SOMMARIO: Il Partito radicale ha deciso d'indire una serie di referendum popolari: per l'abrogazione del Concordato, delle norme fasciste del codice penale (compreso l'aborto), dei tribunali militari e sulla libertà di stampa e di diffusione radiofonica e televisiva. Rispondendo al questionario de "La prova radicale", Arrigo Benedetti afferma che la posizione radicale rappresenta una reazione sia nei confronti del carattere compromissorio, al di là del contrasto politico, delle formazionipolitiche tradizionali che del pregiudizio economicista dei partiti marxisti. Da qui la necessità di portare avanti la lotta per l'affermazione dei diritti individuali e politici dei cittadini italiani.
(LA PROVA RADICALE, n.10-11-12 agosto-ottobre 1973)
Non disposto a criticare, senza distinguere gli atteggiamenti dell'uno da quelli dell'altro, coloro che ora cercano d'evitare il referendum, penso che sia però doveroso appoggiare l'azione di chi, invece di temere traumi, del resto solo immaginari, chiese il referendum, sia perché fiducioso del successo, sia perché reputi giustamente preferibile una sconfitta di misura allo snaturamento della così moderata legge Fortuna-Baslini.
In Italia, un'opinione pubblica disposta ad appoggiare tale azione esiste, e mi sembra che la si debba definire "liberale" o radicale, sebbene, per un verso tale opinione non abbia legami col partito liberale italiano, per un altro, non abbia dato fortunatamente prova, almeno finora, di quell'opportunismo che caratterizzò, tra la proclamazione dell'unità d'Italia e la prima guerra mondiale, il radicalismo politico italiano. Certo, a esso aderirono, per le delusioni avutesi dopo l'unità, uomini che sarebbe giusto ignorare, come Felice Cavallotti; però non è solo un problema filologico osservare come una certa corrente di pensiero e di opinione abbia deciso, quando i liberali di sinistra riconobbero d'avere pagato un durissimo prezzo nel rimanere troppo a lungo nel partito ufficiale, costituitosi prima del 25 luglio con apporti eterogenei e con prese di posizione talvolta equivoche, accettare la definizione di radicale.
Ci si propose di reagire, definendosi radicali e aderendo alle tesi del "Mondo" e dell'"Espresso", a quella tendenza al compromesso che quasi inavvertita tra il 25 luglio del '43 e tutto il '45, finché si ebbe l'influsso alle energie suscitate dalla guerra di liberazione, parve accentuarsi nel '48, per diventare in seguito il carattere principale della nuova democrazia italiana. Essere radicale e accettare di venir chiamato tale, significò tagliarsi fuori da un insieme di interessi politici, e spesso di sottogoverno, che finivano con l'integrarsi, di là dal contrasto politico, nel parlamento, e oltreché nel governo, nelle amministrazioni locali. Ed essere radicale volle dire inoltre reagire ai pregiudizi propri dei partiti marxistici, il cui economicismo, certamente utile in un paese abituato a distrarsi dalla dura realtà delle situazioni economiche, portava uomini dal grande passato a definire scrupoli laici quelli che erano soltanto diritti civili da ottenere, importanti non meno di altre riforme, e p
er di più, qualora ci fosse stata una battaglia unitaria, facili da ottenersi, come è poi avvenuto in alcuni casi, anche perché non comportano alcun gravame per il così compromesso bilancio dello Stato Italiano.
Di qui, la necessità d'insistere e di portare avanti la polemica e la lotta politica che ne deriverà per affermare, a favore dei cittadini italiani, il diritto di avere alcune riforme essenziali del nostro modo di vivere e delle nostre relazioni familiari.