per adeguare le norme concordatarie ai principi costituzionali; ora la Corte ha riconosciuto il proprio potere di eliminare le norme di legge ordinarie di esecuzione dei Patti in contrasto con la Costituzione. E' dovere del Governo, quindi, notificare puramente e semplicemete alla Santa Sede la decadenza di tutte quelle parti dei Patti incompatibili con i principi costituzionali. Se nella situazione attuale lo Stato affrontasse una trattativa bilaterale, si verificherebbe "un'interferenza del Vaticano in una questione di legittimità costituzionale di norme interne che sono incostituzionali appunto perché incidono in una materia che lo Stato non può fare oggetto di trattativa".

(NOTIZIE RADICALI N. 134, 17 marzo 1971)

Le recenti sentenze della Corte Costituzionale hanno determinato una situazione nuova nelle prospettive di azione politica in ordine ai rapporti tra Stato e Chiesa ed alla sorte del Concordato del 1929.

Si è affermato da più parti che le affermazioni di principio circa la prevalenza dei principi della costituzione nelle norme dei Patti Laternanensi e nell'incostituzionalità delle leggi di esecuzione che, pur conformi ai secondi, contrastino con i primi, rappresenterebbero un implicito invito al Governo ed al Parlamento a procedere senza ulteriore indugio alle trattative con la S. Sede per la revisione bilaterale dei patti.

Ricavare una tale indicazione dalla pronunzia dei Giudici della consulta è certamente arbitrario. E' vero invece che "le sentenze in questione, mentre fanno venir meno la motivazione prima avanzata negli ultimi anni e più spesso negli ultimi mesi per sostenere la necessità della trattativa per la revisione", d'altro canto pongono in essere, o quanto meno evidenziano e rendono incontestabile, una situazione in cui "la trattativa con la Santa Sede diviene, se non costituzionalmente e giuridicamente impossibile ed illegittima, certo non corretta ed inopportuna sia dal punto di vista costituzionale dello Stato, sia sul piano del diritto extra statale e dei rapporti con la Santa Sede".

L'argomento con il quale, come sopra si ricordava, è stata sostenuta l'opportunità della trattativa, è stato sempre quello della necessità di adeguare il contenuto del Concordato ai precetti ed ai principi della Corte Costituzionale, che, d'altro canto mentre stabilisce che i rapporti tra Stato e Chiesa sono regolati dai Patti Lateranensi, afferma anche che la modifica di essi d'accordo con l'altra parte non importa necessità di revisione costituzionale.

Se ne faceva discendere che se non si voleva affrontare una revisione della costituzione, non restava che affidare alla trattativa con la Santa Sede la realizzazione dei principi della costituzione stessa nella materia ecclesiastica.

Ora "la Corte Costituzionale ha fatto giustizia di questa proposizione" riconoscendo che i Patti Lateranensi, che non sono costituzionalizzati, non possono autorizzare la violazione dei principi della costituzione e che questa, nel fare riferimento ai patti, non ha conferito ad essi il potere di autrizzare deroghe a quei "principi che non possono essere oggetto di pattuizione" da parte dello Stato democratico.

La Corte ha riconosciuto, in conseguenza, il proprio potere di eliminare le norme di legge ordinaria d'esecuzione dei Patti in contrasto con la costituzione. Tale potere, è forse bene ricordarlo, ha sempre carattere sindacatorio rispetto all'attività del legislatore ordinario o alla sua inattività rispetto alle leggi anteriori alla Costituzione, il che significa nella specie che "il potere della Corte presuppone un potere che il Legislatore ordinario aveva ed ha omesso di esercitare".

E significa pure, che, rispetto a tutte le disposizioni d'attuazione del Concordato, "il legislatore può, e quindi deve, perché eliminare le violazioni della Costituzione è per il Legislatore ordinario un dovere e non una facoltà, provvedere alla eliminazione" delle parti in contrasto con la costituzione.

A questo punto una prima considerazione: "Non è vero che per adeguare il Concordato alla Costituzione occorra trattare con la Santa Sede"; l'art. 7 non è affatto di ostacolo al legislatore ordinario perché rimedi senz'altro ad ogni contrasto eliminando quanto sia incompatibile con la Costituzione.

Cade così il principale alibi di quanti, pur contrari per principio al regime Concordatario e pur convinti che molte norme imposte dai Patti siano effettivamente intollerabili, sostenevano esser necessario addivenire ad un rinnovo del Concordato perché ciò avrebbe rappresentato l'unico rimedio consentito dalla formulazione dell'art. 7.

Ma "una seconda considerazione ci porta ancora più oltre".

Se è vero che norme del concordato in contrasto con la Costituzione non possano cosiderarsi efficaci rispetto all'ordinamento costituzionale italiano e che le relative norme di applicazione debbono considerarsi costituzionalmente illegittime, è vero anche che "non soltanto non è necessaria una trattativa con la Santa Sede per eliminarle", ma che tale trattativa non è possibile, almeno limitatamente a queste norme e "fino a quando lo Stato italiano attraverso i suoi organi legislativi e, in mancanza, attraverso la Corte Costituzionale, non abbia provveduto ad eliminare e sopprimere tutte quelle parti costituzionalmente illegittime", sulla cui conservazione o abolizione il Governo, e lo Stato stesso, non può validamente trattare con un altro soggetto in quanto rappresentano "un bene insponibile".

"Dovere del Governo" e, per quanto di ragione, del Parlamento nella sua funzione di controllo e di ratifica dell'operato dell'Esecutivo, è in questa situazione, "notificare puramente e semplicemente alla Santa Sede la decadenza di tutte quelle parti dei Patti che siano incompatibili con i principi costituzionali ed alle quali lo Stato italiano non può dare esecuzione". Tale dichiarazione unilaterlale di decadenza è un dovere imprescindibile non solo rispetto all'ordinamento costituzionale interno, ma anche su quello dei rapporti del diritto extrastatale, perché è dovere di uno Stato notificare la decadenza di quelle pattuizioni che de jure non può più adempiere.

D'altra parte "una trattativa bilaterale che si svolgesse nella incertezza sui poteri di uno dei contraenti di pattuire sulle materie trattate", mentre sarebbe "oggettivamente scorretto dal punto di vista della prassi e delle consuetudini internazionali", finirebbe inevitabilmente per comportare direttamente o indirettamente una "disputa sull'ordinamento costituzionale dello Stato" e sui poteri e doveri che ne derivano per gli organi di questo rispetto al Concordato, con "una interferenza inammissibile dell'altra parte nelle questioni interne dello Stato Italiano ed una gravissima menomazione del prestigio di questo e dei suoi rappresentanti".

E' infatti una grave scorrettezza e, se tollerata, o consentita, una grave menomazione, che l'una delle parti contraenti porti nella trattativa la discussione sugli obblighi ed i vincoli che derivano ai rappresentanti dell'altra, siano essi il Governo o il Parlamento, da particolari situazioni politiche o costituzionali interne. Ed è una scorrettezza alla quale la Santa Sede è già repetutamente ricorsa con gli accenni ai poteri vincoli della costituzione repubblicana formulati assieme alle asserzioni circa una pretesa violazione dell'art. 34 del concordato contenuta nei discorsi pontifici e, da ultimo, il riferimento ad una pretesa interpretazione restrittiva delle sentenze della Corte Costituzionale formulata assieme accenni alla revisione del Concordato nelle note dello organo ufficioso Vaticano.

Insomma, se lo Stato, e per esso il Governo ed il Parlamento non provvedessero autonomamente ad eliminare dall'ordinamento interno quanto del Concordato e incompatibile con la costituzione, notificando puramente e semplicemente alla controparte l'impossibilità di avere per valide ed operanti le relative clausole concordatarie, riguardanti principi indisponibili ma affrontassero nella situazione attuale una trattativa bilaterale, inevitabilmente si verificherebbe "un'interferenza del Vaticano in una questione di legittimità costituzionale di norme interne, che incostituzionali sono appunto perché incidono in una materia che lo Stato non può fare oggetto di trattativa".

E' da notare poi che la Corte costituzionale, una volta affermato il principio della sindacabilità delle norme di attuazione del Concordato, ha appena sfiorato la vasta materia dei contenuti relativi. Anche taluna delle norme per le quali la Corte ha rigettato l'eccezione di incostituzionalità, potremo e dovranno esser dichiarate incostituzionali se la questione sarà riproposta sotto altro profilo. Se, ad esempio, la questione della competenza dei tribunali ecclesiastici sarà riproposta sotto il profilo del contrasto con gli articoli 2, 3, 24 e 45 della Costituzione e non soltanto sotto il profilo dello art. 101 e 108, è per lo meno assai probabile che si addivenga alla declaratoria di illegittimità costituzionale della relativa norma.

E' ovvio poi, che la materia concordataria che si salvasse dall'eliminazione delle norme incostituzionali potrebbe, se le parti ritenessero di non procedere alla abrogazione dei Patti, divenire oggetto di trattativa per la revisione, solo dopo definita unilateralmente ed una volta per tutte la questione delle norme incostituzionali.

 
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