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Spadaccia Gianfranco - 15 aprile 1972
Tribuna politica TV: Teletruffa elettorale
di Gianfranco Spadaccia

SOMMARIO: L'autore espone i motivi che inducono i radicali a considerare le elezioni politiche anticipate alla stregua di vere e proprie "elezioni-truffa". Si considera una truffa il fatto stesso che siano state indette, provocando lo scioglimento delle Camere, per eludere lo scontro ormai inevitabile sul referendum abrogativo del divorzio. E' truffaldina la ripartizione dei seggi fra le diverse circoscrizioni che sarà calcolata in base ai dati del censimento del 1961 anzichè su quelli del 1971 senza tener conto delle imponenti variazioni demografiche: le campagne e le regioni meridionali saranno sovrarappresentate in danno delle città e delle regioni settentrionali, circostanza che assicurerà alla Dc alcune decine di seggi in più di quelli che realmente gli spetterebbero. Il motivo però più scandaloso e' l'utilizzazione monopolistica che i partiti del regime si sono assicurati della radio e della televisione, escudendone le forze nuove e falsando le regole più elementari del gioco democratico. Ricorda come

i due requisiti per l'accesso a "Tribuna Politica" e a "Tribuna Elettorale" (esistere come partito e avere un numero di eletti sufficiente a costituire un gruppo parlamentare) porta ad una doppia discriminazione: nei confronti dei gruppi parlamentare che non si appoggiano ad un partito politico organizzato nel paese e nei confronti di quei partiti che non abbiano ancora rappresentanza parlamentare.

(LA PROVA RADICALE N.3, BENIAMINO CARUCCI EDITORE, Primavera 1972)

Sono certo molti i motivi che ci inducono a considerare

queste elezioni politiche anticipate alla stregua di vere e proprie "elezioni-truffa". Consideriamo una truffa il fatto stesso che siano state indette, provocando lo scioglimento delle Camere, per eludere lo scontro ormai inevitabile sul referendum abrogativo del divorzio. Consideriamo una impostura politica e costituzionale il modo con cui si è giunti alla costituzione di un governo elettorale democristiano, che il capo dello Stato ha imposto al paese per assicurare alla DC il controllo di tutte le leve governative, pur sapendo che esso nasceva privo di maggioranza parlamentare. Né meno truffaldino ci appare il fatto che, per non essere giunta la legislatura alla sua scadenza naturale, la ripartizione dei seggi fra le diverse circoscrizioni, che deve essere proporzionale alla popolazione, sarà calcolata in base ai dati del censimento del 1961 anziché su quelli del 1971, senza tener conto quindi delle imponenti variazioni demografiche che si sono verificate negli ultimi dieci anni: le campagne e le regioni m

eridionali saranno sovrarappresentate in danno delle città e delle regioni settentrionali, e questa sola circostanza assicurerà alla DC alcune diecine di seggi in più di quelli che realmente gli spetterebbero sulla base dei risultati che conseguirà il 7 maggio.

Fra tutti questi motivi, quello però più scandaloso è l'utilizzazione monopolistica che i partiti del regime si sono assicurati della radio e della televisione, escludendone rigorosamente tutte le forze nuove che potrebbero in qualche modo turbare o concorrere a modificare gli equilibri, insieme immobili e logori, della vita politica italiana. Per anni abbiamo denunciato, come radicali, questa confisca dei mezzi di comunicazione di massa attuata dai partiti parlamentari e tale, da sola, da falsare le regole più elementari del gioco democratico. Uno dei punti fondamentali dell'accordo politico ed elettorale che sottoscrivemmo nel 1970, per le elezioni regionali, con il PSI riguardava proprio l'impegno parlamentare di questo partito per assicurare il diritto d'accesso alla RAI-TV e il diritto all'informazione a tutte le forze politiche, anche non rappresentate in parlamento. Quell'impegno non fu poi rispettato, e forse fu un nostro errore pensare che potesse esserlo da parte del partito di Paolicchi e Manca.

In queste elezioni politiche, tuttavia, la spartizione dei tempi radiofonici e televisivi di »Tribuna elettorale fra i partiti del regime, diventa pura e semplice tracotanza di potere. Non c'è nulla di più ridicolo che sentire i "leaders" e i rappresentanti della DC o del PCI, del PSI o del PSDI, del PLI o del MSI rivolgere il loro appelli ai telespettatori in nome delle rispettive concezioni della democrazia e in difesa delle istituzioni, loro che - tutti d'accordo - hanno fatto scempio di ogni parvenza di democrazia nell'utilizzazione del mezzo radio-televisivo!

L'art. 4, comma secondo delle "Disposizioni generali" di Tribuna politica, così regola l'accesso alle trasmissioni di »Tribuna elettorale : »Hanno diritto di partecipare alle trasmissioni televisive di 'Tribuna elettorale' quei partiti che hanno costituito Gruppo parlamentare almeno in un ramo del Parlamento . Questa norma basta da sola ad annullare almeno quattro articoli della Costituzione: l'art. 3 (»Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, "di opinioni politiche"); l'art. 51 (»Tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza ); l'art. 49 (»Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale ); l'art. 21 (»Tutti hanno diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione ). Senza neppure una legge, ma con poche parole di un sempl

ice regolamento, che - come tale - non può essere impugnato davanti alla Corte Costituzionale, vengono vanificate le regole più elementari di un sistema democratico-parlamentare. Il diritto di presentarsi al giudizio dell'elettorato, che la costituzione e le leggi di attuazione garantiscono ad ogni forza politica che rispetti alcune condizioni di base (la sottoscrizione delle liste da parte di un certo numero di cittadini elettori in ogni circoscrizione e in ogni collegio senatoriale, e la presentazione di un numero minimo di candidati), diventa un diritto soltanto notarile ad essere presenti, con il proprio simbolo, sulla scheda di voto. Il diritto sostanziale - quello che assicura effettivamente la possibilità di far conoscere all'elettorato la propria politica e il proprio programma - non è scritto nella costituzione e nelle leggi, ma "fatto" da poche righe di un regolamento approvato "all'unanimità" da una commissione interpartitica. Gli »aventi diritto sono soltanto quelli che appartengono alla commiss

ione e che già dispongono di una rappresentanza parlamentare. Tutti gli altri ne sono esclusi. Non solo vengono private di un diritto le altre forze politiche, non solo viene truffato l'elettorato a cui si impedisce di venire a conoscenza di "altre" proposte e di "altri" programmi, ma viene anche confiscata dai vertici e dalle burocrazie di partito una funzione legislativa che spetta al Parlamento nel suo complesso.

E' già grave che questa confisca dei mezzi di comunicazione di massa si verifichi, nel corso della legislatura, nelle trasmissioni di »Tribuna politica . Fra un'elezione e l'altra, tuttavia, nel normale decorso dell'attività politica e parlamentare, potrebbe avere qualche parvenza di giustificazione il riferimento ai risultati delle elezioni politiche. Tanto più accettabile sarebbe questa limitazione del diritto di partecipazione alle sole forze parlamentari, se accanto a »Tribuna politica fosse previsto e regolato nella normale attività giornalistica e culturale della RAI-TV il diritto all'informazione di tutte le forze politiche e se le trasmissioni e i dibattiti radiofonici e televisivi non fossero rigorosamente preclusi ai temi e alle battaglie politiche, civili e sociali non accette ai gruppi dominanti. Questa stessa norma, applicata nel pieno di una campagna elettorale, diventa però scandalosa e inaccettabile e risponde esclusivamente a una esigenza di conservazione dell'equilibrio politico esistente.

Per avere accesso a »Tribuna elettorale come a »Tribuna politica sono necessari, per una forza politica, due requisiti: esistere come partito; avere un numero di rappresentanti eletti sufficiente per costituire un gruppo parlamentare almeno in un ramo del Parlamento. La combinazione di queste due condizioni porta a una doppia forma di discriminazione: nei confronti dei gruppi parlamentari che non si appoggiano a un partito politico organizzato nel paese; nei confronti di quei Partiti che non abbiano ancora rappresentanza parlamentare. Vittime della prima forma di discriminazione sono stati nelle trasmissioni di »Tribuna politica i parlamentari del gruppo misto (salvo alcune trasmissioni regionali per i parlamentari sudtirolesi) e il gruppo senatoriale della "sinistra indipendente" (per il quale sono state studiate e realizzate, tuttavia, nella scorsa legislatura forme che un giurista definirebbe di partecipazione "affievolita"). E' già questa una discriminazione molto grave, perché taglia fuori da ogni d

iritto di comunicazione tutti quei parlamentari che nel corso della legislatura si dissocino dai partiti rappresentati in Parlamento, senza essere però in numero sufficiente per costituire un proprio gruppo parlamentare (è stato il caso dei cinque deputati del Manifesto, usciti dal PCI, dei due del MPL, usciti dalla DC, di Lelio Basso, uscito dal PSIUP, e di altri di diversi partiti). Ma la più iniqua è palesemente la seconda forma di discriminazione che opera in »Tribuna elettorale . La consultazione elettorale è fatta, in un sistema parlamentare, non per conservare ma per modificare l'equilibrio esistente. Il riferimento ai risultati delle elezioni precedenti e alla composizione dei due rami del Parlamento che sono stati sciolti e devono essere rinnovati è quindi antidemocratico e fa violenza ai princìpi del nostro ordinamento costituzionale. L'unico riferimento valido è costituito infatti, in ogni circostanza elettorale, e soprattutto in presenza di elezioni politiche, dalla presentazione di proprie liste

e dalla partecipazione alla consultazione. E' vero che la Costituzione rimanda alle limitazioni previste dalle leggi (e non dai regolamenti), ma tali limitazioni vanno regolate sulla base di questo riferimento e non sulla base della difesa dello "statu quo" parlamentare che le elezioni debbono poter modificare. Giustamente il prof. Valerio Onida su "Relazioni Sociali" indica quale potrebbe essere una limitazione accettabile e che nello stesso tempo non vanificherebbe il principio costituzionale dell'uguaglianza di tutti i partiti concorrenti davanti all'elettorato: la presentazione di liste in 2/3 o 3/4 delle circoscrizioni.

L'incidenza pratica di questa violazione della norma costituzionale è incalcolabile. L'indice di ascolto medio delle trasmissioni elettorali, che precedono il voto del 7 maggio, è stato calcolato infatti in quattordici milioni di persone. Questa cifra dice da sola quale divario di possibilità si stabilisce fra le forze politiche che hanno accesso al mezzo radiotelevisivo e le altre che non l'hanno. Per fare riferimento a due forze politiche direttamente concorrenti, basterà considerare che un partito in disfacimento come il PSIUP dispone in questa campagna elettorale di una base di ascolto e di possibilità di propaganda incommensurabilmente superiori a quelle del Manifesto che tutti riconoscono essere il fatto nuovo di queste elezioni. La possibilità di un paragone non esiste perché mentre il primo potrà contenere le conseguenze negative della propria disastrosa politica facendo conto sulla viscosità dell'elettorato e sulle influenze del mezzo radiotelevisivo, l'altro potrà raggiungere con la propria campagn

a e con i propri ristretti mezzi finanziari e organizzativi solo una porzione minima del corpo elettorale.

Il fatto che il diritto di accesso a »Tribuna elettorale sia ritagliato sulle misure dei due più piccoli partiti di regime - il PRI e il PDIUM - ha portato poi a una vera e propria situazione paradossale: quest'ultimo partito, che non partecipa con liste proprie alle elezioni, che in pratica è stato assorbito dal MSI, continua a disporre dell'utilizzazione di radio e televisione, mentre MPL e Manifesto che hanno presentato liste in tutte o quasi le circoscrizioni ne sono esclusi. La lotta elettorale si riduce così a pura spartizione di un mercato elettorale dominato dai mezzi di comunicazione di massa: alla spartizione della torta (in pratica si tratta di contendersi modeste variazioni percentuali) concorrono soltanto, come accade in economia, le ditte che partecipano agli »accordi di cartello . E come negli accordi di cartello delle grandi società, accade che un partito si appropri di un altro ma lo mantenga in vita per conservare, attraverso la RAI-TV, i vantaggi che nella ripartizione del mercato elettor

ale quello si era conquistato.

E' esagerato dire, di fronte a questa vera e propria truffa, che i partiti, imponendo questo accordo, hanno fatto scadere il Parlamento Repubblicano al rango di una Camera dei fasci e delle corporazioni, da cui sono escluse in partenza le forze non inquadrate nel regime? Che essi stessi si sono trasformati in "racket" di partiti di regime? Che il capo dello Stato, cui compete la funzione di tutore della Costituzione, avallando queste decisioni, si presta a coprire un colpo di mano anticostituzionale?

MPL e Manifesto, che avendo accettato di partecipare alle

elezioni sono le vittime più dirette di tale discriminazione, si sono finalmente decisi ad ingaggiare la lotta contro questo aspetto così odioso della politica di regime. I due movimenti hanno ripercorso la strada già battuta dal Partito Radicale nelle elezioni del 1970 e del 1971, investendo del problema i presidenti della Camera e del Senato e lo stesso presidente della Repubblica. Fanfani ha risposto, come rispose a noi nel 1970, facendosi scudo della propria incompetenza (ma perché poi sarebbe incompetente? non è pur sempre una commissione interparlamentare quella che decide sui regolamenti di »Tribuna elettorale ? ed è ammissibile che il presidente di un ramo del Parlamento si spogli volontariamente - e ne spogli il Senato della Repubblica - di una competenza così importante, alienandola agli apparati di partito e ai loro rappresentanti? non è legittimo chiedersi, anche se forse la domanda è retorica, dove finisce la funzione di presidente del Senato e dove comincia la milizia di un esponente del maggio

re partito di regime?). Leone invece, a differenza di Saragat che ci fece rispondere dal suo segretario generale, ha ricevuto i rappresentanti del MPL e del Manifesto, ne ha ascoltato le proteste ed ha assicurato il proprio interessamento. Un successivo comunicato ha tuttavia informato che della questione è stato investito il Governo. Questo ne investirà i due presidenti delle Camere e, di incompetenza in incompetenza, forse si arriverà al presidente della commissione parlamentare di vigilanza e a una nuova riunione della commissione stessa. Se tutto andrà bene, come è difficile sperare, qualche piccola trasmissione televisiva sarà ritagliata all'immediata vigilia del voto del 7 maggio anche per MPL e Manifesto.

Bisogna dire che i due movimenti hanno affrontato questa battaglia con molto ritardo e scarso impegno. Il Manifesto, assai più del MPL, sembra considerarla materia di corsivetti scherzosi e di costume sulle sovrastrutture mistificanti di questa democrazia borghese, piuttosto che una grande lotta politica e civile contro il regime. Quando due anni fa proponemmo a queste due forze politiche una iniziativa comune, la nostra proposta fu lasciata cadere. Alla base di questo atteggiamento c'è forse un vizio ideologico e una valutazione sbagliata del rapporto con le istituzioni democratiche: a forza di considerare la democrazia una truffa borghese, si finisce per perdere di vista le vere truffe che vengono compiute per svuotare la democrazia e asservirne i meccanismi agli interessi dei gruppi dominanti. Eppure mai come in questa occasione, per dei gruppi extraparlamentari, sarebbe giustificato il ricorso a manifestazioni di massa per protestare contro questa ingiustizia. Fu proprio l'occupazione di una sede della R

AI, ed opera di militanti radicali e divorzisti, che consentì di forzare il blocco che la televisione opponeva ai dibattiti sul divorzio. E fu una lotta che Partito Radicale e LID vinsero non solo nel loro interesse, ma nell'interesse dei partiti laici e delle stesse forze antidivorziste. MPL e Manifesto sbaglierebbero nel non portare fino in questa battaglia, che può essere affrontata e vinta; e un'altra preziosa occasione sarebbe perduta.

Fra le iniziative prese dal MPL va segnalata tuttavia una serie di dichiarazioni e di interviste, sollecitate e pubblicate dal settimanale "Alternativa", in appoggio della richiesta dei due movimenti: da quello di Lelio Basso, a quelle dei sindacalisti Pierre Carniti e Trentin, a quelle di Riccardo Lombardi e di Ferruccio Parri. Quest'ultimo ammette onestamente che il suo gruppo, della "Sinistra indipendente", ha sottovalutato e si è poco occupato della questione: potremmo obiettargli che queste cose si ripeteranno finché saranno affidate agli Anderlini e agli Antonicelli. Ma una dichiarazione che ha meravigliato è stata quella del comunista Galluzzi, autorevole membro della direzione del PCI e della commissione di vigilanza sulle radiodiffusioni. »Noi siamo assolutamente concordi - afferma Galluzzi - che i gruppi e i movimenti politici presenti a livello nazionale abbiano il diritto di potersi esprimere attraverso uno strumento pubblico quale è la televisione . Perché meraviglia? Perché sulla stessa pagina

di "Alternativa", il responsabile della rubrica televisiva, Jader Jacobelli, dichiara di aver preso l'iniziativa di richiamare l'attenzione delle forze politiche e della Commissione di vigilanza - »nonostante - scrive - non mi competa prendere delle iniziative - sul problema della partecipazione a »Tribuna elettorale del MPL e del Manifesto.

In effetti Jader Jacobelli scrisse all'inizio di novembre del 1971 una lettera in questo senso al Presidente della Commissione di vigilanza, il senatore democristiano Dosi. Non risulta che Dosi abbia risposto in alcun modo a questa sollecitazione e a questa iniziativa. Successivamente, in una riunione della Commissione, dedicata alla approvazione dei programmi di »Tribuna elettorale , il responsabile della rubrica tornò sull'argomento. In quella circostanza il problema non poteva essere eluso dai rappresentanti dei partiti, ma fu risolto con la conferma del regolamento attuale. Non esiste un resoconto sommario di quella riunione (ed è davvero singolare che una commissione parlamentare non disponga di fedeli resoconti e si affidi di fatto, per i comunicati, al capo dell'ufficio stampa dell'ente controllato), ma le informazioni che abbiamo avuto, da più fonti, ci dicono che la conferma del regolamento fu approvata all'"unanimità" e che fu proprio il comunista Galluzzi ad opporsi ad una estensione del diritto d

i partecipazione a »Tribuna elettorale , arrivando perfino a prospettare la presentazione da parte del PCI di liste multiple in più circoscrizioni per aumentare, in quel caso, i propri tempi di presenza televisiva. »In effetti - dice Galluzzi ad "Alternativa" - fu proprio il timore di un accesso indiscriminato che ha indotto alcune forze politiche e anche noi ad accettare un regolamento che poi si è rivelato una trappola . Non resta che augurarci che questa resipiscenza tardiva dell'esponente comunista si traduca in un impegno conseguente per rimuovere le maglie della trappola che il PCI ha contribuito a costruire.

Come una trappola in realtà il regolamento di »Tribuna politica ed elettorale ha finito per operare nei confronti delle stesse forze parlamentari di opposizione. Quando si accetta la politica della conservazione dell'equilibrio esistente, secondo la logica della spartizione del potere (e non ha importanza che si tratti solo del potere di presentarsi in TV), non si colpiscono soltanto le forze che sono fuori dall'attuale equilibrio politico e che lo combattono, ma si finisce per subire e per consolidare, all'interno di esso, la propria condizione di inferiorità. Non si può accettare la complicità con la DC nel tener fuori, con reciproco vantaggio, MPL, Manifesto e Partito Radicale, senza dover subire anche le condizioni di privilegio che la DC si assicura nell'utilizzazione del mezzo radiotelevisivo. E' sufficiente per dimostrarlo il quadro riassuntivo del numero delle presenze e dei tempi di trasmissione spettanti ai diversi partiti (vedi tabella). Grazie ai criteri di proporzionalità, nella ripartizione de

l tempo, cui ci si è attenuti per i dibattiti »a due , e sommando la conferenza stampa conclusiva del presidente del Consiglio e l'intervista iniziale del Ministro dell'Interno, la DC dispone di un tempo che è circa il doppio di quello del PCI. E questo calcolo, limitato alle trasmissioni elettorali, non considera l'utilizzazione a senso unico che viene fatta dei normali programmi e servizi televisivi.

DC PCI PSI PLI PSDI MSI PSIUP PRI PDIUM

p. t. p. t. p. t. p. t. p. t. p. t. p. t. p. t. p. t.

Intervista del ministro 1 30'

dell'Interno (30 minuti)

Dibattiti a due (ogni

dibattito 30 minuti; tempo

effettivo di trasmissione

per ciascun partito: 15

minuti) 8 120' 6 90' 3 45' 2 30' 2 30' 2 30' 2 30' 2 30' 1 15'

Conferenza stampa dei

segretari di partito (60

minuti) 1 60' 1 60' 1 60' 1 60' 1 60' 1 60' 1 60' 1 60' 1 60'

Conferenze stampa del

Presidente del Consiglio

(un'ora e mezza) 1 90'

Appelli agli elettori (6

minuti) 1 6' 1 6' 1 6' 1 6' 1 6' 1 6' 1 6' 1 6' 1 6'

Totale del numero di

presenze 12 8 5 4 4 4 4 4 3

Totale del tempo assegnato

a ciascun partito 5h 06' 2h 36' 1h 51' 1h 36' 1h 36' 1h 36' 1h 36' 1h 36' 1h 21'

»Tribuna elettorale nacque nel 1960, dopo i gravi fatti che avevano accompagnato l'avventura del governo Tambroni e dopo che per anni le forze di opposizione si erano battute per conseguire questo obiettivo. Di quelle prime esperienze di dibattito televisivo conserviamo il ricordo d aperti e duri scontri politici. Furono gli attacchi convergenti di Pajetta e di Malagodi che fecero perdere nel 1963 alla Democrazia Cristiana alcuni milioni di voti, a sinistra e a destra. Oggi »Tribuna elettorale ci offre dibattiti soporiferi, con attori mediocri, intenti più a un dosato gioco delle parti che al vero dibattito politico. In questo, »Tribuna elettorale riflette gli immobili equilibri, il basso livello, i compromessi stagnanti della vita politica italiana. La formula dei dibattiti ha sostituito il tempo autogestito liberamente dai partiti, il "fair play" ha preso il posto dello scontro e della denuncia anche appassionata, i tempi televisivi anziché aumentare si sono contratti, giornalisti addomesticati e salott

ieri sostituiscono i giornalisti militanti, i temi e le formulette del Transatlantico, comprese solo da un ristretto numero di iniziati e di addetti ai lavori, hanno definitivamente scacciato i temi reali dello scontro politico e di classe che interessa le grandi masse dei cittadini e dei lavoratori. I problemi comuni della gente non hanno accesso nelle stanze di via Teulada, come non lo hanno le forze nuove che battono alle porte della politica italiana. Siamo arrivati al punto che l'unico dibattito vivace ci è stato offerto da Malagodi e da Almirante. Gli altri dibattiti sono stati una brutta copia del minuetto in famiglia recitato da Fanfani e da La Malfa (»Prego prima lei , come lo ha efficacemente descritto un giornalista). Questa non è l'immagine di un dibattito democratico più civile e maturo. E' l'immagine di un equilibrio politico immobile e marcio.

amm. 1960 pol. 1963 amm. 1964 pol. 1968 reg. 1970 pol. 1972

Tempo complessivo di

»Tribuna elettorale 6h 30' 25h 12h 20' 21h 18h 45' 18h 45'

Tempo riservato al

Governo 1h 10' 3h 20' 1h 10' 2h 10' 45' 2h

Tempo autogestito dai

partiti - 12h - 4h 4h 30' -

(1) Con questa espressione si indica quella parte del tempo di »Tribuna elettorale che è completamente autogestita dai partiti. Sono escluse quindi sia le conferenze-stampa, sia i dibattiti, sia gli appelli agli elettori, la cui formula è obbligata. E' stato invece considerato tempo autogestito quello riservato ai comizi elettorali nel 1968, perché il »comizio elettorale si prestava ad essere in qualche modo autodeterminato dal Partito.

 
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