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Bandinelli Angiolo - 21 settembre 1971
Reati d'opinione: come si uccide un referendum democratico
di Angiolo Bandinelli

SOMMARIO: Il 29 aprile un gruppo di cittadini presentava alla Corte di Cassazione formale richiesta di referendum abrogativo di alcuni articoli del codice penale circa i "reati di opinione". Primo firmatarrio il senatore Ferrcuccio Parri. Tra gli altri, il sen. Vincenzo Gatto, l'on. Lelio Basso, l'on. Lucio Luzzatto, Antonio Landolfi, Roberto Cicciomessere, Antonio Fontana, Luigi Ferrajoli, l'on. Loris Fortuna, Marco Pannella, e il sen. Angelo Tomassini. Il 30 settembre il "Comitato Nazionale per le Libertà Politiche e Sindacali" decideva di non presentare alla Corte di Cassazione le firme raccolte, nella consapevolezza, dopo un'ultima conta, di non aver raggiunto il numero di cinquecentomila previsto dalla legge. La non presentazione delle schede era il risultato di una precisa operazione politica che aveva impedito la piena mobilitazione delle forze disponibili. Passo per passo nell'articolo la ricostruzione della campagna e l'analisi dei motivi del suo fallimento; l'analisi dei dati della raccolta nei cen

tri urbani e nelle province; un commento agli accordi intercorsi nella Commissione Giustizia intorno alle modifiche da apportare ai codici penali fascisti.

(LA PROVA RADICALE N.1 - AUTUNNO 1971)

Il 30 settembre scorso, il »Comitato Nazionale per le Libertà politiche e Sindacali decideva, dopo un ultima conta delle schede su cui si allineavano le migliaia di nomi e indirizzi, di non presentare alla Corte di Cassazione le firme raccolte attorno alla richiesta di »referendum popolare abrogativo delle norme incriminatrici dei reati politici, d'opinione e sindacali promosso nell'aprile precedente concludendo così una prima fase della lunga battaglia iniziata da »Magistratura Democratica . La iniziativa, mirante a promuovere una vasta mobilitazione civile attorno ai problemi della giustizia e - attraverso la consultazione diretta dei cittadini - a liberare finalmente i codici dalle incrostazioni fasciste più illiberali e antipopolari, subiva una battuta di arresto. La decisione veniva presa in quanto si constatava che il Comitato nazionale ed i comitati di raccolta locali non erano riusciti nei tre mesi di tempo che la legge impone, a raccogliere le cinquecentomila firme necessarie a fare scattare le pr

ocedure stabilite per la indizione del referendum,

Nessuno dei membri del Comitato, o di quanti hanno negli ultimi tre mesi collaborato alla buona riuscita della iniziativa, si nascondeva, nel momento in cui conveniva sulla impossibilità di dar seguito immediato alla battaglia, la gravità di quello che appare - a questo punto almeno - come un cedimento. E ciascuno si rendeva conto, e lo sottolineava con aperte recriminazioni o con eloquenti silenzi, che sarebbe stato sufficiente invece un ulteriore minimo sforzo nel corso del solo mese di settembre per riempire i vuoti - alcune decine di migliaia di adesioni - che l'abnegazione dei militanti impegnati non era riuscita a colmare. Nessuno, tuttavia, imputava l'insuccesso a deficienze tecniche o a sostanziali mancanze del Comitato. Era chiaro a tutti anche se le conclusioni che se ne traevano non erano unanimi, che la non presentazione delle schede era il risultato di una precisa operazione politica, che aveva impedito, opponendovisi, la piena mobilitazione delle forze pur disponibili.

Il 29 aprile, un gruppo di cittadini si presentava alla cancelleria della Corte di Cassazione per presentare formale richiesta di referendum popolare »per l'abrogazione di alcuni articoli del codice penale vigente . Il primo firmatario della richiesta era il senatore Ferruccio Parri, Nell'ordine seguivano il senatore Vincenzo Gatto, l'on. Lelio Basso, l'on. Lucio Luzzatto, Antonio Landolfi, Bruno Andreozzi, Mario Barone, Guido Calvi, Corradino Castriota, Roberto Cicciomessere, Antonio Fontana, Luigi Ferrajoli, Romeo Ferrucci, l'on. Loris Fortuna Giorgio Granzotto, Giancarlo Lannutti, Nicola Lombardi, Roberto Maffioletti, Ugo Natoli, Pietro Pignata, Marco Pannella, Giovanni Placco, Giuseppe Ramadori, e il senatore Angelo Tomassini La richiesta di referendum riguardava la abrogazione degli articoli 266, 269, 271, 272, 273, 274, 278, 279, 290, 290 bis, 291, 292, 297, 299, 302, 303, 327, 330, 331, 332, 333, 340, 341, 342, 343, 344, 402, 403, 404, 414 terzo comma: »alla pena stabilita nel n. 1 soggiace anche chi

pubblicamente fa l'apologia di uno o più delitti 415, 502, 503, 504, 505, 506, 507, 508, 510 511, 512, 603, 633 limitatamente alle parole: »ovvero da più di dieci persone, anche senza armi , 654, 655, 656, 657 e 661 del codice penale del 1930. »Le norme illiberali di cui proponiamo l'abrogazione sono soltanto le più importanti - affermava la relazione che accompagnava la richiesta - quelle più insopportabili per un ordinamento democratico, e che in questi ultimi tempi hanno consentito i più clamorosi episodi di repressione politica. Si tratta di norme che incriminano comportamenti consistenti nell'esercizio di diritti garantiti dalla Costituzione; e che sono poste, per contro, a tutela di interessi e finalità politiche che non solo non sono anche essi protetti da analoga garanzia costituzionale, ma che la Costituzione ha espressamente respinto dal proprio sistema di valori .

Perché, e attraverso quali fasi, i magistrati aderenti a »Magistratura Democratica avevano ritenuto indispensabile avviare una iniziativa politica nuova certamente difficile e non priva di rischi? Era, la loro, una decisione affrettata ed inopportuna, come si affermava e si afferma a giustificare e motivare, all'interno della sinistra italiana, astensioni e ripensamenti, manovre ritardatrici ed aperti boicottaggi, comunque una opposizione fattasi ogni giorno più intransigente?

Il 17 luglio appariva su »L'Unità , a firma del senatore Edoardo Perna del PCI, un articolo in cui si esponevano le ragioni per le quali il suo partito, da quel momento, decideva di impedire che la raccolta delle firme venisse completata. Sono le ragioni che la maggioranza del Comitato ha sentito ripetere per mesi e che per mesi ha respinto come insufficienti. Perna portava, in sostanza, tre argomenti. In primo luogo, egli scriveva, »demandare al voto popolare la soluzione di un simile problema darebbe un facile alibi a chi non aspetta altro che una scusa per bloccare l'iter della legge [la legge di riforma dei codici in esame al Senato n.d.r.]. In secondo luogo, il senatore comunista si mostrava sicuro che »il complesso meccanismo del referendum applicato a circa 40 articoli del codice avrebbe creato difficoltà notevoli di comprensione »in grandi strati popolari , con possibilità di confusione e di eventuali inserimenti e »manovre reazionarie . Infine presentava come grave »rischio l'eventuale svolgiment

o »simultaneo del referendum sui codici e di quello per l'abrogazione del divorzio. Il senatore Perna si dichiarava d'altra parte fiducioso sui risultati del confronto parlamentare intorno ai progetti di riforma di varia origine e di vario significato sui quali cominciava ad avviarsi, a palazzo Madama, una prima discussione ed un primo esame. Su l'»Astrolabio del 4 aprile, in un articolo di presentazione del referendum, Giovanni Placco aveva invece ricordato: »La mancata abolizione formale delle norme del codice penale fascista da parte del regime repubblicano dimostra la sua volontà di mantenerle in vita per utilizzarle a difesa delle proprie istituzioni. Come se totalitarismo e libertà possano servirsi di identici strumenti di tutela giuridica, indifferenti rispetto alle pur opposte e antitetiche finalità che totalitarismo e libertà si prefiggono . Nel giudizio di Placco, dunque, il fatto che a venticinque anni dalla caduta del fascismo norme e leggi illiberali siano ancora in vigore era ed è conseguenza

di scelte politiche profonde, essenziali al »regime di equilibri che reggono la vita del paese e ne condizionano sviluppi e progressi. Non a caso, la proposta di referendum dei magistrati democratici aveva cominciato a maturare durante le lotte e gli scontri dell'»autunno caldo quando le istituzioni, il »regime , avevano ampiamente utilizzato la legislazione del codice Rocco per colpire settori di »opinione , sindacali e politici avanzati o comunque ritenuti pericolosi per la carica di violenza ideale di cui essi erano portatori.

I magistrati e poi il Comitato, avevano già peraltro ammonito, nella relazione che accompagnava la proposta di referendum, che in venticinque anni la spinta popolare rappresentata dai partiti democratici non è mai riuscita ad imporre modifiche essenziali alle norme fasciste. Si è dovuti giungere al novembre 1968 perché il presidente del Consiglio Leone presentasse in Senato, tramite l'allora guardasigilli Guido Gonella, un progetto governativo di riforma. Ma esso sollevava le più ampie riserve democratiche, e provocava a sua volta il deposito, da parte del gruppo della Sinistra Indipendente del PCI, del PSIUP e del PSI di disegni di legge alternativi.

Che l'indirizzo del governo fosse ben diverso, rispetto alla possibilità di sostanziali modifiche dei codici che ne alterassero la sostanza, linearmente appariva da successivi avvenimenti. Quando era già in corso, presso la commissione giustizia al Senato, la discussione sul pacchetto dei disegni di legge governativo e parlamentari, il ministro Oronzo Reale (ripetendo la tecnica usata quando insinuò il disegno di legge sulla riforma del diritto di famiglia come diversivo contro la legge divorzista) avanzava un nuovo, e ancor peggiore, progetto governativo; questo escludeva addirittura, dalla riforma, tutti i reati di vilipendio (salva una diminuzione di pena), di parecchi reati compresi nella abrogazione secondo le proposte parlamentari indicava semplici ritocchi, altri reati infine, e non insignificanti, manteneva nella formulazione del legislatore fascista.

Era su questa situazione che i promotori della proposta di referendum rompevano gli indugi e costituivano, insieme a militanti politici (socialproletari, socialisti, giovani liberali della sinistra e repubblicani, radicali, ecc. anche in rappresentanza dei propri partiti o di settori di essi) e sindacali (metalmeccanici, ACLI) il »Comitato Nazionale per le Libertà Politiche e Sindacali , con il compito di portare alla realizzazione il progetto di »Magistratura Democratica . Quella che ad essi sembrava si stesse profilando era, infatti, una situazione nella quale, sul piano parlamentare, possibili logoranti patteggiamenti e sottili »mediazioni avrebbero potuto incidere sulla spinta riformatrice snaturandone gli obiettivi. »Sul piano parlamentare - commentava infatti Giovanni Placco - possono entrare in gioco i condizionamenti di una logica dell'istituzione capace di risolvere gli scontri a danno delle posizioni democratiche , e aggiungeva: »Nel paese la condizione è inversa: le potenzialità democratiche scat

enabili da una consultazione popolare nella battaglia per un effettivo recupero delle libertà nel nostro paese non potranno che incrementare le possibilità di rafforzamento dello schieramento abrogazionista, e favorire l'azione parlamentare .

Qualcuno, più tardi, giudicando la iniziativa, la definì una assurda proposta di legiferazione di massa. Essa si collocava, in realtà, su una linea che da qualche anno cominciava a manifestarsi come la più rigorosamente liberale, nello scontro tra »regime , strutture giudiziarie da una parte e, dall'altra le forze moderne, fautrici di profonde riforme. La possibilità e necessità del recupero della iniziativa e della spinta popolare, su problemi essenziali di »diritti civili , si era cominciata a manifestare quando alle vecchie iniziative promosse da settori di »addetti ai lavori , frontiste o corporative, vennero validamente contrapponendosi indicazioni più ampie, che apertamente avvertivano come senza un confronto che coinvolgesse le coscienze e la crescita di responsabilità innanzitutto degli »utenti della giustizia una riforma dei codici non sarebbe stata mai conquistata. E c'era stata la controinaugurazione dell'anno giudiziario, nel gennaio del 1969, nel corso della quale gli »operatori della giustizi

a avevano tentato di avviare un confronto ideale con la spinta civile proveniente dal paese. La richiesta di »referendum poteva essere lo strumento tecnico adatto per raggiungere questo obiettivo.

Che proprio questo rinnovamento della strategia delle riforme si volesse evitare, era la logica stessa dell'iniziativa governativa a dimostrarlo. Anche quando, o forse proprio quando, la complessa macchina del referendum aveva già cominciato a mettersi in moto. Il 15 luglio la Commissione Giustizia del Senato varava alcuni articoli di riforma del codice, in tutta fretta (la raccolta delle firme era già avviata) ma ugualmente non raccogliendo nessuna delle indicazioni presenti negli stessi progetti delle sinistre, nessuna concessione incisiva per i reati di vilipendio, conferma delle disposizioni fasciste in tema di sciopero dei pubblici dipendenti e degli addetti ai servizi di utilità generale, né abolizione né sostanziale riforma delle riprese antioperaie e antisindacali (oltraggio, resistenza, violenza privata, blocco stradale) e così via.

L'iniziativa del referendum popolare aveva sollevato dubbi, a sinistra, in quanto essa, veniva detto, avrebbe potuto apparire o suonare come atto di sfiducia nelle forze parlamentari democratiche. C'era, a questo punto, solo da cogliere l'occasione offerta dalla seduta di commissione del 15 luglio: sarebbe bastato un gesto di netta ripulsa della manovra governativa, un appello alle forze popolari, una assicurazione di intransigenza. Invece, si doveva segnalare l'aperta soddisfazione degli organi di stampa della sinistra per quanto nel chiuso della commissione era accaduto. Nell'articolo che abbiamo ricordato, il senatore Perna esprimeva la sua »soddisfazione per la eliminazione di »molte disposizioni reazionarie. E, fatto più preoccupante ancora, non lesinava un caldo elogio al "modo" come il risultato era stato conseguito. Esso, infatti, mostrava la possibilità di »realizzare convergenze unitarie ; sull'esempio della legge per il divorzio, quando il »rapporto tra i diversi gruppi parlamentari si era potu

to svolgere, »in parte, fuori dagli schemi prestabiliti .

In questa scelta era, sopratutto, il grave della posizione dei rappresentanti della sinistra. In essa e per essa il Parlamento veniva ad assumere, ancora una volta, il ruolo di camera di compensazione, di mediazione, di composizione, invece che quello, suo naturale e legittimamente democratico, di punto di scontro e di aperto confronto tra differenti posizioni ideali e politiche. Ancora una volta, il parlamento testimoniava della sua crisi, e offriva al paese una ennesima occasione di »rivolta antistituzionale.

Una breve storia interna del Comitato, delle difficoltà incontrate, delle opposizioni superate o subite, è a questo punto necessaria. Che di volta in volta le forze contrarie alla presentazione in Cassazione delle richieste di referendum abbiano usato della arma dei patteggiamenti, dei ritardi, delle ritirate e dell'invito alla »moderazione , è però un fatto assai meno importante che non le motivazioni con cui queste forze giustificavano tale comportamento negativo.

Nel marzo, all'interno del Comitato, vennero avanzate alcune perplessità intorno a questa o quella delle norme da sottoporre al giudizio popolare; e il 18 di quel mese, una commissione incaricata dal comitato scopriva l'opportunità di escludere (oltre agli articoli 297 e 298, offesa all'onore di Capi di stato e di rappresentanti di stati esteri, 304, cospirazione politica mediante accordo, e 364, 553) l'articolo 292 (vilipendio alla bandiera) al fine, dichiarato, di »realizzare una più ampia area di consensi alla iniziativa che non risulti in contrasto con un presumibile sentimento popolare ricettivo di certi valori tradizionali .

Revisioni non essenziali, di per sé negative e, piuttosto, pretestuose. Esse infatti, non furono tali da garantire l'effettiva partecipazione ed impegno di quelle forze dietro suggerimento del le quali erano state proposte, condizionando alla loro accettazione le proprie ulteriori decisioni. La presentazione della richiesta di referendum sarebbe dovuta avvenire il 29 aprile. Avevano assicurato la loro presenza il segretario nazionale del PSI, on. Giacomo Mancini, il segretario nazionale del PSIUP, on. Tullio Vecchietti, gli onn. Luigi Granelli e Giovanni Gallone per le sinistre DC Per il PCI. avrebbe apposto la firma il senatore Umberto Terracini. Queste presenze, in dosati, calcoli e voluti equilibri per raggiungere i quali erano persino stati emarginati alcuni degli originari gruppi promotori, volevano rappresentare quel »largo schieramento democratico che si riteneva necessario ad assicurare il successo della iniziativa. In effetti, nei mesi precedenti, i vertici dei grossi partiti parvero persuasi e par

tecipi, il senatore Terracini era anche intervenuto ad alcune riunioni del Comitato, anche se soprattutto dalla sua parte politica erano venuti i suggerimenti per le modifiche che abbiamo ricordato, come l'esclusione del vilipendio alla bandiera. Per favorire questa buona volontà, i gruppi minoritari »emarginati , e ricordiamo qui radicali e sinistra liberale, non avevano opposto difficoltà o risentimenti. Ma, la sera precedente il 29, Terracini faceva pervenire a Mario Barone, presidente del Comitato, una lettera nella quale comunicava di ritirare la propria adesione, e di non poter intervenire, quindi, al deposito della richiesta in Cassazione; in quanto, scriveva, l'Ufficio politico del PCI aveva ritenuto che nessuno dei maggiori dirigenti del partito potesse partecipare ed avallare l'iniziativa. Affermava Terracini che, avendo gli onorevoli Mancini e Vecchietti manifestato la loro intenzione di non fare più parte del comitato presentatore (era questa la notizia che indicava la brusca svolta dei vertici d

ei partiti, evidentemente concordata), era venuta a mancare una condizione essenziale - l'unanimità dello schieramento della sinistra - alla adesione sua e del PCI stesso. Il senatore Parri era anche esso interpellato per una ulteriore riflessione; ma, pur manifestando perplessità, se non altro, sulla »credibilità che l'iniziativa avrebbe potuto avere ormai, nelle nuove condizioni così determinatesi, assicurava tuttavia che il suo apporto non sarebbe stato ritirato. In Cassazione non si presentavano neppure, infine, i rappresentanti della sinistra DC, Galloni e Granelli. Quest'ultimo, nel corso della successiva conferenza stampa, dichiarò di non ritenere opportuna, »come parlamentare , la propria adesione.

Tuttavia, l'on. Loris Fortuna poteva dare assicurazioni che l'impegno del PSI non sarebbe mancato, ed anche il PSIUP garanti comunque un apporto organizzativo. Si trattava, tuttavia, di contributi che non potevano essere controllati direttamente dal comitato, come sarebbe stato invece necessario. Ed infatti disguidi e carenze pesarono, in questa fase, proprio per la impossibilità di una efficiente direzione dei gruppi di raccolta delle firme. Quello che invece poté subito essere verificato, quando ai primi di giugno, nel corso di manifestazioni ed assemblee sindacali, venne effettuato il lancio pubblico delle iniziative, fu l'interesse di cittadini e di operai. I metalmeccanici, la FILTEA, si dichiararono disponibili. Una assicurazione formale venne anche dalla Federbraccianti. Si cominciarono a formare i comitati locali e regionali.

Ai primi di luglio, come abbiamo già visto, il PCI decideva di passare da una posizione di non collaborazione e di distacco (che aveva consentito al Comitato di prendere contatti con molte strutture di base del partito, ricevendone spesso sostanziali adesioni) ad una di aperto distacco ed opposizione. L'articolo del senatore Perna, della metà di luglio, era netto e senza aperture. Ma la durezza stessa dello attacco dovette consigliare la ricerca di una qualche copertura. Il 19 luglio »l'Unità ospitava un articolo di Generoso Petrella, segretario di »Magistratura Democratica .

Nel suo intervento, Petrella non poteva non esprimere il suo dissenso dall'ottimismo professato da Perna. Nessuna delle norme retrive e liberticide relative ai reati di »opinione e a quelli politici e sindacali interessati dal referendum, era stata, a giudizio del segretario di »Magistratura Democratica , sostanzialmente intaccata dall'accordo »unitario intervenuto in Senato. Ma egli evitava di porre in rilievo quello che, dalle sue stesse considerazioni, finiva per apparire evidente, cioè la strumentalità dell'accordo, "contro" il referendum. Entrando nella sostanza del problema, cioè esaminando la situazione venutasi a creare con questa frattura tra il PCI ed il Comitato, Petrella - richiamandosi ad una necessità di allargare »l'area dei consensi attorno alla battaglia riformatrice e affermato che la »non adesione del PCI alla iniziativa popolare non poteva significare »che il partito non voglia perseguire il medesimo obiettivo di fondo - finiva coll'avanzare una indicazione che, nella sostanza, in re

altà era già un avvio di capitolazione. Il movimento unitario raccoltosi attorno al referendum avrebbe dovuto, secondo Petrella, sforzarsi di giungere insieme alle forze parlamentari ad una »sintesi capace di porsi sul »terreno delle »riforme : nel nome - concludeva l'articolo - di ciò che deve essere »essenziale , cioè la »lotta al fascismo , quello vecchio e quello nuovo.

L'indicazione, pur già chiarissima, di Petrella, di un ripiegamento su obiettivi generici che confluissero in quella sorta di mobilitazione »antifascista che anche in altri settori veniva sollecitata, proprio in quello stesso periodo, dai vertici e dalla pubblicistica di sinistra lasciava, tuttavia, aperto il dibattito su un argomento particolarmente delicato (un vero e proprio punto debole nell'argomentazione di Perna) che Petrella aveva posto in evidenza: la adeguatezza, cioè, dell'incontro tra forze di sinistra e forze conservatrici, in sede di commissione senatoriale, ai fini della battaglia abrogazionista. Per chiudere questa falla, ancora su l'»Unità , in data 23 dello stesso mese, compariva un intervento a firma G.T. (Gigliola Tedesco?) nel quale si affermava esplicitamente che i rilievi mossi da Petrella erano inesatti. Per G.T. non potevano esservi dubbi che il disegno di legge varato in Commissione contenesse importanti e valide modifiche alla »parte generale del codice penale, modifiche contro l

e quali si erano già appuntati »gli strali dell'on. Andreotti ; mentre per la parte speciale, relativa ai reati di »opinione , i comunisti avevano »acceduto ad accantonare la discussione, da riprendersi in altra sede, cioè in sede di dibattito in aula; anche se, aggiungeva G.T., il progetto non mancava neppure di portare innovazioni, come la »abrogazione o la radicale modificazione delle norme relative alle »grida o manifestazioni sediziose , alla »radunata sediziosa e alla »pubblicazione o diffusione di notizie false e tendenziose e infine la »tranquillità pubblica o privata . La precisazione concludeva il confronto delle tesi e delle posizioni, per quanto ve ne era stato (e cioè poco). Il PCI dava per acquisito un successo, quello ottenuto nel dibattito alla commissione senatoriale e offriva, come unico avallo, la propria parola.

Dietro queste conclusioni, tuttavia, si profilava una tesi più a largo raggio: in agosto, intervenendo ancora nella questione, il senatore Gianfranco Maris (PCI), su »l'Unità , ripeteva che la Commissione senatoriale aveva »attuato un primo adeguamento del nostro ordinamento penale alla Costituzione. E aggiungeva: Referendum? Nemmeno a parlarne: la »consultazione per referendum non può che avere una utilizzazione eccezionale in quanto essa contiene limiti »plebiscitari che dovrebbero quindi presupporre »l'esistenza di uno scollamento tra paese reale e sue rappresentanze a livello istituzionale . Il rifiuto di adesione, per il quale Perna aveva portato motivazioni contingenti, di mera opportunità o, magari, di tattica, si insediava ora su argomentazioni di fondo. Esse sono assai importanti, perché costituiscono una presa di posizione nuova e delicata non solo nei confronti di "questo" referendum ma di ogni possibile referendum. Lo strumento di democrazia diretta, voluto nella Costituzione dalle sinistre, v

iene qui respinto a dato "anomalo" delle strutture istituzionali, in quanto conterrebbe caratteristiche potenzialmente eversive (il carattere "plebiscitario") rispetto al normale, democratico funzionamento di quelle. Se queste tesi cominciano ad affacciarsi nella sinistra, dobbiamo dire che ci troviamo di fronte ad un dato nuovo ed inaspettato, che modifica profondamente il quadro originale delle posizioni dei settori democratici rispetto all'edificio costituzionale, pur mentre se ne chiede la attuazione e l'approfondimento nel senso di una maggiore partecipazione attiva delle grandi masse popolari.

L'intervento dei vertici per affossare il referendum era del resto esplicito e diretto: il 14 luglio, su »l'Unità , appariva una corrispondenza da Siena, nella quale veniva posto in evidenza il testo del comunicato con il quale la locale Federazione esprimeva il suo »dissenso con l'iniziativa e la sua »decisione di non appoggiarlo »in nessun modo . Il comunicato - che era stato diffuso sotto forma di volantino e di manifesto murale nella provincia e fin nelle fabbriche, conteneva anche una grave falsificazione sul referendum, là dove affermava che le forze democratiche non potevano essere d'accordo »su tutte le abrogazioni proposte, quali, per esempio, "l'apologia al fascismo" . Si aveva notizia che anche altre Federazioni si erano mosse con comunicati pressoché identici, ad esempio Bari, e questa era la verifica della unitarietà della decisione di boicottaggio: questi documenti, in effetti, riproducevano quasi integralmente il testo di una circolare inviata dalla direzione del PCI a tutte le federazioni,

fin dai primi di luglio, per la firma di Armando Cossutta.

Anche se non era soddisfacente, anche se circondato di cautele e frenato da alcuni settori, l'atteggiamento degli altri partiti della sinistra mostrava anche qualche segno positivo. Se Enrico Manca, della direzione del partito, ed altri della corrente demartiniana avevano assai presto opposto un parere negativo e che la segreteria del PSI assumesse impegni diretti ed espliciti impedendo così al segretario Giacomo Mancini di portare in direzione un documento specifico, se l'»Avanti condensava l'informazione in anonimi e insufficienti dati di cronaca, tuttavia le Federazioni del PSI si mostravano spesso favorevoli anche a condurre in prima persona l'iniziativa della raccolta. Nel PSIUP, la iniziativa del referendum diveniva occasione di confronto politico, e la sinistra ne faceva un motivo di verifica politica per il partito nel suo insieme. Tale aperto confronto determinava, ancora alla fine di agosto, un dibattito in direzione. Essa respingeva la tesi (che, come vedremo, cominciava ad affacciarsi) della liq

uidazione del referendum. L'apporto di parecchie federazioni era quindi consistente. In sostanza, si verificava questo, che le resistenze, le ostilità si verificavano in particolare, sia per quanto riguarda il PSI che il PSIUP, in quei settori che facevano, della tesi »unità antifascista , un dato prioritario rispetto a qualsiasi ricerca di modelli diversi di aggregazione e di spinta unitaria e di base.

Questo confronto, comunque, si ripercuoteva anche all'interno del Comitato. La proposta indirettamente suggerita da Generoso Petrella su »l'Unità , di dirottare la mobilitazione su obiettivi generici e di appoggio frontista alle forze della sinistra parlamentare veniva apertamente avanzata e sostenuta in seno al Comitato, nel corso di una riunione tenutasi il 3 settembre a Roma. Il comitato lombardo di raccolta delle firme, sempre attraverso Petrella, sottoponeva alla discussione la tesi, ripresa anche da esponenti del PSIUP e dal rappresentante del MPL, di sostituirla con quella di adesioni per un documento di protesta antifascista e democratica. Lo stesso Petrella avvertiva poi che si sarebbe opposto a che l'iniziativa potesse assumere un carattere di manovra diretta contro il partito comunista. Il Comitato, a larga maggioranza, non accedeva a questa indicazione e confermava invece le precedenti disposizioni per la continuazione della raccolta fino al 30 settembre, data ultimativa per la presentazione in C

assazione della documentazione legalmente valida per richiedere l'effettuazione del referendum abrogativo. Un'ultima importante verifica delle diverse posizioni si aveva, a metà settembre, sempre in sede di comitato: veniva accolto un ordine del giorno (presentato dai rappresentanti del Partito Radicale, del PSI, della sinistra liberale e delle ACLI), in cui si denunciava la gravità di un eventuale fallimento, le cui responsabilità non potevano non essere fatte ricadere sui vertici dei partiti che avevano impedito una più larga mobilitazione della base e dei militanti.

Le divergenze di valutazione si ripercuotevano anche all'interno di »Magistratura Democratica , il cui segretario, come si è visto, era venuto interpretando in maniera restrittiva e riduttiva l'iniziativa. Si giungeva, alla metà di settembre, ad una riunione dell'esecutivo, in cui l'unanimità veniva raggiunta sul rinvio ad una assemblea della associazione, per un giudizio politico definitivo, dell'intero problema. Se il rinvio alla metà di ottobre impediva che un immediato, pubblico confronto seguisse il 30 settembre, le decisioni del Comitato - di consegnare o meno in Cassazione le firme raccolte - questa decisione aveva impedito d'altra parte che si prendessero unilaterali decisioni negative che avrebbero, in quel momento, pregiudicato gli ultimi sforzi che i comitati locali andavano compiendo per giungere alla fine di settembre con un risultato numerico comunque soddisfacente, se non sul piano tecnico, sicuramente sul piano politico.

Un'analisi esatta e completa delle caratteristiche e delle modalità della raccolta non è ovviamente ancora possibile farla. Ci limiteremo quindi a segnalare alcuni dati particolarmente rilevanti, su un complesso di circa 150 mila adesioni. In via preliminare si può osservare che i comitati, o i partiti o anche i singoli che hanno promosso il lavoro effettivo di organizzazione locale e di raccolta hanno meglio potuto adempiere al difficile lavoro (il quale comprendeva anche, va rilevato, la autentica delle firme e la raccolta dei relativi certificati elettorali) là dove in generale più sensibile e matura è la partecipazione popolare e democratica alla vita associativa e politica. Il fatto che l'ANPI, sia stata sovente (in Piemonte, in Emilia-Romagna e altrove) il tessuto connettivo dei comitati è un fatto significativo del carattere di mobilitazione antifascista che l'iniziativa ha saputo concretamente assumere. In una regione particolarmente sensibile alla lotta antifascista le città dove maggiore è stato lo

slancio dell'ANPI sono Reggio Emilia, circa 3.300; Modena, più di 7.000; Imola, 500; Cerignola, 342; ecc. Il forte carattere militante dell'iniziativa trova, per l'Emilia Romagna, altri dati a conforto: Parma, 3.315; Guttatico (comitato comunale), 239; Castelnuovo di Sotto, 398; Bologna (Comitato, ANPI, ecc.), quasi 6.000; Forlì (PRI), 712; Budrio (Circolo Lenin), 153; Ferrara (PSIUP, CGIL, ACLI), poco meno di mille.

Anche in Toscana, e specialmente nelle zone di maggiore concentrazione operaia (Prato) o dove le sinistre hanno cooperato attraverso le organizzazioni di partito, i sindaci ed i comitati comunali appositamente costituiti, i gruppi sindacali, raggruppamenti democratici (il comitato antifascista di Livorno, ad es. prima che l'effetto della circolare della direzione PCI ne mettesse in crisi alcune componenti), ecc., la raccolta delle adesioni ha dato risultati eccellenti: citiamo i casi di Prato e Firenze, dove il comitato promotore ha potuto avvalersi di buoni appoggi ed ha raggiunto, già ai primi di settembre, la cifra considerevole di 9.700 firme, quello di Livorno, tra i lavoratori della Cantoni, o di Lucca e Pisa, che insieme hanno assommato a circa 10.000.

In Lombardia, il comitato comunicava, ancora il tre settembre, di aver riscontrato solidarietà e adesioni sopratutto nelle zone e nei settori operai; sempre nella stessa data il comitato piemontese poteva comunicare che i metalmeccanici erano disponibili per un lavoro di raccolta presso le fabbriche Fiat e Olivetti, ed erano in grado di garantire l'apporto, politicamente rilevante, di 40-60.000 firme; rilevavano che l'iniziativa era stata riconosciuta importante dai sindacati, che attraverso di essa si ripromettevano di effettuare una verifica del potenziale democratico e di lotta all'interno delle fabbriche. A Pavia, un comitato provinciale, con l'aiuto ed il connettivo, ancora dell'ANPI, raccoglieva circa 3.000 firme. Se le circa 20.000 firme controllate dal comitato lombardo in data 3 settembre possono apparire un risultato modesto (la regione lombarda, ovviamente, avrebbe dovuto rappresentare uno dei punti di forza) va considerato che, d'altra parte, il comitato lombardo è stato uno di quelli che più pre

sto ha mostrato incertezze e remore circa il significato della iniziativa nel suo complesso, tanto da farsi promotore, come si è visto, di una sua trasformazione, ancora ad un mese dalla sua effettiva conclusione. Appare evidente che uno sforzo effettuato con maggiore decisione e continuità avrebbe potuto portare risultati più rilevanti: era infatti lo stesso comitato lombardo ad informare che qualsiasi sondaggio effettuato, specie nelle zone operaie, aveva dato risultati pienamente soddisfacenti, e non aveva provocato reazioni negative o disinteresse.

Le regioni »bianche del Veneto hanno anche esse fornito sorprendenti dati di coscienza democratica, anche in città tradizionalmente difficili (Treviso, CISL, 6.300; Trieste, 1.000; Padova e Venezia, 6.900; Bolzano, 1.500; Badia Polesine, 1.068; Brescia, 955; Portogruaro, 259; Belluno, circa 700; Vicenza, 4.000). In queste zone, la CISL è stata tra le forze trainanti. In complesso, invece, insoddisfacente è stata la mobilitazione in città come Roma (4-5.000) dove le adesioni sono state raccolte in occasioni di comizi politici (PSI, PSIUP, PCI) o durante manifestazioni o in sedi democratiche (LID, »Manifesto , ecc.), mentre solo sporadicamente (qualche sezione periferica di partito) si è potuto rompere, presso i settori e gli ambienti popolari o avanzati, l'isolamento del comitato. Non esattamente valutabili invece, ancora, i risultati nel sud. Napoli è stata pressoché assente, in quanto deve presumersi che le forze che sono state interessate e dovevano funzionare come centri promozionali non si siano invece

mosse. Buoni i risultati in Abruzzo, non appena sono state vinte esitazioni e sfiducie, a Matera (594), nelle Puglie, dove è da segnalare che sindaci comunisti dei grossi borghi contadini hanno favorito e appoggiato direttamente l'iniziativa, dove fanno spicco alcuni dati (Bari, 2.200, con un forte contributo della LID locale; Cerignola, 342; Lecce, 1414; Taurianova, 182) che indicano una notevole penetrazione di questa »difficile battaglia presso ceti agricoli o comunque scarsamente urbanizzati.

Mancano - o mancano a noi - altri dati importanti. Certamente, alcune mancanze (e ricordiamo Napoli) sono indicative, per converso, di probabile scarsa rispondenza. Ma sembra di poter affermare che: 1) la raccolta ha avuto successo in primo luogo presso le masse democratiche, popolari ed operaie; 2) minori risultati, o addirittura risultati nulli si sono avuti nei centri politicamente più disgregati socialmente più depressi; 3) le forze contadine non sono affatto insensibili ad una battaglia di questo tipo: abbondano infatti i dati relativi alla raccolta, magari modesta, in piccoli o piccolissimi centri, paesi più che città. Per questo tipo di dati ci sembra notevole già il fatto della promozione della iniziativa, certamente echeggiata spontanea presso circoli, o gruppetti o singoli militanti di partito che hanno risposto ad un appello che li raggiungeva solo attraverso fonti e canali di informazione mediati o comunque non impegnativi; 4) in nessun caso si sono registrate opposizioni motivate da incertezze o

d ostilità che potessero giustificare, per esempio, le preoccupazioni espresse dai vertici e dagli apparati burocratici di partito; 5) la raccolta, nella grandissima maggioranza, è stata promossa da forze »spontanee , non riconducibili sostanzialmente a gruppetti »extraparlamentari , anche se in parecchi casi (Cune, »Lotta Continua insieme a radicali e socialisti; Palermo ed altrove, »Manifesto ) questi hanno aderito o promosso direttamente la raccolta; oppure da gruppi di tipo »culturale (Cineforum, Circolo Lenin, Circolo Salvemini, eccetera). Le forze sindacali, CISL, ACLI, metalmeccanici sono stati presenti in parecchi centri, mentre è da registrare il cedimento della Federbraccianti, che pure si era impegnata in un primo tempo.

Avevamo denunciato come insufficiente e pericoloso - anzi, vero e proprio ricatto ed alibi contro la proposta di referendum democratico - l'accordo intercorso in commissione Giustizia del Senato intorno ad alcune modifiche da apportare ai codici fascisti. In questo, che è un postscriptum aggiunto molto dopo le pagine che precedono, possiamo meglio giustificare e chiarire quel giudizio negativo, alla luce di fatti intercorsi in questi giorni. Il 13 ottobre, il Senato ha approvato un provvedimento di legge che abroga una serie di norme del Codice Penale e ne modifica altre, quel provvedimento che la sinistra entusiasticamente elogiò - con qualche riserva e molti proponimenti di emendamento - questa estate. Ebbene, è la stessa sinistra che ieri votando contro il progetto, definito »inadeguato dal senatore Terracini, stigmatizzato come »pericoloso dal senatore Carlo Galante Garrone, avversato dai socialproletari intervenuti con il senatore Tomassini, fatto oggetto (come sottolinea l'"Unità") di una »severa req

uisitoria da parte del socialista senatore Bardi, ci ha dato pienamente ragione e ci ha confermato nella necessità di una vera battaglia popolare senza la quale (checché ne pensi anche il segretario della CGIL, Lama, che in una intervista televisiva ha sconsigliato questa strada con le solite motivazioni di opportunità) il codice fascista non verrà mai riformato.

Il progetto di legge che ora passa alla Camera dei Deputati abroga infatti gli articoli 269 (attività antinazionale all'estero), 270 (associazioni sovversive), 271 (associazioni antinazionali), 272 (propaganda e apologia sovversiva), 273 (illecita costituzione di associazioni aventi carattere internazionale), 274 (illecita partecipazione alle medesime), 279 (lesa prerogativa della responsabilità del presidente della Repubblica), 292 bis (circostanze aggravanti per il vilipendio alla bandiera), 303 (pubblica istigazione ed apologia dei reati suddetti), 305 (pubblica istigazione dei reati suddetti), 305 (cospirazione politica), 364 (omessa denuncia dei reati suddetti), 502-504-505-506 (serrata e sciopero, ecc.), 507 (boicottaggio), 509 (inosservanza delle norme disciplinanti i rapporti di lavoro), 365, secondo comma (aggravante per danneggiamento in caso di sciopero o serrata), 654 (grida o manifestazioni sediziose), 657 (grida o notizie atte a turbare l'ordine pubblico). Per quanto riguarda »vilipendio , »ist

igazione , »apologia , il disegno di legge si limita ad alcune attenuazioni della pena, mentre tutte le norme repressive dei diritti di sciopero sono lasciate alla discrezione di un vago progetto governativo.

Come dovevasi dimostrare, come invano i magistrati e i promotori del referendum avevano cercato di dimostrare. Ma - ed escludiamo, per dignità, il peggio - l'elefante delle sinistre, reso cieco dal panico per il referendum, è cascato nella trappola.

ANGlOLO BANDlNELLl

 
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