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Liberazione - 28 settembre 1973
IN CRISI LA STAMPA DEL REGIME
Positive nonostante tutto le conclusioni del consiglio nazionale della stampa. Le contraddizioni e i conflitti interni al regime hanno aperto crepe profonde attraverso le quali è passata la rivendicazione di autonomia di molti corpi redazionali. Ma si tratta di isole che possono essere travolte. Per vincere la lotta della libertà di stampa occorre battere il disegno di Piccoli e smantellare l'istituto corporativo dell'ordine dei giornalisti.

SOMMARIO: Analisi dettagliata della situazione della Federazione della stampa italiana, dopo l'assemblea del Consiglio nazionale della stampa. Le sue conclusioni lasciano aperti alcuni spiragli di speranza, anche rispetto alle lotte in corso in alcune testate. Il dibattito aveva fatto temere ulteriori rinunce e cedimenti, e una "delega in bianco alle forze politiche". Alessandro Curzi, ad es., aveva dato una valutazione positiva delle affermazioni fatte dall'on. Piccoli. Il suo giudizio esprime la "linea" del PCI e rappresenta un "tributo" alla "eterogeneità" della maggioranza, dove si collocano "giornalisti radiotelevisivi", parte dei "giornalisti cattolici" e settori "qualunquistici e trasformistici". Non vi si parla né di Rai-TV né dell'Ordine dei giornalisti. Alla sua destra vi sono i "liberalfascisti" e i "clericofascisti", "fedeli servitori del regime".

Nel suo complesso, il giornalismo italiano resta un giornalismo di regime e corporativo. Ma al suo interno scoppiano ormai alcune contraddizioni che portano persino a miglioramenti nell'informazione. Perciò Piccoli ha ora fretta di concludere : teme che le rivendicazioni possano estendersi anche ai giornali controllati dalla DC. Attualmente, il pericolo più grave è che ci si accontenti del minimalismo delle riforme anche per gli ostacoli interni alla professione, come ad es. l'Ordine e le sue strutture corporative, non a caso controllate dalla destra e dai clericali.

(LIBERAZIONE, 28 settembre 1973)

Poteva andare peggio. Il documento approvato dal consiglio nazionale della Federazione della Stampa, con 32 voti contro 20, pur nella sua prudenza mantiene infatti una direzione di marcia che consente di guardare per l'immediato con qualche speranza alle lotte in corso in molti giornali italiani, e in primo luogo al "Corriere della Sera" e al "Messaggero". Un convegno nazionale dei comitati di redazione dovrà discutere la risposta da dare agli editori che hanno praticamente bloccato ogni contrattazione integrativa aziendale per una nuova regolamentazione sui poteri delle redazioni, sulla scelta dei direttori, sulla definizione della linea dei giornali. La Federazione infine fa pressione sulle forze politiche per ottenere dal governo e dal Parlamento un intervento legislativo per una riforma dell'informazione, ma senza l'entusiasmo e l'esaltazione acritica per le promesse e i pretesi impegni che vengono dal governo, dalle forze politiche, dalla stessa Democrazia Cristiana, come l'andamento del dibattito in Co

nsiglio Nazionale aveva fatto temere.

Poteva andare peggio. Innanzitutto lo schieramento verificatosi su questo documento non rispecchia esattamente il reale rapporto di forze: un altro documento di ispirazione completamente diversa ha ricevuto 24 voti ed è stato respinto da una maggioranza di appena 28. Rimane pertanto una zona del consiglio nazionale che è »pendolare fra maggioranza e opposizione. Inoltre, il dibattito aveva fatto temere una tale rinuncia alla lotta sindacale e una delega in bianco alle forze politiche a risolvere in sede legislativa i problemi della riforma dell'informazione. Il comunista Curzi, della giunta esecutiva, aveva dato »una valutazione positiva delle affermazioni di Piccoli: »devono essere prese - ha detto - come un impegno del presidente del gruppo parlamentare del partito di maggioranza. E' necessario ora passare a concreti atti di governo . Massimo Riva, del »Corriere della Sera , anch'egli membro della giunta esecutiva, ha avvertito questo pericolo quando ha messo in guardia dalle »precipitose e improvvisate

adesioni che tendono in realtà a »neutralizzare le conquiste sindacali dei giornalisti italiani .

Il giudizio di Curzi, oltre ad esprimere una tendenza e una linea del PCI, rappresenta un tributo alla eterogeneità di una maggioranza che comprende i giornalisti radiotelevisivi, una parte consistente dei giornalisti cattolici e settori qualunquistici e trasformistici del giornalismo italiano. Anche il positivo documento approvato dal consiglio nazionale paga infatti un prezzo elevato a questa eterogeneità: non contiene infatti nessun accenno alla RAI-TV; non parla, ancora una volta, dell'Ordine dei giornalisti che continua a rappresentare una strozzatura corporativa della professione giornalistica e un istituto non solo potenzialmente liberticida.

Alla destra di questo eterogeneo blocco di maggioranza il gruppo più consistente continua ad essere quello dei liberalfascisti e dei clericonfascisti dell'on. Barzini e dell'Associazione della stampa romana. Fedeli servitori del regime, si sono comportati da sicari di Rusconi contro i giornalisti del "Messaggero" e, c'è da scommetterlo, assisteranno inerti alle manovre che oggi colpiscono anche il "Tempo" per cambiarne la proprietà e la linea politica. Difensori a parole della libertà di impresa editoriale, avallano le più sporche operazioni politiche ed economiche messe in atto per ottenere il controllo dei giornali.

Il giornalismo italiano nel suo complesso, nelle sue componenti sia di maggioranza sia di minoranza, resta dunque un giornalismo di regime e un giornalismo corporativo. Ma le contraddizioni, i conflitti che si sono aperti all'interno del regime hanno provocato delle crepe profonde, hanno aperto degli spazi attraverso cui è passata la rivendicazione di autonomia di interi corpi redazionali. Lotte spesso iniziate per spostare un po' più a destra o un po' più a sinistra i giornali, per essere più democristiani o più socialisti, hanno portato alla scoperta e al gusto dell'informazione, hanno fatto sorgere il desiderio di servire l'opinione pubblica anziché questo o quel potentato di regime. Ma le redazioni del "Corriere della Sera", del "Messaggero", del "Secolo XIX", dei giornali di Rovelli in Sardegna sono solo delle isole nel quadro generale della stampa italiana. Abbastanza forti e significative per impedire brusche inversioni di tendenza da parte della Federazione della stampa ma ancora troppo deboli e limi

tate per produrre generali e positivi cambiamenti. Le loro lotte o riusciranno ad ampliarsi e generalizzarsi o saranno riassorbite e sconfitte dal regime.

La fretta di Piccoli di arrivare, attraverso un compromesso con le sinistre, alla cosiddetta riforma dell'informazione è determinata anche da questa paura e dalla volontà di impedire che le stesse rivendicazioni possano estendersi ai giornali controllati dalla DC e ridotti ormai a squallidi bollettini provinciali (è quanto è avvenuto a testate pure importanti come la "Gazzetta del Popolo" di Torino, il "Gazzettino" di Venezia, il "Mattino" di Napoli, la "Gazzetta del Mezzogiorno" di Bari per tacere della catena dei giornali minori con in testa "l'Avvenire") o agli stessi giornali di destra (è davvero impossibile pensare che i giornalisti del "Tempo" si comportino come quelli del "Messaggero" per difendere l'individualità del loro giornale?).

Il pericolo più grave è dunque proprio questo: che al massimalismo delle speranze si accompagni ora il minimalismo delle riforme; che i giornalisti si accontentino di contrattare una nuova gabbia, magari d'oro, per la stampa italiana. La lotta delle redazioni diventa a questo punto essenziale per impedire questo reale pericolo. Per continuarle, svilupparle e vincerle è necessario però rendersi conto che esistono ostacoli che non sono solo esterni ma anche interni alla professione. Ogni rivendicazione di autonomia e di libertà è in contraddizione profonda con strutture corporative come l'Ordine dei giornalisti, che constituisce un limite gravissimo allo stesso rafforzamento del sindacato oltre a costituire un limite alla libertà di stampa per chiunque non appartenga alla corporazione (i direttori responsabili di qualsiasi giornale devono essere giornalisti iscritti all'ordine). Non a caso l'Ordine è controllato dalla destra del giornalismo italiano in alleanza con i clericali. Non a caso l'Ordine ha preso pos

izione contro la Federazione nella battaglia per il "Messaggero". I radicali che fanno "Liberazione" attendono perciò i democratici che esercitano la professione di giornalisti all'appuntamento dei referendum anti-regime per promuovere l'abrogazione, insieme alle altre norme autoritarie e fasciste, anche dell'Ordine dei giornalisti.

 
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