Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
sab 23 nov. 2024
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Archivio Partito radicale
Magistratura Democratica - 15 settembre 1973
CODICE ROCCO - Relazione di Magistratura Democratica al progetto di referendum abrogativo dei reati politici d'opinione e sindacali

(LA PROVA RADICALE, n.10-11-12, agosto-ottobre 1973)

" Il Codice penale... specialmente nel titolo dei delitti contro la personalità dello Stato (art.241-313 CP) è un codice di partito le cui disposizioni (sono) fondate su una concezione totalitaria dello Stato, che escludeva la pluralità dei partiti e considerava delittuosa la eterodossia... Un tale codice penale, appositamente costruito per sopprimere tutte le opinioni politiche diverse da quelle dominanti, continua a rimanere tranquillamente in vigore, e ad essere applicato con lo stesso spirito, in un ordinamento costituzionale che si fonda sulla libertà di opinione e sulla pluralità dei partiti ".

Questa affermazione, fatta da Piero Calamandrei nel 1955, è ancora oggi di estrema attualità; e ciò vuol dire che ad oltre venti anni dalla promulgazione della Costituzione che è la legge fondamentale della Repubblica Italiana lo stato della legislazione e la sua prassi applicativa sono più vicine agli intenti ed alle aspirazioni ideologiche del guarda sigilli Rocco che alla ispirazione rinnovatrice espressa dalla Carta Costituzionale.

La Costituzione proclama all'art. 21, che " TUTTI hanno il diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, con lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione ". Ciononostante, ancora oggi, nel nostro Paese, accade che non si possono esprimere valutazioni, giudizi, critiche od opinioni su persone ed istituzioni di rilevanza pubblica senza incorrere nel rischio di essere incriminati per vilipendio.

Quale sia la ragione per qui furono elaborate le figure criminose, note sotto la denominazione di vilipendio, è stato chiaramente illustrato dall'autore del Codice vigente, il quale, dopo aver premesso che la concezione fascista dello Stato cui si ispirava la legislazione penale che veniva a proporre era completamente opposta a quella che veniva sprezzantemente indicata come " demoliberale ", sottolineava che con essa si intendeva assicurare la difesa del prestigio politico di tutti i singoli poteri dello Stato, sia come entità astratta, sia " a cagione del loro concreto funzionamento " (Rel. Gen., p II, pag. 78). E si tratta di affermazioni che, come è evidente, mirano ad assicurare l'esercizio indisturbato del potere, e ad impedire, reprimendola penalmente, ogni forma di dissenso e di opposizione, come è di ogni regime totalitario.

Come possa conciliarsi una normativa penale ispirata da questi intenti con l'ordinamento politico e giuridico espresso dalla Costituzione, è interrogativo che è rimasto finora senza esplicita risposta. Sicché oggi si può affermare che il nostro ordinamento si fonda su una singolare contraddizione: da un lato le enunciazioni solenni della Carta Costituzionale, che, come si legge nella sentenza n. 64 del 4 maggio 1970 della Corte Costituzionale, sono vincolanti non solo per il legislatore, ma anche per le pubbliche autorità, e dall'altro la sopravvivenza di una serie di previsioni penali che contrastano e limitano l'esercizio del diritto costituzionale di libera manifestazione del pensiero.

Di fronte a questa constatazione è necessario prendere posizione, nel senso che occorre sottolineare che le proclamazioni di fedeltà alla Costituzione, se non vogliono essere vacue e mistificanti declamazioni, devono tradursi in atteggiamenti concreti tali da portare una certa legislazione penale in armonia ed in linea con la Costituzione.

Va infatti ricordato che questa assume come metodo di azione politica il " metodo democratico " il quale come dovrebbe essere chiaro, si alimenta della contrapposizione dialettica delle idee e si arricchisce cioè del contributo dei dissenzienti e delle opposizioni. Dovrebbe perciò essere evidente che una legislazione penale che è volta a reprimere il dissenso e l'opposizione, proclamando l'intangibile sacralità del potere, sia come entità astratta, sia nelle sue manifestazioni concrete, ferisce il principio del metodo democratico perché mette a tacere l'interlocutore e l'oppositore scomodo. Con la tutela del " prestigio " in realtà si mira a sbarazzarsi del dissenziente, di colui che non aderisce alle verità ufficiali della maggioranza: e con ciò si rinnega, di fatto, il metodo democratico, perché di fatto si mettono al bando gli oppositori.

L'applicazione delle norme fasciste liberticide è sempre avvenuta, peraltro, nei confronti dei movimenti di emancipazione popolare, operai e studenteschi, intervengono immancabilmente nei momenti di tensione sociale a tutela e a sostegno delle ragioni padronali. E' quanto è accaduto durante le lotte operaie dello scorso anno, che hanno visto opporre, all'esercizio delle libertà politiche e sindacali da parte dei lavoratori, l'impiego indiscriminato delle norme fasciste quali strumenti di repressione e di intimidazione e quali mezzi di composizione autoritaria dei conflitti sociali.

I lavoratori italiani, che quelle norme hanno sperimentato direttamente, sono ben consapevoli del costante pericolo che esse rappresentano; ed hanno appreso concretamente il valore della libertà, garantite dalla Costituzione, e violate dai codici, quali strumenti insostituibili di lotta politica ed di avanzamento democratico. "Un importante obiettivo della strategia antirepressiva essi dicono è quello della riforma dei codici, cioè della abrogazione delle norme penali di chiara ispirazione fascista, repressiva, antioperaia, incompatibili con il dettato costituzionale, in contraddizione con il diritto irrinunciabile allo sciopero, alle libertà sindacali. Una richiesta, quella della riforma dei Codici, che diventa tanto più urgente difronte alle migliaia di denunce contro lavoratori, sindacalisti e studenti. Il provvedimento stesso della amnistia politica o generale che sia è un provvedimento che non affronta i problemi di fondo, un provvedimento transitorio che non fornisce un giudizio sull'opera

to della magistratura e degli organi di pubblica sicurezza e che rischia quindi di far indirizzare la lotta alla repressione sul falso obiettivo dei provvedimenti di clemenza, facendone accettare implicitamente la legalità. Le denunce, infatti, per la quasi totalità si riferiscono ad azioni che sindacalisti e lavoratori hanno condotto sui luoghi di lavoro: assemblee, picchettaggi, occupazioni, cortei, manifestazioni, volantinaggio, ect.". (REPRESSIONE, a cura dei Sindacati Metalmeccanici FIM, FIOM, UILM, ed. Tindalo, 1970, pp. 254-255).

Alla medesima consapevolezza è pervenuto da tempo il movimento dei " Magistrati Democratici ", cioè quella parte più responsabile della magistratura che, sperimentando giornalmente la contraddizione vergognosa tra Costituzione e leggi fasciste, non è più disposta ad operare quale strumento di repressione di diritti costituzionalmente garantiti. Già nel novembre del '69 " Magistratura Democratica " aveva denunciato al Paese il pericolo rappresentato per le libertà costituzionali dal permanere di un codice penale di impostazione illiberale ed autoritaria. I fatti hanno purtroppo dimostrato che l'allarme di allora era più che fondato. Nello spazio di un anno abbiamo assistito al succedersi di una serie di tristi primati: al primo mandato di cattura per un reato di opinione, alla prima incriminazione di un magistrato per vilipendio dell'ordine giudiziario, il primo arresto in flagranza di un cittadino per aver espresso pubblicamente il suo dissenso politico.

Sul terreno di questa escalation è nata ed è maturata la proposta di un referendum popolare abrogativo dei reati politici e sindacali, perché il popolo sovrano sciolga la contraddizione vergognosa tra le forme fasciste che continuano ad essere applicate in suo nome e i principi sanciti dalla Costituzione repubblicana nata dalla lotta di resistenza al fascismo che proclama come fondatori del nuovo stato le libertà politiche e sindacali, di opinione, di associazione, di riunione e di sciopero.

E ciò è più urgente che mai difronte al disegno di legge approvato dal Governo: il quale, dopo aver tardato per oltre venti anni ad attuare la riforma più semplice e meno dispendiosa del nostro ordinamento, quella che consiste in un tratto di penna su tutte le norme illiberali contenute nel nostro codice penale, si appresta a varare un pseudoriforma che non contiene nessuna sostanziale riforma, che lascia reati politici di opinione e dei reati sindacali.

Il referendum sulle norme fasciste del codice penale rappresenta lo sbocco politico concreto delle lotte condotte in questi anni dai lavoratori per la riconquista effettiva delle libertà che la Costituzione aveva solennemente promesso all'indomani della Liberazione. Sarà una grande battaglia popolare, che mobiliterà in un comune impegno politico e civile, tutte le forze autenticamente democratiche del nostro paese.

Il presente progetto abrogativo ricalca, integrandole, i numerosi progetti di riforma del Codice Penale presentati in Parlamento da esponenti del PCI del PSIUP, del PSI e della DC. Esso non ha pretese di completezza; non presume, cioè di portare all'abolizione di "tutti" i reati politici previsti dal nostro codice penale, nella cui complessa sistematica, totalmente informata allo spirito autoritario del passato regime, essi non sempre sono interamente isolabili.

Le norme illiberali di cui proponiamo l'abrogazione sono soltanto le più importanti, quelle più insopportabili per un ordinamento democratico, e che in questi ultimi tempi hanno consentito i più clamorosi episodi di repressione politica. Si tratta di norme che incriminano comportamenti consistenti nell'esercizio dei diritti garantiti dalla Costituzione; e che sono poste, per contro, a tutela di interessi e finalità politiche che non solo sono anch'essi protetti da analoga garanzia costituzionale, ma che la Costituzione ha espressamente respinto dal proprio sistema di valori.

Tra queste norme abbiamo compreso in primo luogo tutte quelle che prevedono reati di vilipendio (Artt. 278, 279, 290, 290/bis, 291, 292, 293, 297, 299, 402, 403, 404). Questo norme sono quelle in più stridente contrasto con la Costituzione: non soltanto per l'indebita discriminazione che esse comportano a danno delle opposizioni nell'esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, ma anche, e soprattutto, per l'ingiustificata tutela morale che esse accordano alle pubbliche autorità: le quali, in un libero e democratico ordinamento, devono potere essere soggette a qualunque tipo di critica, ed anche vilipese quando lo meritano, proprio perché è nell'indiscriminata facoltà di critica da parte di tutti i cittadini che può essere verificato il loro prestigio morale e la loro validità politica.

Le stesse considerazioni possono essere fatte a sostegno della richiesta abrogazione degli articoli 269, 179, 271, 272, 273 e 274. Queste norme che incriminano delle pure e semplici manifestazioni di pensiero politico (Artt. 269, 272), ovvero comportamenti consistenti nell'esercizio del diritto di associazione (Artt. 270, 271, 273, 274) furono inserite nel Codice con il dichiarato proposito di colpire gli avversari politici del regime fascista, e cioè come disse brutalmente il guardasigilli Rocco nella sua relazione al Codice, i movimenti "comunisti, socialisti, ed anarchici". La loro sopravvivenza, che ne consente oggi l'applicazione con lo stesso spirito con cui furono emanate, rappresenta un'offesa scandalosa alla nuova coscienza democratica.

L'adeguamento del Codice alla Costituzione richiede inoltre la abrogazione di quelle norme restrittive della libertà di manifestazione del pensiero che costituiscono delle indebite duplicazioni, dirette a realizzare una tutela rafforzata dei pubblici poteri, di altre norme penali di carattere più generale: e cioè da un lato gli Artt. 266, 302, 303, 327 e 415, dall'altro gli Artt. 341, 342, 344. Il primo gruppo di articoli configura una gamma svariata di "istigazioni speciali" quali l'istigazione del militare a disobbedire alle leggi, l'istigazione a commettere delitti contro la personalità dello Stato, l'incitamento al dispregio e al vilipendio delle istituzioni, e l'istigazione a disobbedire alle leggi di ordine pubblico e all'odio tra le classi sociali che rappresentano degli insidiosi allargamenti o aggravamenti, dettati dall'intento di accordare una tutela privilegiata a speciali interessi di conservazione politica, della comune figura dell'istigazione a delinquere prevista in via generale dall'

art. 414.

Il secondo gruppo di articoli configura una serie " ingiurie speciali " e cioè l'oltraggio a un pubblico ufficiale, l'oltraggio a un corpo politico, amministrativo o giudiziario, l'oltraggio a un magistrato in udienza e l'oltraggio a un pubblico impiegato le quali, in quanto sono previste per tutelare non già l'onorabilità delle persone dei pubblici ufficiali, già tutelata in via generale dall'art. 594 sul reato di ingiuria aggravato dall'art. 61 n. 10, ma il prestigio della funzione e dell'istituzione pubblica da lui rappresentata, meritano di essere soppresse per le stesse ragioni già illustrate a proposito dei reati di vilipendio.

Sottoponiamo poi alla volontà popolare, perché anch'esse in contrasto con la Costituzione, le altre norme del Codice Penale variamente lesive o limitatrici della libertà di manifestazione del pensiero: e cioè l'art. 414, 3· comma, che punisce l'apologia di reato, cioè un reato di opinione consistente, a differenza dell'istigazione a delinquere prevista nel medesimo articolo nella parte non discussa dal presente progetto, nella libera critica del diritto vigente mediante giudizi di valore etico-politici in ordine ai fatti previsti come reati dalle leggi positive; l'art. 603, sul plagio, che se non vuole essere interpretato come un duplicato dell'art. 600, il quale punisce la materiale riduzione in schiavitù o in una condizione analoga, si presta a perseguire ogni tipo di influenza o di persuasione ideologica o culturale, come dimostra il solo caso in cui é stato applicato (processo contro Braibanti); l'art. 654 che punisce le grida e le manifestazioni sediziose, cioè ogni pubblica manifestazione popolar

e di dissenso politico: l'art. 655 che punisce la radunata sediziosa, cioè un fatto che consiste nell'esercizio della libertà costituzionale di riunione; l'art. 656, che punisce la diffusione o la pubblicazione di notizie false, esagerate, o tendenziose e che può dar adito ad arbitrarie valutazioni giudiziarie pericolosamente lesive della libertà di cronaca e di informazione; l'art. 657, che punisce le grida e le notizie atte a turbare la tranquillità pubblica o private che, nella misura in cui non é un duplicato del successivo art. 660 sul reato di molestie e disturbi alle persone, contiene una inammissibile limitazione della libertà di manifestazione del pensiero e della libertà di cronaca; l'art. 661, che punisce l'abuso della credulità popolare, collegando espressamente al turbamento dell'ordine pubblico, cioè ad una condizione di punibilità che rivela la matrice autoritaria della disposizione.

Viene infine proposta l'abrogazione di tutte le norme direttamente lesive delle libertà sindacali o specificatamente predisposte in danno dei lavoratori: e cioè gli artt. 502, 503, 505, 506, 507, 510, 511 e 512, nella parte in cui ferma restando la punibilità della serrata puniscono l'esercizio del diritto costituzionale di sciopero quale che sia la sua finalità, contrattuale o non contrattuale o di pressione sulla pubblica autorità o di solidarietà diretta a danneggiare il datore di lavoro; gli articoli 330, 331, 332, 333, 340, che inibiscono l'esercizio del diritto di sciopero a vaste categorie di lavoratori, dai pubblici ufficiali agli impiegati incaricati di pubblici servizi, ai dipendenti da imprese esercenti servizi pubblici o di pubblica necessità; e gli artt. 508 e 633 secondo comma, che puniscono l'invasione e l'occupazione di aziende agricole o industriali da parte di lavoratori, stabilendo degli odiosi aggravamenti di pena rispetto al reato comune di invasione di terreni o edifici previst

o dall'art. 633 - 1· comma e punibile, a querela di parte, anche con la sola multa.

 
Argomenti correlati:
giustizia
codice penale
costituzione
stampa questo documento invia questa pagina per mail