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Teodori Massimo - 31 gennaio 1972
No alle firme inutili
di Massimo Teodori

SOMMARIO: Non sempre sottoscrivere un documento dimostra la convinzione di chi lo firma, anzi i "firmaioli" non fanno che delegare ad altri la responsabilità di "fare politica", di prendere decisioni e gestire le lotte. Basta con i riti delle firme sui manifesti a cui non corrisponde nessuna battaglia.

(LA PROVA RADICALE N.2, BENIAMINO CARUCCI EDITORE, Inverno 1972)

Alla richiesta di firmare `il manifesto degli intellettuali contro il blocco d'ordine' rivoltami da colleghi docenti universitari, peraltro da me stimati, ho risposto no. Non ricordo se mi fosse stata sottoposta la prima o la seconda stesura del `manifesto', ma è certo che quelle due colonne di piombo mi hanno subito provocato l'istintivo riflesso di non partecipare ad un atto di inutilità politica e di passività intellettuale. Non che non fossi fino in fondo d'accordo a combattere la `svolta moderata', non che non giudicassi esatto il giudizio profondamente negativo dello schieramento politico che ha determinato l'elezione del presidente della repubblica; no, vedevo ancora una volta in quella iniziativa tutti gli errori ed i vizi di questa vecchia sinistra italiana sul modo di porre la responsabilità politica e culturale degli intellettuali.

A cosa serve un manifesto di intellettuali? Implicitamente o esplicitamente le firme dei firmaioli non sono altro che un darsi buona coscienza a buonissimo mercato mentre si continua a delegare ad altri, agli apparati burocratici della sinistra, a chi anche da sinistra organizza per manipolare, la responsabilità di `fare politica', di prendere decisioni e gestire le lotte. Ma c'é di più e di più grave. Se si trattasse soltanto della continuazione della vecchia pratica di gran parte della cultura nostrana di essere sempre civilmente subalterna ed organica a qualcuno ed a qualcosa non ci stupiremmo tanto, poiché il frontismo, come abbiamo avuto occasione di sottolineare in altre occasioni, è malattia dura a morire. La questione più grave di questo manifesto è che quelle centinaia o migliaia di `intellettuali' firmaioli sono proprio coloro in gran parte (non vogliamo fare di tutta l'erba un fascio, essendoci notevoli eccezioni) che partecipano tranquillamente alle strutture di questo regime. Cinematografia, gio

rnalisti radiotelevisori, consulenti e collaboratori di enti pubblici e parapubblici che mettono una bella firma contro la svolta conservatrice quando non si accorgono, o meglio fanno finta di non accorgersi, che sono essi stessi personalmente e direttamente coinvolti nella normalizzazione della Rai-Tv, dei giornali delle università e degli enti a cui passivamente ogni giorno, in ogni atto danno la propria personale cauzione intellettuale. Quanti firmatari hanno dichiarato la non-cooperazione con la scandalosa gestione della rai-tv? quanti firmatari hanno fatto atti di disobbedienza civile, hanno affrontato le strutture di potere in cui sono coinvolti? quanti hanno messo in discussione il proprio comfort e le proprie sicurezze partecipando, e non firmando, a battaglie civili nel nostro paese?

Si obietterà che fare battaglie civili non è il mestiere degli uomini di cultura. Non è né teoricamente né storicamente vero. Perché delle due l'uno; o si ritiene che i cosiddetti uomini di cultura non debbano essere partecipi e protagonisti dei confronti ideali e politici ed allora non si capisce a cosa serve raccogliere delle firme; o invece si ritiene che essi "in quanto intellettuali" possano e debbano contribuire allo sviluppo civile e politico complessivo del paese, allora bisogna domandarsi quali ne siano le forme autentiche e non surrettizie di impegno.

La cronaca di questi anni offre abbondanti esempi, in tutto il mondo e, marginalmente, anche in Italia di come sia possibile impostare una efficace azione di impegno intellettuale quando si è disposti a pagare di persona, di intervenire direttamente con la propria funzione critica, di inserirsi nelle contraddizioni esistenti in qualsiasi situazione.

Il manifesto dei 121 al tempo della guerra d'Algeria, le reti dell'intellettuale Jeanson, la stampa alternativa e spesso clandestina di quei tempi di scontro civile in Francia, la partecipazione diretta all'obiezione e la resistenza attiva al regime, alla disobbedienza civile, la provocazione dei grandi processi (ricordate quello per la »Gangrène ) sono esempi sufficienti di come intellettuali possano intervenire non gregariamente. E Bertrand Russel che inventa i "sit-ins" e si fa portare ultraottantenne in prigione animando il `Comitato dei 100' e la `Campagna per il Disarmo nucleare' origine di tanta parte delle nuove sinistre dell'ultimo quindicennio? Gli intellettuali dei `club repubblicani' tedeschi concretamente organizzatisi accanto all'SDS nelle battaglie antiautoritarie tedesche in funzione non di supporto di questa o quella forza ma protagonisti essi stessi individualmente o collettivamente dell'opposizione a quella svolta conservatrice in Germania. E poi negli Stati Uniti il pediatra Benjamin Spoc

k che invita alla resistenza alla leva, padre Berrigan che resiste e si fa processare per azioni dirette non-violente, Noam Chomsky che interviene in prima persona con ricerche sulle strutture militari-industriali-scentifiche. In Francia Sartre e Simone de Beauvoir che provocano processi politici per difendere la libertà di stampa goscista; le donne francesi e tedesche che si autodenunciano di aborto. Gli intellettuali sovietici che, da soli, affrontano e resistono a quel sistema che sembrerebbe senza margini di intervento. Da noi, infine i processi in corso ai giornalisti che hanno assunto la direzione responsabile di `Lotta continua' (vedi il dossier del primo numero di `La prova radicale') e quello originato dal caso Braibanti (di cui parliamo in questo numero) utilizzati per far leva sulle contraddizioni del sistema giudiziario e dilatarne i gradi di libertà.

Repubblicani e socialdemocratici hanno risposto sullo stesso terreno al manifesto degli intellettuali degli equilibri più avanzati. Essi, che sono parte sostanziale del regime e che ne sostengono una delle varianti hanno polemizzato sulla firma vera o falsa di questo o quel nome, hanno fatto comunicati e lettere, hanno chiesto agli uomini di cultura di schierarsi a supporto di quella penosa operazione che ha eletto il clericale e conservatore Leone alla presidenza con la assai magra giustificazione della necessità di opporsi al fascismo. A chi volete che interessi che `la firma prestigiosa' (come la definisce »"La voce repubblicana" ) di un Moravia o quella di un Antonioni sono state poste o non in calce al manifesto? Che cosa cambia nello scontro nel paese? E così allo stesso modo che valore hanno le firme per il giornalista Valerio Ochetto imprigionato a Praga da parte di quanti non hanno mai fatto un solo atto politico per il 1968 cecoslovacco, ed oggi si indegnano andando ad ingrossare altre schiere di

firmaioli?

Il regime, la palude dei conformismi, l'abdicazione di qualsiasi responsabilità civile diretta con la delega ad altri, la rinunzia a fare la propria rivoluzione nel posto e nelle responsabilità, piccole o grandi, che si hanno: questa è la autentica svolta conservatrice, il vero pericolo autoritario d'oggi. Basta con i riti vecchi dei manifesti che non provocano nulla delle firme a cui non corrisponde alcuna battaglia continuando all'indomani mattina la cooperazione con il sistema ed il regime. Ricordiamoci dei principi di Norimberga sulle responsabilità individuali. Il fascismo di oggi è anche credere che non si possa fare nulla se non firmare.

 
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