di Gianfranco SpadacciaSOMMARIO: Un'accurata analisi del comportamento dei laici e delle sinistre su divorzio e concordato. La paura di aver vinto, e quella di affrontare il referendum appoggiato dai vescovi. Per Enrico Brlinguer, le posizioni dei radicali e della Lid sono provocazioni, e "costruttivo è solo il dialogo con la Chiesa". La Cei "lancia" il referendum. La Lid contro le inframettenze del clero: una diffida all'Azione cattolica e alle autorità ecclesiastiche a non violare la legge dello Stato in materia di raccolta delle firme. Liberali, repubblicani, laici, le sinistre hanno paura del confronto con i clericali. Un documento radicale sull'art.7 della Costituzione e sul Concordato. Il vero oggetto del baratto tra Chiesa e Stato è l'articolo 34 sugli effetti civili del matrimonio concordatario. Ma in gioco è tutto il potere della Chiesa, e tutti i suoi feudi. Il dibattito alla Camera sulla revisione della legge Fortuna, da accordare alla Chiesa in cambio della rinuncia al referendum. La questione dell'istruzione religios
a: un servizio? Cappellani scolastici dopo quelli militari e sanitari? La LID interviene perché siano approvati provvedimenti legislativi per i pieni diritti civili ai preti. Nella battaglia contro il divorzio, l'arma finale del Vaticano: promulgato l'annullamto rapido rotale del matrimonio religioso.
(LA PROVA RADICALE N.1 - AUTUNNO 1971)
Si intrecciano naturalmente nella discussione problemi complessi e non sempre omogenei e, nel seguire i diversi interventi, si ha l'impressione che, su ciascuno di essi, i rappresentanti dei partiti laici si dibattano in un viluppo di contraddizioni.
La prima di queste contraddizioni riguarda l'iniziativa del referendum clericale contro il divorzio. La campagna per le firme in tutta Italia è già ufficialmente cominciata da alcuni giorni; la stampa riporta già episodi di cronaca che costituiscono le prime concrete prove di una aperta mobilitazione delle parrocchie e di una massiccia utilizzazione di tutti gli altri strumenti del potere ecclesiastico, con gravi pressioni e prevaricazioni nei confronti dei credenti. I rappresentanti ufficiali dei partiti laici parlano tutti del referendum come di un ostacolo alla revisione, ma ne parlano come se fosse una eventualità futura e da verificare. Tutti mettono in guardia la Chiesa dall'intervenire in appoggio della raccolta delle firme, come se questa ingerenza non fosse già in atto. Un solo oratore, fra i revisionisti, l'on. Bozzi del PLI, evoca con toni allarmanti la possibilità di un baratto (la rinuncia al referendum da parte della Chiesa in cambio di importanti concessioni su alcune clausole del Concordato)
e consente con Scalfari sull'opportunità di ritardare la apertura delle trattative. Indicazione del tutto opposta viene invece suggerita dalla rappresentante comunista, l'on. Nilde Jotti, per la quale bisogna al contrario affrettare i tempi. La revisione dunque è acqua che deve essere gettata sull'olio bollente del referendum. C'è da chiedersi se questa fretta di trattare con il Vaticano non sia già la premessa di un baratto.
Quando non sono costretti, come nel caso del referendum antidivorzista, a nascondere il capo sotto la sabbia, gli oratori revisionisti devono ricorrere, di fronte ad altri problemi e ad altre contraddizioni, ad affermazioni assolutamente generiche e a volte non riescono a nascondere il loro imbarazzo. E' il caso dell'art. 34 del Concordato. Colombo, nella sua introduzione al dibattito si era limitato a proporre »un più esplicito e diretto riferimento alla legge civile in materia di trascrizione dei matrimoni religiosi e un allargamento della competenza e delle funzioni delle corti d'appello nel rendere esecutive le sentenze dei tribunale ecclesiastici e aveva riservato un riferimento soltanto indiretto ai problemi aperti dall'approvazione del divorzio. Ma i suoi interlocutori non sono da meno. Sia per l'on. Jotti sia per Ballardini, quello del matrimonio è un problema essenziale per il Concordato. Il problema più grosso - dice Nilde Jotti - è quello del valore del matrimonio religioso per lo Stato italiano,
ma aggiunge di »non aver ricette pronte da presentare salvo indicare la ricerca di una soluzione attraverso il rispetto dell'autonomia della famiglia, indicazione per altro, come la stessa oratrice riconosce, estremamente generica e che può assumere contenuti diversi a seconda del significato che si attribuisce alle parole. Ballardini si limita ad affermare l'opportunità di una regolamentazione comune con la Chiesa, ritenendo non conforme alle abitudini e alle tradizioni del popolo italiano il ritorno puro e semplice al regime pre-concordatario del doppio matrimonio, civile e religioso. Lo stesso Ballardini e gli on. Bozzi e Reale si occupano dei problemi aperti dall'introduzione del divorzio. Tutti affermano che il divorzio, anche per i matrimoni concordatari, è un fatto irreversibile e tutti si arroccano sull'interpretazione data dal Parlamento dell'art. 34 del Concordato. Ballardini ritiene però che una controversia interpretativa sia ancora in piedi con la Chiesa e che debba essere rapidamente chiusa,
mentre gli altri due sembrano essere di parere contrario (afferma Reale che bisogna »dissipare l'equivoco che le trattative per la revisione siano comunque una continuazione o una ripresa del confronto del 1970 sull'interpretazione dell'art. 34 ). Il primo tuttavia non spiega come si potrebbe evitare, includendo quella controversia, di rimettere in gioco con le trattative anche l'applicazione del divorzio ai matrimoni concordatari; l'on. Reale e l'on. Bozzi a loro volta non spiegano come si potrebbe resistere alle pretese della Chiesa di riprendere nella trattative quel confronto interpretativo. L'uno e gli altri si comportano come se lo Stato andasse a trattare con il Vaticano in condizioni di forza e, con la campagna del referendum in atto, non si verificasse invece il contrario. A proposito della riserva di giurisdizione ecclesiastica in materia di nullità matrimoniali (Sacra Rota e tribunali ecclesiastici), l'on. Bozzi sostiene che il problema debba essere sollevato nella trattativa; l'on. Reale ritiene
che il »discorso si può tentare, anche se, stante l'attuale giurisprudenza costituzionale, è un po' difficile .
Qualcosa di analogo avviene per l'istruzione religiosa. A questo proposito Colombo si era limitato a prospettare una attenuazione della obbligatorietà dell'insegnamento religioso, nel senso »di assicurare il diritto alla dispensa da tale insegnamento e l'esplicita esclusione di ogni discriminazione che abbia per base la religione . L'on. Jotti critica il presidente del Consiglio per questa parte del suo discorso, ricorda giustamente che bisogna eliminare la formulazione attuale secondo la quale l'istruzione religiosa »è fondamento e coronamento dell'insegnamento , afferma poi che »bisogna arrivare a una libera scelta se si vuole un "servizio" - come da molte parti si intende - organizzato . Ballardini si limita a dire che »siamo costretti a riconoscere il contemporaneo interesse dello Stato e della Chiesa in questa materia »sia che essa sia regolata come è ora, sia che debba essere regolata in maniera diversa . Bozzi, riprendendo il discorso della on. Jotti, dice che bisogna abbandonare »ogni concezione mon
opolistica di questa o quella religione, ammettendosi cioè una libertà di richiesta del servizio religioso . Reale e Orlandi non si occupano dell'argomento. Ma anche coloro che se ne occupano, non precisano in cosa debba consistere questo »servizio religioso (andiamo forse verso l'instaurazione dei cappellani scolastici, dopo quelli militari e quelli sanitari?), né come possa essere concretamente superata la attuale situazione di monopolio dell'istruzione religiosa, né infine come possa concretamente attuarsi la libertà di scelta da parte delle famiglie e degli studenti. Di laicizzazione, di scatechizzazione, di storicizzazione dell'istruzione religiosa (ma sarebbe meglio parlare di insegnamento di storia delle religioni), neanche a parlarne. E neppure si parla, ovviamente, di una liberalizzazione e laicizzazione di questo tipo d'insegnamento e della sua sottrazione al controllo gerarchico delle diocesi. Semmai l'equivoca proposta di un »servizio prospetta da questo punto di vista il rafforzamento degli st
rumenti di potere di cui la Chiesa già dispone nelle scuole.
Tutti attribuiscono grande importanza alle affermazioni di principio contenute nelle sentenze della Corte Costituzionale per quanto riguarda il rapporto fra norme concordatarie e norme costituzionali, ma poi si guardano bene dal trarne qualsiasi conseguenza operativa. L'invito reiteratamente rivolto da Scalfari, da Fortuna, da Basso, da Natoli, da Boiardi, ad un accertamento preventivo della costituzionalità delle norme concordatarie non viene raccolto. Gli oratori revisionisti, sia della maggioranza che della opposizione, si affidano invece all'impegno del Presidente del Consiglio, il quale ha assicurato che quello dello adeguamento alla Costituzione sarà il primo criterio, anche se non il solo cui il Governo si atterrà nelle trattative per la revisione.
Convengono inoltre sulle proposte del Presidente del Consiglio di abolire i residui giurisdizionalistici presenti nel Concordato (il giuramento dei Vescovi davanti al Capo dello Stato; la regolamentazione bilaterale del numero delle diocesi, per altro mai rispettata, ecc.) e di eliminare i limiti posti alla libertà politica dei sacerdoti. Nessuno tuttavia si preoccupa di accompagnare, a questa giusta rivendicazione laica in ogni tempo avanzata dagli oppositori del Concordato, una regolamentazione giuridica che impedisca l'utilizzazione a fini politici dei luoghi di culto e delle organizzazioni ecclesiastiche e paraecclesiastiche, che siano in qualsiasi modo finanziate dallo Stato. Nessuno mostra di accorgersi che senza una tale regolamentazione giuridica la libertà politica del singolo sacerdote sarebbe ulteriore e definitivo avallo al costituirsi della Chiesa in partito politico all'interno dello Stato, e che se il sacerdote in quanto cittadino deve disporre delle libertà che spettano agli altri cittadini,
il sacerdote in quanto parroco che riceve una congrua deve essere sottoposto, nella amministrazione della parrocchia, agli stessi limiti cui è sottoposto qualsiasi pubblico ufficiale.
Nessuno infine fa riferimento alla immensa rete di interessi clericali che si è costituita durante il regime fascista e si è consolidata con la Repubblica democratica. A sentire gli oratori revisionisti sembra di vivere in una realtà diversa da quella del nostro paese, dove i privilegi concessi dal Concordato e dalle norme di attuazione agli enti ecclesiastici e le compromissioni di un potere politico succube vengono spregiudicatamente utilizzate dalla Chiesa a fini che non sono certo religiosi. Unica eccezione e l'on. Ballardini, il quale però nega il legame diretto fra il regime concordatario e questa realtà, afferma che sarebbe assurdo pensare a nuove leggi eversive e si limita ad invocare interventi statali per sottrarre l'assistenza al monopolio clericale.
Le contraddizioni più gravi in cui sono costretti a dibattersi gli oratori revisionisti si riscontrano però, non tanto sui singoli punti, quanto da una parte sulla tematica generale e sugli obiettivi politici della revisione e dall'altra sulla procedura e sulle modalità con cui deve essere perseguita.
Tutti convengono che molte delle norme del Concordato sono di fatto, a causa dello sviluppo politico e sociale del paese, ormai superate o addirittura cadute in desuetudine e che dopo l'adeguamento del Concordato alla Costituzione ben poco rimarrà dell'edificio concordatario. Un oratore afferma che più che di rami secchi sarebbe opportuno parlare di »un tronco secco . A proposito dei problemi che rimangono attuali si riconosce da tutti che il divorzio ha vanificato gran parte del potere ecclesiastico sulla famiglia, e si parla della istruzione religiosa e degli altri problemi come di questioni su cui sarebbe a portata di mano una soluzione che invece di rafforzare attenuerebbe il potere della Chiesa. Questo ottimismo non pare giustificato. Non a caso sia il Presidente del Consiglio sia l'unico altro oratore democristiano intervenuto nel dibattito. l'on. Andreotti, sono estremamente cauti e generici - ancora più cauti e generici dei loro interlocutori - sui contenuti della revisione. Ma se esso fosse giustifi
cato, perché allora bisognerebbe mantenere in vita questo »tronco secco e perché la Chiesa mostrerebbe tanto interesse alle trattative per la revisione?
La maggior parte degli oratori revisionisti rifugge dal dare una risposta a questa domanda, limitandosi a dichiarare il vincolo costituzionale dell'art. 7, che imporrebbe la strada delle trattative e della revisione bilaterale come unica strada possibile (ma la revisione è caso mai una alternativa alla abrogazione del Concordato, non al mantenimento dello "statu quo"). L'unica a tentare onestamente una risposta è Nilde Jotti: la oratrice comunista sottolinea il valore politico di un Concordato così rinnovato ai fini della concordia fra Stato e Chiesa. E in effetti la revisione avrà un enorme valore politico, non certo per le ragioni indicate dal l'on. Jotti (che ha parlato, figurarsi, del Concordato »come strumento atto a creare, all'interno del paese, un regime di tolleranza ), ma per la riconfermata determinante influenza che la Chiesa ne trarrà in settori essenziali della società e della vita civile e più in generale nell'equilibrio politico del paese. Ma a questa risposta certamente valida se ne deve agg
iungere un'altra che, come abbiamo visto, nessuno degli oratori revisionisti ha preso in considerazione: ed è che la Chiesa può oggi tranquillamente accettare la modifica o addirittura la abrogazione di alcune norme del Concordato perché il suo potere non passa più attraverso garanzie di carattere formale ma attraverso strutture autonome acquisite e consolidate all'interno stesso dello Stato. In cambio della modifica o della abolizione di norme che ormai sono in contrasto con la realtà politica, sociale e giuridica del paese e che comunque sarebbero destinate a non essere applicate, la Chiesa può chiedere, con la revisione, il riconoscimento e il rafforzamento di queste nuove fonti di potere.
E' proprio questa considerazione a svelare i limiti di un dibattito parlamentare che è rimasto ancorato a una tematica paleoliberale e garantista e non si è discostato dalla falsariga di un formalismo giuridico incapace di compromettere e di inquadrare l'intreccio reale degli interessi clericali e di potere della Chiesa con la vita, le strutture e il funzionamento dello stato democratico. Proprio coloro - soprattutto socialisti e comunisti - che accusano normalmente i radicali e gli anticoncordatari di vecchio anticlericalismo, dimostrano di rimanere legati agli schemi e alla metodologia di un liberalismo ancora ottocentesco.
Su un ultimo punto, quello relativo alle procedure della revisione e ai rapporti fra Governo e Parlamento, i partiti laici revisionisti accettano la soluzione indicata da Colombo, di consultazioni del Presidente del Consiglio con i gruppi parlamentari prima della apertura ufficiale delle trattative. Ed è su questa soluzione e, a parte questa concessione, su un mandato in bianco rilasciato al Governo, che si costituisce per la prima volta una maggioranza ufficiale comprendente i quattro partiti del centro sinistra più i comunisti. L'ordine del giorno Andreotti, Jotti, Bertoldi, La Malfa, Orlandi (qualcuno ironicamente parla di mozione Andrejotti) invita il Governo »a promuovere il negoziato, mantenendo i contatti con le forze parlamentari, come dalle dichiarazioni del Presidente del Consiglio, e riferendo conclusivamente alle Camere prima della stipulazione dell'accordo di revisione .
I deputati Scalfari, Fortuna, Natoli e Basso presentano un ordine del giorno proponendo la costituzione di una commissione parlamentare per l'accertamento preventivo della costituzionalità o meno delle norme concordatarie. Socialproletari e liberali insistono sulle loro mozioni, che vengono respinte, e si astengono sulla mozione Andrejotti. Tre deputati socialisti - Scalfari, Fortuna e Mussa - e i cinque del "Manifesto" votano contro l'ordine del giorno della maggioranza. Il socialista Riccardo Lombardi e il liberale Ennio Bonea non partecipano alla votazione. L'odg Scalfari-Fortuna-Natoli-Basso non giunge alla votazione che è preclusa dalla precedente approvazione dell'odg Andrejotti.
L'on. Andreotti potrà con soddisfazione affermare che sull'ordine del giorno si è registrata »un'esemplare compattezza della maggioranza con un'aggiunta di voti che consentono al Governo di aprire il negoziato con la Santa Sede in posizione di serenità psicologica e di forza politica .
Il giorno successivo, l'8 aprile, il segretario generale del PCI, Luigi Longo, avallerà con una dichiarazione le scelte di Berlinguer e della on. Jotti. »Noi comunisti - afferma Longo - ci siamo mossi in piena coerenza con la nostra politica degli anni lontani della lotta di liberazione e della costituente, che è quella di promuovere - nella salvaguardia della pace religiosa, della indipendenza e sovranità dello Stato e della Chiesa nel rispettivo ordine - il progresso democratico e sociale attraverso l'incontro del movimento operaio e di quello cattolico .
Le organizzazioni anticoncordatarie rimangono sole a svolgere nei mesi successivi una campagna nazionale contro i metodi illegittimi che vengono usati, in violazione delle stesse norme del Concordato, dai clericali nella raccolta delle firme per il referendum abrogativo del divorzio. Alla iniziativa del Partito Radicale e della Lega italiana per il divorzio, la LIAC assicura per la prima volta il contributo di personalità e gruppi di credenti.
Iniziata con un comizio tenuto a Piazza Navona, il 4 aprile, in coincidenza con l'inizio ufficiale della raccolta delle firme, la campagna prosegue con comizi in grandi città, azioni dirette presso le Chiese e presso organismi clericali, denunce a Vescovi per i loro interventi a favore del referendum o per le loro affermazioni sulla legge Fortuna. Solo a Roma in due mesi si svolgono circa trenta azioni dirette presso Chiese, istituti religiosi, scuole gestite dal clero e finanziate dallo Stato, cinema parrocchiali, ospedali. Gravi episodi di pressioni psicologiche e morali vengono denunciati alla stampa: firme raccolte in ospedale dal cappellano, fra i genitori i cui figli frequentano le scuole clericali, nelle case di cura per malati di mente, fra gli ospiti delle case di riposo per vecchi e in altri istituti assistenziali. In un istituto di Roma le suore fanno scrivere alle bambine una lettera per invitare i genitori a firmare la richiesta di referendum. Uno dei genitori denuncia l'episodio e presso questo
istituto si svolge una manifestazione di protesta dei divorzisti. Un lettore rivela al "Messaggero" le pressioni esercitate nei confronti degli impiegati della Città del Vaticano. Non sempre la amministrazione pubblica rimane estranea e neutrale: la LID denuncia le pressioni di un dirigente del Ministero della Difesa per costringere i propri dipendenti a firmare. Anche in questo episodio si occupa la stampa. Una inchiesta viene condotta dalla LID presso duecento parrocchie del Lazio: le telefonate, registrate su nastro, dimostrano che salvo poche occasioni tutti i parroci sono mobilitati nella campagna clericale e che in quasi tutte le parrocchie, a date fisse e in ore prestabilite, sono presenti notai per la raccolta delle firme.
All'inizio di aprile la Presidenza e la Segreteria nazionale della LID denunciano l'arcivescovo di Siena, mons. Castellano, e gli altri vescovi e prelati che hanno con lui firmato una lettera pastorale rivolta ai fedeli di quella diocesi, per »eccitamento al dispregio delle leggi dello Stato , »diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico , »abuso della credulità popolare . La lettera pastorale conteneva queste gravi affermazioni, che testimoniano con quali metodi venga condotta la campagna contro il divorzio: »Come testimonia la dolorosa esperienza di altre nazioni, il divorzio significa per la società "più figli illegittimi, più prostituzione, più pazzia, più infanticidi, più coniugicidi, più suicidi, più delinquenza minorile, più crisi coniugali . In una lettera ai deputati e senatori laici la LID chiedeva »se sia possibile che parlamentari laici che hanno votato la legge possano accettare che alcuni Vescovi li accusino di aver provocato simili nefandezze . Per protestare con
tro questo intervento episcopale e contro la decisione della magistratura di Siena di sospendere tutte le cause di divorzio in attesa della sentenza della Corte Costituzionale, si svolge in questa città, il 25 aprile, un comizio del Partito Radicale, della LID e della LIAC, in cui prendono la parola Marco Pannella, Mauro Mellini, il sen. Albani, padre Tony Sansone. Pannella chiama in causa anche le responsabilità dei partiti di sinistra, denunciando il grave stato di spoliticizzazione delle cosiddette »regioni rosse . In nessuna città italiana - afferma Pannella - non a Roma, non a Palermo, non a Napoli, non a Milano e neppure nelle regioni bianche a schiacciante maggioranza clericale un intervento come quello del Vescovo Castellano e un comportamento come quello della magistratura di Siena sarebbero rimasti senza risposta. Questo sarebbe invece avvenuto in una città a maggioranza comunista e socialista, se non vi fosse stata l'iniziativa del Partito Radicale, della LID e della LIAC. Al termine del comizio,
Pannella viene incriminato per »vilipendio della magistratura , una ulteriore prova che le norme fasciste del Codice Rocco non sono valide per tutti; possono venire utilizzate contro laici, radicali e divorzisti, non contro sacerdoti e vescovi, neppure quando questi violano la legge, fascista anch'essa, come il Concordato del 29.
Analoga denuncia viene presentata a Cuneo contro il Vescovo di quella città, mons. Tonetti, dalla locale sezione del Partito Radicale. Il Vescovo aveva invitato i fedeli, con una lettera pubblicata dal settimanale diocesano »La Guida , a dare loro la firma per il referendum.
Queste denunce a Vescovi vengono considerate dai laici »moderati come atti di intolleranza estremistica. Uno di questi laici moderati è il prof. Tosi, che in un articolo pubblicato il 28 aprile dal »Resto del Carlino critica questi comportamenti in nome di »un sereno e pacato laicismo e del »dovere del commento obiettivo secondo coscienza . In particolare il prof. Tosi rimprovera alla LID di denunciare i Vescovi sulla base di norme del Codice Rocco che andrebbero abolite e facendo appello alle norme di un Concordato »che dovrebbe essere buttato a mare . Risponde a Tosi Marco Pannella, con una lettera che non sarà mai pubblicata dal direttore del »Resto del Carlino , un altro di questi »laici per giunta »socialista , Enzo Biagi. Pannella ricorda che proprio gli autori della denuncia contro i Vescovi sono fra i promotori del referendum abrogativo delle norme fasciste del Codice Rocco e sono fra i pochi che conducono in Italia una intransigente battaglia anticoncordataria.
»"Ogni giorno" - scrive Pannella - "con compagni radicali, devo far fronte a difficoltà, spesso a denunce, a intimidazioni costanti, fondate sull'uso e l'abuso di queste leggi (neanche quando alcuni di noi sono stati arrestati per venti giorni, processati e poi riconosciuti innocenti, dal Tribunale, di »diffusione di notizie false e tendenziose abbiamo mai avuto il conforto di una riga, pubblica o privata, dal rigoroso cultore del giure che è senza dubbio il prof. Tosi). Vogliamo una società più giusta, democratica e libera, per tutti; non leggi repressive per i democratici e i laici e indisponibili per vescovi e - magari - generali, industriali e gerarchi radiotelevisivi" .
Ma l'atteggiamento della LID sarà ancora più chiaro quando l'8 maggio si apprende la notizia che l'Arcivescovo di Torino, Cardinale Pellegrino, uno dei pochi Vescovi che non ha messo la propria diocesi a disposizione della campagna clericale, ha firmato la richiesta di referendum.
In una lettera al Cardinale, diffusa alla stampa, Pannella scrive fra l'altro:
»"Non condividiamo le ragioni e gli obiettivi della scelta che... lei ha compiuto... Ma ora ci rivolgiamo a lei per esprimerle il nostro profondo rispetto per aver scelto di affidare la difesa delle sue convinzioni o delle sue preoccupazioni politiche alle pacifiche armi dell'esempio, della difficile testimonianza, dell'umile partecipazione democratica, come uomo e come cittadino, anziché all'abuso clericale, all'uso indegno nella Chiesa e della Chiesa nella sua città, che dilagano sempre di più come uno scempio sulle speranze e le attese del popolo degli umili, dei tolleranti, dei pacifisti, non importa verso ``che cosa'' credenti" .
In un convegno del 18 maggio, gli organi direttivi della LID proporranno su questo argomento due distinti e collegati provvedimenti legislativi: 1) la Presentazione di un progetto di legge che precisi le sanzioni (da due a cinque anni) contro i ministri del culto di qualsiasi grado che, tentando di abusare della religione e della coscienza dei credenti, interferiscano nella lotta politica; 2) una iniziativa parlamentare che dichiari solennemente l'incostituzionalità di qualsiasi limitazione dei diritti civili dei sacerdoti e dei religiosi, in particolare per quanto concerne la loro iscrizione a partiti politici e la possibilità di presentarsi candidati alle elezioni.
Il 10 maggio la LID, attraverso proprie informazioni, è in grado di dare la notizia che la Chiesa, mobilitando le parrocchie e le organizzazioni confessionali, ha già raggiunto le cinquecentomila firme necessarie per il referendum. Quando Gabrio Lombardi la confermerà, Pannella in una dichiarazione afferma: »Il prof. Lombardi si è deciso ad ammettere che le cinquecentomila firme sono state ormai raccolte. Vedremo dunque presto se le nostre affermazioni secondo le quali tale obiettivo era già stato superato da alcune settimane... erano errate e se, per avventura, tali firme non siano molte di più di mezzo milione. E' vero che il prof. Lombardi in realtà non è che un rispettabile elemento »laico di copertura dell'organizzazione antidivorzista e che in definitiva non è detto ch'egli sappia molto di più di quanto sappiamo noi .
Le reazioni suscitate dalla conferma di Lombardi, negli organi di stampa dei partiti e in altri organi di informazione, inducono il 7 giugno l'"Osservatore Romano" a pubblicare una nota ufficiale attribuita alla segreteria di stato vaticana. Afferma l'organo vaticano che la Santa Sede (e non a caso è usata questa espressione) »si è rigorosamente astenuta da qualsiasi presa di posizione sulla iniziativa concreta del referendum; iniziativa presentata fin da principio dai suoi autori, cattolici e ``laici'', come legittimo esercizio di un diritto civico per una finalità ed una preoccupazione civiche anch'esse, ossia la salvaguardia della famiglia italiana . Il referendum si pone perciò »su un piano strettamente italiano e »sorprendenti sono perciò le pretese di un intervento della Santa Sede »per indurre i cattolici a non far uso di prerogative legali loro consentite dalla Costituzione .
Al sofisma dell'organo vaticano replica lo stesso giorno un lungo comunicato la presidenza e la segreteria nazionale della LID, che è opportuno riportare quasi integralmente:
»"Lo Stato della Città del Vaticano - o S. Sede - non è dunque, in quanto tale, coinvolto nella lotta politica italiana, nemmeno per quanto concerne il tentativo in atto di abrogare la legge Fortuna. Bene. Siamo lieti che il Segretario di Stato Villot sia riuscito a far almeno dichiarare e ricordare questa interessante evidenza... Siamo comunque lieti di registrare, una tantum, un punto d'accordo.
Ma il vero problema, in tema di referendum per il divorzio, a titolo di esempio, è allora quello dei rapporti fra Santa Sede o S.C.V. e la Chiesa italiana, e fra questa e le leggi dello Stato cui, come tutti, essa è e deve essere sottoposta. Non ci occupiamo, quindi, del Sovrano di uno Stato straniero, né del suo Segretario di Stato, dei suoi minutanti, gendarmi, banchieri e mercanti. Ma dobbiamo pure occuparci, allora, del capo della Chiesa italiana che è, fino a prova del contraria, il ``primo '' dei vescovi, il vescovo di Roma, Papa Montini; della Conferenza Episcopale Italiana; dei vescovi che la compongono e che esercitano la loro opera in Italia e che - Papa, Conferenza, vescovi, collegialmente e singolarmente - hanno animato e partecipato alla campagna politica contro l'approvazione della legge sul divorzio prima e per la sua abrogazione con referendum popolare poi.
I rapporti fra Santa Sede-S.C.V. sono regolati dal Trattato. Quelli con fa Chiesa italiana dal Concordato - solo nella tenue misura in cui non è in contrasto con la legge fondamentale dello Stato repubblicano. La Chiesa ed i suoi membri, dal Pontefice all'ultimo dei laici, non possono - in quanto tali - fare politica, occuparsi - cioè - di leggi statuali, gestire strumenti e iniziative relative al governo della società, distrarre i mezzi pubblici, giuridici, finanziari, immobiliari, amministrativi che gli sono assegnati per fa funzione pubblica di culto privilegiato di Stato, per usarli in iniziative di parte nel gioco politico democratico.
Invece è accaduto che da almeno sei anni la Chiesa si sia mobilitata in Italia non già per ricordare ai fedeli il valore sacramentale del matrimonio, cosa che era certo nel suo diritto oltre che nel suo (precedentemente forse un po' negletto) dovere, ma per combattere e ostacolare l'approvazione di un progetto di legge che non intendeva minimamente interferire con la libertà religiosa del credente, ma si proponeva solo di mutare l'ordinamento giuridico civile di quell'istituto.
La Conferenza Episcopale prima - la maggioranza dei vescovi italiani poi - hanno sostenuto, aiutato, organizzato, propagandato, finanziato, la sottoscrizione della richiesta di referendum abrogativo. Lo ha fatto sulla base o con il presupposto di un documento che fu reso pubblico solo dopo che per due o tre giorni - come segnalò unanime la stampa - un testo proposto dalla assemblea dei vescovi era stato analizzato, vagliato e aggravato, nel senso di una maggiore interferenza nella vita politica italiana, in... altra sede. Cioè dal Pontefice. Lo ha fatto raccogliendo firme nelle Chiese nelle parrocchie, nelle e attraverso organizzazioni confessionali e di azione cattolica, negli ospedali, nei conventi e altri istituti religiosi, diffondendo notizie false e tendenziose, istigando al disprezzo delle leggi e del Parlamento, tentando di abusare della credulità popolare, plagiando, abusando di mezzi e funzioni pubbliche, di danaro di tutti i cittadini italiani, credenti o
non credenti, distraendoli dai fini per i quali sono assegnati, violando precise norme concordatarie, mancando ai giuramenti che s'era ritenuto comodo rispettare quando il paese era oppresso dalla dittatura e molto utile violare in regime democratico" .
Le anticipazioni della LID sulla entità delle firme raccolte dalla Chiesa risulteranno ancora una volta esatte. Il 19 di giugno, con due settimane circa di anticipo rispetto al termine di tre mesi consentito dalla legge istitutiva del referendum, vengono consegnate alla Corte di Cassazione dagli antidivorzisti un milione e trecentosettantamila firme. Il primo a darne l'annuncio è l'"Osservatore Romano".
Si avvicina intanto la scadenza delle elezioni amministrative del 13 giugno. Nel convegno nazionale del 18 maggio, la LID è costretta a prevedere la necessità di suggerire agli iscritti »la consegna della astensione dal voto e dà mandato alla segreteria nazionale di condurre nel paese una campagna astensionistica »se i partiti laici non forniranno una adeguata risposta alla Chiesa per le sue interferenze nella raccolta delle firme . Nella situazione che si è creata, »adeguato può essere ritenuto soltanto il ritiro dell'adesione dei partiti laici alla revisione del Concordato. Una decisione analoga, più ampiamente motivata, aveva preso la Direzione del Partito Radicale nella sua riunione del 6-7 maggio.
Nella fase più combattuta della campagna elettorale si verificano alcuni fatti importanti, riguardanti, direttamente o indirettamente, il divorzio e il Concordato:
1) non solo gerarchie ecclesiastiche e organizzazioni confessionali ma la stessa D.C. si mobilita in sostegno della campagna clericale per il referendum: Forlani firma la richiesta di referendum; il video-scienziato Enrico Medi viene presentato come capolista democristiano a Roma;
2) alla fine di maggio e all'inizio di giugno il Presidente del Consiglio Colombo, che è anche ministro ad "interim" della giustizia, effettua consultazioni con tutti i gruppi parlamentari in vista della apertura di trattative con il Vaticano per la revisione del Concordato;
3) il Vaticano annuncia, l'11 giugno, la promulgazione di un »motu proprio papale per lo snellimento delle procedure di annullamento dei matrimoni da parte dei tribunali ecclesiastici; il »motu proprio prevede anche un allargamento dei casi di nullità;
4) i promotori del referendum antidivorzista confermano ufficialmente la notizia, già anticipata dalla LID, che sono state raggiunte le 500.000 firme necessarie.
Questi fatti, che si iscrivono tutti in uno stesso disegno politico e di potere, non valgono a mutare l'atteggiamento passivo e rinunciatario dei partiti laici. La »risposta adeguata chiesta dalla LID non sarà assicurata. Ma seguiamo lo sviluppo degli avvenimenti.
Il 22 maggio i giornali danno grande rilievo alla notizia che Forlani ha firmato la richiesta di referendum. Il giorno successivo, dinanzi alle proteste dei partiti laici e alle reazioni di alcune correnti interne di sinistra, la DC fornirà alla stampa la ridicola precisazione che Forlani ha firmato »a titolo personale e non nella sua qualità di segretario del Partito. Il vice segretario del PCI in una intervista a "Rinascita" attacca Forlani e ribadisce che se la Chiesa e la DC si impegneranno nella campagna del referendum, il Partito comunista rivedrà le sue posizioni favorevoli alla revisione del Concordato. Una settimana dopo tuttavia Berlinguer viene ricevuto, insieme ai presidenti dei gruppi parlamentari del suo partito, dal Presidente dei Consiglio nel quadro delle consultazioni che questi svolge in vista dell'apertura di trattative con il Vaticano. A Colombo Berlinguer non comunica il ritiro dell'adesione comunista al progetto di revisione del Concordato; al contrario critica il Presidente del Consi
glio per aver fatto passare troppo tempo dalla data di approvazione della mozione parlamentare prima di dare inizio alla fase preparatoria delle trattative.
Per quanto riguarda il referendum antidivorzista, quando esce da Palazzo Chigi, ripete la solita formula. Ironicamente la LID, con una dichiarazione di Pannella, si mette »a piena e immediata disposizione dell'on. Berlinguer per documentargli il patente, grave impegno della Chiesa per realizzare la prova di forza del referendum sanfedista contro il divorzio . »La LID - prosegue Pannella - si augura che contrariamente a quanto è avvenuto all'on. Ingrao, sia ora possibile all'on. Berlinguer dar seguito all'Impegno del PCI di rivedere il regime concordatario . Si tratta di un augurio che, inutile dirlo, non si verificherà.
Per nulla diverso è l'atteggiamento degli altri partiti laici. Tutti confermano la propria disponibilità alla trattativa con il Vaticano. Di fronte a questa grave decisione politica, le preoccupazioni e le proteste espresse per la »allarmante prospettiva aperta dal referendum diventano una specie di litania priva di senso. Vale la pena di citare qualche brano delle dichiarazioni rilasciate, dopo gli incontri con Colombo, dal socialista Pieraccini e dal liberale Malagodi. Per Pieraccini, la preparazione del referendum è un »elemento che turba profondamente l'ambiente . »Ci si dice - sono sempre le parole dell'esponente socialista, notoriamente una delle menti più brillanti del PSI - che nessuno può impedire ai cittadini di esercitare i propri diritti, fra i quali esiste l'iniziativa del referendum. E' certamente vero e nessuno lo disconosce . Naturalmente, una volta riconosciuto questo (che il referendum contro il divorzio è legittimo e che sono i cittadini a volerlo e non la Chiesa), non resta all'intellige
nte uomo politico che appellarsi alla funzione »di indirizzi e di guida della Chiesa e della DC perché impediscano il rischio di una divisione verticale del paese che resusciterebbe le »lotte fra clericalismo e anticlericalismo . Così la Chiesa, che secondo Pieraccini non sarebbe intervenuta e non avrebbe interferito nella preparazione del referendum, dovrebbe invece intervenire per impedirlo: esempio di logica politica impeccabile! Anche per Malagodi il referendum è »pericoloso , ma i liberali »terranno distinti i due problemi (quello del referendum antidivorzista e quello della revisione del Concordato): »non vi è qui infatti - spiega il leader del PLI - materia di patteggiamenti e di strumentalizzazioni sul piano interno, trattandosi di valori etico-politici . Come se fosse la prima volta che, per ragioni di potenza e di potere, vengono barattati valori etico-politici e valori religiosi.
Anche quei partiti e quegli esponenti politici che mantengono collegati i due problemi (divorzio e Concordato), a forza di fare minacce che non hanno alcun seguito, non solo privano di qualsiasi credibilità e di qualsiasi potere di dissuasione la loro politica, ma finiscono per avallare con il loro comportamento la tesi della non interferenza della Chiesa nella preparazione del referendum. Il risultato non è molto diverso dalle candide affermazioni del sen. Pieraccini. E' quanto fa rilevare Pannella in una dichiarazione del 5 giugno: »Minacciando reazioni ad interferenze ed aggressioni clericali che presentano come meramente ipotetiche, essi negano in sostanza la gravità e l'attualità del problema .
Andreotti potrà ben dichiarare, l'8 giugno, che »la larghissima votazione avutasi in parlamento consente di procedere alle trattative con il Vaticano »in un clima sereno e costruttivo . »Non sottovalutiamo le difficoltà esistenti, ma non le riteniamo insuperabili. Il fatto stesso di un rinnovato patto fra Stato e Chiesa ha per noi un grande valore democratico .
La LID, con la già citata dichiarazione di Pannella del 5 giugno, avverte che »sarà probabilmente costretta a confermare la consegna dell'astensione dal voto dei militanti laici e divorzisti in segno di protesta e di ammonimento per le posizioni di disinteresse e di disimpegno dei partiti laici. L'atteggiamento »irresponsabile e subalterno di questi partiti è aggravato dalla conferma dell'autorizzazione ad iniziare trattative con la Santa Sede... assicurata da tutti i gruppi laici ai Presidente Colombo, malgrado reiterati annunci, specie del PCI, di un diverso atteggiamento nel caso - evidentemente verificatosi - della convocazione del referendum contro il divorzio .
Lo stesso giorno - 5 giugno - le segreterie della LID, della LIAC, dell'ALRI, del Partito Radicale, della Federazione Giovanile Repubblicana, rivolgono un appello alle segreterie dei partiti laici, ricordando che »pressoché unanimi i rappresentanti delle forze democratiche e laiche in Parlamento hanno dichiarato di ritenere incompatibile l'avvio di serie trattative tra la Santa Sede e lo Stato italiano con l'eventuale impegno e sostegno delle forze confessionali alla campagna per il referendum abrogativo della legge sul divorzio . Poiché »tale eventualità si è oggi compiutamente verificata , queste organizzazioni chiedono ai partiti laici »l'immediata sospensione dei preparativi in atto per l'inizio delle trattative . Questa richiesta rimarrà senza risposta. Inutili risulteranno anche gli sforzi messi in atto da militanti socialisti, socialdemocratici, liberali e repubblicani, iscritti alla LID, di mettersi in contatto con i leaders dei loro partiti per ottenerne precisi impegni. Nessun risultato infine avra
nno colloqui con il vice segretario del PSI, Giovanni Mosca, e con il membro dell'ufficio politico del PCI Cossutta.
Nonostante il mandato ricevuto dal convegno nazionale del 18 maggio, la segreteria della LID, nella speranza di poter contribuire fino all'ultimo giorno a modificare l'atteggiamento dei partiti, non dà vita ad una vera e propria campagna astensionistica. La consegna dell'astensione viene comunicata solo agli iscritti e presentata alla stampa soprattutto come un ammonimento per il futuro. Il giorno conclusivo della campagna elettorale numerosi militanti e simpatizzanti del Partito Radicale, fra cui anche militanti divorzisti, bruciano le loro schede a Piazza Navona in segno di protesta. Nel confermare la propria indicazione di astensione dal voto un comunicato del Partito Radicale afferma:
»"E' necessario che i dirigenti della sinistra si rendano conto che non può essere proseguita questa politica, che non possono esser fatti altri passi nella direzione dell'accordo »d'ordine , corporativo, verticistico - alaico e sostanzialmente cripto-clericale - senza rischiare di perdere fra i democratici e i laici ben più di quanto non possano sperare di raccogliere insistendo negli attuali errori. E' necessario cominciare a offrire un punto di riferimento e di raccolta alle basi di queste formazioni, perché non restino perennemente, o fino a quando sarà troppo tardi, prigioniere del ricatto attuale" .
Contemporaneamente ai deposito delle firme raccolte dai clericali, si svolge a Firenze, il 20 giugno, una manifestazione congiunta della LID, della LIAC, dell'ALRI, del Partito Radicale sul tema »No al referendum contro il divorzio, No al Concordato, No al Processo dell'Isolotto . Parlano l'on. Eugenio Scalfari, il sen. Gian Mario Albani, Marco Pannella, Mauro Melini, il segretario della Federazione Giovanile Repubblicana Mauro Marchesi, Padre Barbieri e Padre Tony Sansone, entrambi imputati al processo dell'Isolotto che comincia l'indomani presso il Tribunale di Firenze. E' la prima di una serie di manifestazioni in difesa del divorzio e contro il Concordato.
Il 22 giugno il segretario della LID precisa la posizione della Lega di fronte alla prospettiva del referendum: »La LID - afferma Pannella - non è affatto colta di sorpresa né spaventata dalle firme raccolte dalla Chiesa (...). Se non ci fossimo impegnati, se avessimo mantenuto l'atteggiamento irresponsabile dei partiti parlamentari e in particolare del PCI, se il coraggioso e onesto apporto di informazione e di difesa laica di un quotidiano romano non avesse garantito all'azione della LID l'eco che essa ha poi in effetti avuto, probabilmente il numero delle firme sarebbe oggi doppio .
Pannella ribadisce le due strade obbligate sulle quali bisogna procedere se si vuole fermare il referendum: 1) il referendum contro il divorzio è anticostituzionale e probabilmente lo è la stessa legge che la DC e il Vaticano hanno fatto approvare con fretta non proprio decorosa dal Parlamento l'anno scorso per attuare un diritto costituzionale cui si erano opposti per vent'anni. In democrazia, che è innanzitutto difesa delle minoranze, non è infatti ammissibile che vengano sottoposti alla legge del numero diritti fondamentali di coscienza religiosi, civili. In tal caso ci si troverebbe di fronte non ad una legge, sia pur dura, ma ad una vera e propria violenza di Stato.
2) il referendum così come è stato richiesto è viziato alla radice da enormi illegalità, da violazioni del Concordato, spesso da precisi reati .
Ma qual è il vero obiettivo della Chiesa? Si tratta di usare queste firme - risponde Pannella - come deterrente contro un impegno politico che non potrebbe essere sostenuto fino in fondo (dalla Chiesa) senza correre rischi di profonde e drammatiche spaccature dei cattolici e senza comunque che l'esito del referendum possa sottrarsi al destino di essere o una catastrofica sconfitta o al più una vittoria di Pirro. »"La Chiesa cerca di ottenere da laici che vogliano essere complici di tale operazione, fornendo loro un albi da non sottovalutare, una revisione del Concordato che rimetta in causa la legge Fortuna" .
Determinante a questo punto diventa la posizione del PCI. Per due motivi: poiché il PCI è, numericamente il più forte dei partiti laici; perché ogni suo atteggiamento di arrendevolezza alle pretese clericali determina analoghi cedimenti negli altri partiti laici, preoccupati di non essere scavalcati o tagliati fuori da un eventuale compromesso con la Chiesa.
Il 18 febbraio Pietro Ingrao, rispondendo alla televisione alla domanda di un giornalista, nel corso di una trasmissione di »Tribuna politica , aveva affermato: »... se disgraziatamente ci trovassimo di fronte ad un atteggiamento della Chiesa che spingesse i cittadini all'uso del referendum, interverrebbe un fatto politico serio e grave perché ci troveremmo di fronte a un gesto della Chiesa che tenderebbe a mettere in discussione - e sarebbe la prima volta nel nostro paese - una legge votata liberamente dal Parlamento italiano. Di fronte a un caso di questo genere - io non me lo auguro - devo dire con franchezza, che se si verificasse tale eventualità "saremmo costretti a rivedere tutto il nostro atteggiamento sul regime concordatario" .
Tre mesi più tardi, quando ormai la campagna clericale per la raccolta delle firme è in atto da un mese e mezzo, il vice segretario del PCI, Enrico Berlinguer, ripete quasi testualmente le parole usate da Pietro Ingrao: »se per avventura la Chiesa dovesse favorire la prospettiva di una prova di forza in merito (al divorzio), tramite il referendum, il PCI sarebbe costretto a "riesaminare il suo atteggiamento verso il regime concordatario" (Unità del 21 maggio). Le parole sono quasi le stesse, salvo una sfumatura di cui non può sfuggire la importanza: "riesaminare" il proprio atteggiamento sul regime concordatario non è la stessa cosa che "rivederlo".
Meno di una settimana dopo, il 28 maggio, la differenza non è più solo di sfumatura. Criticando il ritardo con cui il Governo ha proceduto alla preparazione del negoziato con il Vaticano per la revisione del Concordato, Berlinguer afferma che da questo ritardo »hanno tratto incoraggiamento le forze che, nello schieramento politico italiano e all'interno del mondo cattolico vanno organizzando, attraverso la raccolta delle firme per un referendum abrogativo della legge sul divorzio, una mobilitazione che ha in sostanza una impronta reazionaria . Tale mobilitazione reazionaria intorno al referendum - dice Berlinguer - "creerebbe un clima sfavorevole allo svolgimento e alla positiva conclusione della stessa trattativa per la revisione del Concordato" . Fin qui la dichiarazione ufficiale dove non si parla più né di riesaminare e tanto meno di rivedere l'atteggiamento comunista sul regime concordatario. Riferisce tuttavia il "Messaggero" del 29 maggio che, rispondendo ad una domanda di un giornalista, Berlinguer c
onferma le precedenti posizioni del PCI. Ma per valutare la credibilità di questa affermazione, non a caso assente dalla dichiarazione ufficiale e quasi strappata da un giornalista, occorre tenere presente che il Vice Segretario del PCI è appena uscito da una consultazione con il presidente del Consiglio la quale ha avuto per oggetto proprio la revisione del Concordato.
Il 2 luglio, quando si riunisce il Comitato centrale del PCI, il milione e trecento mila firme raccolte dai clericali sono già da alcuni giorni depositate ufficialmente presso gli uffici della Corte di Cassazione. La macchina organizzativa della Chiesa ha perfettamente funzionato. Ora è scattato il meccanismo istituzionale del referendum. Berlinguer nella sua relazione al comitato centrale si limita a ripetere la formula del 28 maggio: »noi siamo favorevoli a un regime concordatario profondamente rinnovato, ma sappiamo che una mobilitazione di impronta reazionaria come è quella per il referendum sul divorzio che vedrebbe coinvolte, direttamente o indirettamente, la DC e le gerarchie ecclesiastiche, "creerebbe" un clima sfavorevole "allo svolgimento della trattativa per la revisione del Concordato e condizioni politiche pregiudizievoli per la stessa prospettiva di una sua conclusione" . Certo anche Berlinguer non può ignorare che la quantità di firme presentate alla Cassazione non avrebbe mai potuto essere ra
ccolta senza il massiccio impegno della Chiesa, ma deve continuare a fingere che questo almeno ufficialmente non sia avvenuto e che l'organizzazione della campagna clericale possa essere attribuita ai settori integralistici della DC »e all'ala più conservatrice dell'episcopato e del clero .
Comunque ormai il referendum è in moto secondo le modalità previste dalla Costituzione (che poi la legge sul referendum approvata dal Parlamento sia costituzionale, e che sia costituzionalmente legittimo il contenuto di "questo" referendum, è tutt'altro discorso). Berlinguer, di fronte a questo fatto, assume una posizione che, a parole, è una posizione di lotta: »Noi abbiamo fatto di tutto per evitare un tale conflitto. Vogliamo fare di tutto perché sia ancora possibile evitarlo. Ma se ciò sarà reso impossibile, se alla battaglia si arriverà, la combatteremo con tutto il nostro impegno, affinché si concluda con la vittoria di una riforma civile, democratica, di libertà . Il vice segretario comunista conclude con un appello »a tutti gli uomini e a tutte le forze, a cui competono decisioni fondamentali perché »si operi, anche con iniziative da avviare subito, al fine di salvaguardare beni essenziali quali la pace religiosa e l'avvenire democratico dell'ltalia oggi in gioco su questo delicato terreno .
Più esplicito il 23 luglio, in una conferenza all'attivo dei quadri di Firenze, l'on. Alessandro Natta: » ... per evitare il referendum occorre che si determini una larga volontà politica, una intesa sulla base della quale potranno essere ricercati i congegni opportuni a far cadere la richiesta del referendum. E da quanto detto è evidente il rilievo che può assumere la trattativa con il Vaticano, la ricerca di una soluzione per ciò che riguarda il matrimonio concordatario .
Il PCI dunque non fa nulla per arrestare la preparazione del negoziato sulla revisione del Concordato, perché spera ancora che attraverso di esso e attraverso la garanzie che si possono fornire alla Chiesa su questo terreno, sia possibile ottenere un diverso atteggiamento del mondo clericale (gerarchie e d.c.) sul referendum. Anche se questo fosse possibile, non basterebbe però ad arrestare il meccanismo istituzionale del referendum. Occorrono perciò, come dice Berlinguer, »iniziative da avviare subito ; occorre ricercare, come dice Natta, »i congegni opportuni a far cadere la richiesta di referendum . Ma quali devono essere queste iniziative e questi congegni? E con quali forze politiche devono essere ricercati?
A queste domande i comunisti non tarderanno a dare una risposta. E' infatti interesse sia dei laici, sia dei clericali bloccare il referendum. E proposte in questo senso vengono avanzate sia da parte laica sia da parte clericale. Il 28 giugno il deputato socialista Renato Ballardini presenta alla camera una proposta di legge: si stabilisce che le leggi possono essere sottoposte a referendum abrogativo soltanto tre anni dopo la loro promulgazione. Il 9 luglio un'altra proposta di legge viene presentata alla Camera da oltre sessanta parlamentari laici. Ne sono primi firmatari gli on. Scalfari e Fortuna, ma la legge reca le firme della grande maggioranza dei deputati socialisti e socialproletari, di alcuni liberali e di alcuni socialdemocratici (fra i quali i socialisti l'hanno firmata anche il segretario del Partito Mancini e il presidente del gruppo Bertoldi, fra i socialproletari Vecchietti e Ceravolo). Essa propone che non possano essere sottoposte a referendum abrogativo le leggi che tutelano minoranze lin
guistiche e religiose e quelle che stabiliscono condizioni per lo scioglimento del matrimonio.
Da parte clericale, viene lanciato da ambienti della sinistra d.c. un primo "ballon d'essai"; si suggerisce l'espediente della abrogazione formale della legge Fortuna la quale dovrebbe essere riapprovata in un nuovo testo con alcune varianti anch'esse di carattere formale. In apparenza quella che si suggerisce è una piccola legge-truffa. In realtà si tratta di un primo cauto sondaggio per saggiare le resistenze dei partiti laici. Il 4 luglio, forse incoraggiato dalla indecisione dello schieramento laico, si rifà vivo il sen. Leone il quale evidentemente spera di ripetere, alla vigilia delle elezioni presidenziali, una mediazione come quella di cui era stato protagonista nell'ottobre '70 al Senato della Repubblica. Leone propone di raggiungere un compromesso attraverso la revisione del Concordato con una nuova formulazione dell'art. 34 che sancisca, in materia di divorzio, due regimi diversi per i matrimoni civili e per quelli religiosi (divorzio per i primi e indissolubilità per i secondi), mentre norme tran
sitorie potrebbero assicurare una sanatoria per il passato.
Gli scopi della proposta di legge Scalfari-Fortuna, che nasce da una iniziativa della LID, della LIAC e del Movimento laico di recente costituito da Loris Fortuna, vengono illustrati dai promotori dell'iniziativa nel corso di due conferenze stampa tenute il 2 luglio e il 9 luglio (parlano nella prima Scalfari e Pannella, nella seconda Scalfari, Fortuna, Pannella, Albani, Mellini, il socialproletario Lattanzi e il liberale Bonea). Sul piano giuridico la legge non è né una modifica della Costituzione, né una modifica della legge istitutiva del referendum, ma - come chiariscono sia Scalfari che Fortuna - una legge di interpretazione autentica da parte del Parlamento della normativa esistente sul referendum. I principi in essa contenuti sono impliciti nella costituzione e potrebbero essere affermati in via autonoma dalla Corte costituzionale, ma il Parlamento e le forze politiche non possono sottrarsi al loro dovere, il problema infatti non è soltanto di bloccare un referendum che costituisce un chiaro atto di p
revaricazione contro la libertà di coscienza dei cittadini, ma più in generale di risolvere una evidente contraddizione: come possono essere sottoposti a referendum anche le leggi applicative della Costituzione e diritti civili indisponibili? Un altro scopo che si vuole conseguire con il progetto di legge è quello di affrontare chiaramente su questo terreno il confronto con i clericali, per evitare il ricorso ai sotterfugi, agli espedienti e alle trattative sottobanco fra i vertici dei partiti. I promotori dell'iniziativa rivolgono un appello a tutti i gruppi parlamentari laici perché si uniscano ai firmatari della proposta di legge nel sostenerla in Parlamento.
Questo appello non viene raccolto né dai repubblicani né dai comunisti. L'ex ministro della Giustizia Reale, che già nel corso della precedente legislatura si era adoperato in vario modo per far fallire la legge Fortuna, rende anche questa volta un ottimo servizio ai clericali sostenendo la legittimità costituzionale del referendum. Come sempre quando si pratica una politica di smobilitazione e di cedimento, si deve far mostra - per meglio mascherarla - di intransigenza e di combattività. Lo fa anche Reale proclamando a gran voce che bisogna andare allo scontro sul referendum e accusando i promotori della legge Scalfari-Fortuna di indebolire con la loro proposta il fronte laico davanti all'opinione pubblica.
Non diversa la posizione dei comunisti, espressa da un editoriale del sen. Malagugini, pubblicato dall'"Unità". Malagugini esprime perplessità di carattere giuridico costituzionale sul testo di legge, e lo definisce »controproducente e non idoneo, per il modo e il momento in cui è stato presentato, a fermare il referendum . I comunisti, come i repubblicani, affermano che se si deve andare allo scontro, occorre andarci senza esitazioni, ma contemporaneamente sostengono, che il problema è politico e va quindi risolto con iniziative politiche e non con proposte di carattere giuridico. Il primo risultato di questa rottura del fronte laico si ha qualche giorno dopo quando il Presidente della Camera Pertini, assegnando la proposta di legge Ballardini e quella Scalfari-Fortuna alla Commissione affari costituzionali, rifiuta la procedura d'urgenza che era stata richiesta dai presentatori.
La spiegazione di questa scelta comunista non deriva né da motivi di opportunità tattica, né dalle perplessità tecnico-giuridiche dell'on. Malagugini. Essa si spiega in realtà con la volontà comunista, emersa dopo l'approvazione del divorzio, di evitare - anche sul piano dell'azione parlamentare - qualsiasi politica di fronte laico. E' la scelta neo-togliattiana del nuovo astro nascente Berlinguer, ma attuata senza la fantasia politica, senza l'autorità e senza la tensione ideale di Palmiro Togliatti; quel che più conta, attuata in condizioni storiche e politiche diversissime da quelle del 1947. »Noi ci siamo sempre guardati - aveva detto Berlinguer al comitato centrale del 2 luglio - dal cadere in una posizione di esasperato laicismo e di evitare qualsiasi contrapposizione di un fronte laico a un fronte cattolico che abbiamo sempre considerato esiziale in Italia, per l'avvenire democratico del paese e per la causa stessa della rivoluzione socialista . L'unica alternativa alla politica laica e al fronte laic
o ȏ la politica non - come affermano i dirigenti comunisti - dell'incontro con le masse popolari cattoliche, ma dell'accordo di potere con il vertice della Chiesa e della Democrazia Cristiana.
Si giunge così alle ultime confuse, sotterranee, torbide vicende di fine settembre e di ottobre. Il partito Comunista, ostile a una politica di fronte laico, è assente dalle grandi manifestazioni popolari che si svolgono il 20 settembre a Roma, a Milano, a Trieste per l'iniziativa del Movimento Laico, della LID e del Partito Radicale. Alla manifestazione di Roma, dove davanti a molte migliaia di laici, di divorzisti, di fuori-legge del matrimonio, parlano Fortuna e Mellini, il PCI contrappone un proprio modesto comizio rionale, affidandolo a Umberto Terracini, uno dei pochi dirigenti davvero laici di quel partito, a cui viene riservata l'umiliante funzione di ostaggio della politica neo-concordataria del Gruppo Berlinguer. Quale sia il fronte laico che si raccoglie intorno a quelle manifestazioni lo dimostrano sia gli oratori, tutti estranei alle posizioni di potere dei rispettivi gruppi politici e partiti, sia la composizione sociale della folla che affluisce ai comizi, sia infine le accoglienze che i cleri
cali e le destre riservano alle manifestazioni.
Ma questo distacco, per la prima volta così netto e marcato, è la premessa di avvenimenti e scelte assai più gravi. Il 26 settembre si apre alle Frattocchie, presso l'Istituto di Studi comunisti, un convegno di quadri del PCI sul tema »I comunisti e i problemi del referendum abrogativo del divorzio, del Concordato, della famiglia . Riconfermando l'opposizione comunista sia alla proposta di legge di Ballardini, sia a quella dei sessanta deputati socialisti e socialproletari, il relatore del convegno, il sen. Paolo Bufalini, afferma: »Il referendum può e deve essere fermato per altre vie e con altri mezzi, che possono essere diversi, ma sono in ogni caso possibili se rapidamente, e senza ulteriore indugio, si ricerca e si consegue un accordo politico fra tutte le forze (e riteniamo che esse siano prevalenti) laiche e cattoliche, avvertite dei pericoli dell'iniziativa reazionaria . Per la prima volta si ha, da parte comunista, un invito esplicito alla Democrazia Cristiana e una dichiarazione di disponibilità a
trattative che abbiano per oggetto la revisione della legge Fortuna.
I principi fondamentali e le finalità della legge »devono esser tenuti ben fermi - sostiene Bufalini - ma sono possibili »miglioramenti e integrazioni cioè modificazioni non puramente formali, ma anche sostanziali, o innovazione legislative, e ciò anche in relazione sia alla riforma del diritto di famiglia sia alla revisione bilaterale del Concordato . Anche il repubblicano Reale aveva del resto affermato, in un comizio tenuto a Roma il 19 settembre, che la legge sarebbe stata »migliore se, invece di contrapporvisi frontalmente, i democristiani avessero accettato di discuterne e trattarne con i laici. Bufalini non arriva a tanto, dice che la legge »è seria e rigorosa , ma offre ai clericali la possibilità di una trattativa sui suoi contenuti.
Al consiglio nazionale della DC, che si svolge proprio in quei giorni all'EUR, dopo una relazione di Forlani che difende il diritto clericale al referendum, l'invito viene prontamente raccolto dal vice segretario della DC De Mita, dallo stesso presidente del Consiglio Colombo e da altri dirigenti del partito di regime. Non c'è contraddizione fra la difesa del referendum fatta da Forlani e la propensione alla trattativa che emerge dal consiglio nazionale. Mai come in questa occasione il referendum si rivela per quello che è: uno strumento di ricatto volto a piegare alle pretese clericali uno schieramento laico indeciso, timoroso e rinunciatario. Ma anche Colombo, anche De Mita parlano di »pessima legge che è giusto contrastare, se sarà necessario, con l'arma del referendum. Già in questa sede sia Forlani sia Andreotti delineano le basi di una possibile trattativa: regime speciale per i matrimoni religiosi (con possibilità di rifiuto del divorzio per il coniuge cattolico non consenziente) e una serie di ulter
iori limiti e vincoli affidati al potere discrezionale del giudice in caso di esistenza di figli minori. La malafede di ricordare la caratteristica essenziale di questa legge rigorosa e seria, ma anche semplice ed efficace, e che tale fondamentalmente resta anche dopo i primi cedimenti verificatisi con la mediazione Leone: si omette cioè di ricordare che in Italia il divorzio è applicabile dopo una separazione durata cinque anni, quando ormai l'unità della famiglia è definitivamente dissolta e anche la sistemazione dei figli è stata regolata in regime di separazione. Questa malafede clericale trova tuttavia un avallo proprio da parte comunista.
Concludendo i lavori del convegno delle Frattocchie, il 29 settembre, Paolo Bufalini delinea infatti un primo cedimento laico alle pretese clericali: il senatore comunista prospetta la possibilità di affidare al giudice, quando vi sia opposizione al divorzio da parte di uno dei coniugi e in presenza di figli in tenera o giovanile età. Il potere di prolungare il periodo di tempo necessario ad ottenere il divorzio.
Comincia, con questa profferta comunista, una frenetica corsa al compromesso. Si mobilitano per una campagna in questo senso l'"Unità" e il "Paese Sera". Si aggrega rapidamente l'organo della grande borghesia milanese il "Corriere della Sera", che invita i socialisti, ma soprattutto i socialdemocratici, i repubblicani e i liberali a non lasciarsi scavalcare dai comunisti e a seguire anche essi la strada della moderazione e del compromesso. Il problema diventa ancora più pericoloso per l'inevitabile abbinamento della vicenda divorzio ai negoziati per l'elezione presidenziale.
La campagna per il compromesso condotta con gran clamore di propaganda, si svolge però con un'opera di vera e propria disinformazione della opinione pubblica. Tutti parlano di una revisione della legge Fortuna che valga ad evitare il referendum, ma trascurano di informare che l'unico modo per impedire lo svolgimento del referendum abrogativo è la abrogazione pura e semplice della legge, cioè un cedimento gravissimo alle pretese clericali, una vera e propria abdicazione del Parlamento di fronte al "diktat" della DC e della Chiesa: quando finalmente si è costretti a riconoscere questo dato di fatto, in seguito alla ferma reazione dell'on. Fortuna e alle pretese della LID e del Partito Radicale, si presenta l'abrogazione come un espediente tecnico, fingendo di ignorare che questo espediente procedurale presuppone un completo accordo con le forze clericali per poter passare nei due rami del Parlamento, e che un tale accordo necessariamente apre la strada al cedimento. Trascuriamo qui i dati di cronaca, le misere
contorsioni dell'on. Reale, le indicazioni e i suggerimenti di clericali di complemento come il già citato prof. Tosi e come il prof. Arturo Carlo Jemolo (che in tempi di clericalismo incontrastato era stato un laico serio), le difficoltà in cui si è venuto a trovare il PCI di fronte alla coerente opera di informazione e di demistificazione del "Manifesto", le contraddizioni e l'imbarazzo dei dirigenti comunisti e dello stesso Bufalini di fronte alla fermezza dimostrata dai clericali nell'utilizzare la forza di pressione e di ricatto che i vertici dei partiti laici hanno loro assicurato. Più grave invece è la posizione assunta dal PSI che pur dimostrando minore arrendevolezza dei comunisti, ha deciso di accettare la prospettata eventualità di trattative con la DC non escludendo la possibilità del ricorso allo strumento procedurale della abrogazione della legge Fortuna. Un ordine del giorno, presentato dal compagno Fortuna, che tendeva a precludere questa possibilità e che in un primo tempo era stato firmato
da esponenti socialisti delle diverse correnti, è stato alla fine respinto con lieve scarto di voti (33 contro 26) su espressa richiesta di De Martino e di Mancini.
E' difficile prevedere ciò che avverrà ma alcune considerazioni conclusive sono fin da ora possibili:
1) l'atteggiamento comunista, che va di pari passo con l'orientamento di alcuni organi del moderatismo, determina una frana dell'intero schieramento laico. Tutti i partiti sono preoccupati di un eventuale scavalcamento comunista o temono di essere emarginati da un accordo fra PCI e Vaticano. L'unità che si era riusciti a determinare nella battaglia del divorzio sotto la pressione popolare, fra i partiti dello schieramento laico è ora sostituita da una sorta di concorrenza e di corsa verso il compromesso. Non vi si sottrae neppure un partito come il PSI che, per la propria tradizione e per la logica della propria collocazione, ha maggiori resistenze interne nei confronti di questa politica;
2) le scelte del gruppo Berlinguer determinano, in questo come in altri campi un arretramento generale della politica del Partito comunista, senza che questa svolta politica sia stata dibattuta e approvata dal Congresso del Partito. Al convegno delle Frattocchie i cattolici-comunisti che negli anni fra il '65 e il '67 erano stati battuti, sul tema del divorzio, dalle posizioni laiche della on. Jotti e di altri esponenti del partito (Terracini, Spagnoli, ecc.) si sono presi la rivincita. La politica di unità laica seguita in quegli anni non a caso è stata messa sotto accusa insieme alle persone che ne erano state le protagoniste.
3) l'illusione di poter fermare il referendum con un baratto concordatario è stata smentita dai fatti, il meccanismo della revisione del Concordato è stato messo in moto senza ottenere contropartite ed ora si è costretti a negoziare, in un clima di smobilitazione, non solo sul Concordato ma sulla stessa legge Fortuna;
4) è difficile dire se il compromesso andrà in porto e come si realizzerà. Esiste ancora la possibilità che questo pericoloso e apparentemente inarrestabile scivolamento dei laici sia arrestato dall'intransigenza clericale, e dalle grettezza dei sentimenti e risentimenti di Paolo VI, un Papa che ha tradito il Concilio e il messaggio di tolleranza di Giovanni XXIII e che »sente e pratica soltanto una politica di potenza. Ma se andrà in porto nella migliore delle ipotesi non migliorerà ma peggiorerà la legge, con una serie di limiti e con un ampliamento del potere discrezionale del giudice che renderà più complicati, più difficili e più costosi i procedimenti di divorzio. In nome della tesi cattolico-comunista della difesa della famiglia, il divorzio che nascerà da questo compromesso non sarà più quello della legge Fortuna, ma un »divorzio di classe , accessibile come gli annullamenti rotali ed ecclesiastici ai ceti privilegiati, e di fatto inaccessibile, se non a grave prezzo, alla grande maggioranza dei fuo
ri-legge del matrimonio appartenenti al proletariato, al sottoproletariato e alla piccola borghesia;
5) se nonostante tutto il referendum si verificherà, le forze dello schieramento laico dovranno scontare lo svantaggio di una lunga politica di smobilitazione e disinformazione popolare favorita dal silenzio o dalla tendenziosità della RAI-TV. Se invece, contemporaneamente all'elezione del Presidente della Repubblica si andrà al compromesso, esso segnerà la fine per un lungo periodo della politica laica e dei diritti civili. Le forze che in Italia si sono fino ad oggi battute vittoriosamente per la affermazione dei diritti civili dovranno se vorranno far contare la loro forza e la loro volontà, organizzarsi autonomamente e creare strutture alternative a quelle dei partiti che, durante la lotta per il divorzio, erano stati l'espressione parlamentare delle loro battaglie.