SOMMARIO: Il Partito radicale ha deciso d'indire una serie di referendum popolari: per l'abrogazione del Concordato, delle norme fasciste del codice penale (compreso l'aborto), dei tribunali militari e sulla libertà di stampa e di diffusione radiofonica e televisiva. Rispondendo al questionario de "La prova radicale", Giovanni Russo critica l'impostazione radicale secondo la quale i referendum dovrebbero servire a combattere il regime e a semplificare gli schieramenti politici. Non condividendo la interpretazione di "regime" della condizione storica italiana, Russo afferma che il referendum deve invece essere utilizzato per correggere la sclerosi dei partiti. Questa confusione teorica ha portato a proporre un pacchetto di referendum eccessivi.
(LA PROVA RADICALE, n.10-11-12 agosto-ottobre 1973)
Sulle prime due questioni da voi poste vorrei fare una osservazione preliminare. A mio avviso la funzione delle minoranze intellettuali e di quelle politiche, come è il partito radicale, consiste nel sollecitare l'opinione pubblica usando tutti gli strumenti offerti dalla costituzione. Anche se i referendum non riusciranno ad avere il numero di firme richiesto per poter essere indetti, la iniziativa di farsene promotori ha una funzione di esercizio della democrazia e rappresenta una prospettiva di potere popolare che, in questo senso, si contrappone a quello che voi chiamate "regime". Personalmente, pur essendo molto pessimista sulla situazione politica italiana e molto critico nei confronti del suo funzionamento, non accetto l'interpretazione di "regime" della condizione storica attuale del nostro Paese così come non ritengo la ripresa del movimento sindacale e operaio si identifichi, "ipso facto", con conquiste di maggiore autonomia e libertà. Non sempre le due cose procedono sullo stesso piano e stan
no insieme. La mia opinione è che il partito radicale e i gruppi delle minoranze intellettuali che si battono per il riconoscimento dei diritti civili e per la tutela effettiva delle libertà sancite dalla Costituzione hanno la possibilità di vincere la battaglia e di avere un vasto sostegno popolare proprio perché si è molto ampliato il raggio di sensibilità delle masse per questi problemi. Non è aumentato il "sottosviluppo" nel campo delle libertà ma è, al contrario, diventata più matura l'opinione pubblica, soprattutto quella dei giovani e delle donne, quindi più capace di reagire per eliminare, almeno in parte, tale sottosviluppo. Partendo da questa premessa, ritengo che tanto più successo potranno avere le iniziative che promuovono l'esercizio dal basso dei diritti democratici quanto più consapevole sarà chi le promuove che esse rispondono a esigenze liberali e di maturità democratica delle masse popolari e dell'opinione pubblica più avanzata dei ceti borghesi e intellettuali, mentre sono in contrasto --
di fatto-- con le impostazioni e gli interessi sia dei grandi partiti di massa, primo fra tutti il partito comunista, sia degli organismi sindacali. La vicenda della legge sul divorzio è una prova di queste verità quasi banali e non va, in nessun caso, trascurata o dimenticata. E' possibile quindi in italia la promozione di campagne civili che però si urtano con la logica politica dei partiti di massa. Ritengo molto difficile un mutamento della condizione attuale dei partiti, altamente sclerotizzati. Lo strumento del referendum è così caratteristico delle democrazie occidentali avanzate che, a mio avviso, non può essere né apprezzato né seriamente usato da sinistra, e cioè dalla sinistra italiana. E' un errore quindi presentarlo come uno strumento recuperato da "sinistra" dato che questo termine si presta oggi in Italia a molti equivoci. L'unico modo di difendere il referendum contro i tentativi di eliminarlo e di renderlo inagibile politicamente è di presentarlo come il solo canale offerto alle minoranze no
n "aggregate" al sistema partitico per far valere istanze sociali, civili e politiche che altrimenti il "sistema" di cui fa parte anche la sinistra, espellerebbe e ignorerebbe.
Se le cose stanno così le considerazioni che sono fatte nella domanda numero quattro riflettono una visione schematica e artificiale della realtà politica italiana e costituiscono, a mio avviso, la vera debolezza delle impostazioni radicali. E' ingenuo e, nello stesso tempo, antistorico interpretare le iniziative democratiche del referendum come un mezzo per la "semplificazione" degli schieramenti politici, in cui il confronto delle forze del mutamento e quello della conservazione, assuma volti definitivamente diversi, corrispondenti alle utopie del "bipartitismo". In realtà si tratta invece di qualificare ed esaltare lo strumento del referendum come un mezzo che il sistema ha proposto nella Costituzione appunto per correggere la sclerosi dei partiti e per evitare la trasformazione del "partitismo" in regime. Su questo punto le idee del movimento radicale sono poco chiare e inquinate da equivoci. Questa confusione ha portato ad attuare la politica di un blocco o di un pacchetto di "referendum" veramente
eccessivi. Come al solito c'è il rischio, in questo modo, di vanificare lo strumento e di renderlo poco credibile, nel momento stesso in cui si fa ricorso ad esso in modo così massiccio. Su questo punto desidero essere esplicito. Ho aderito allo spirito dell'iniziativa radicale, ma non concordo sulla pletoricità dei referendum proposti. A mio avviso si è ancora in tempo a rimediare. Un referendum su un tema essenziale sarebbe già stato più che sufficiente per una mobilitazione della opinione pubblica. Se si riuscisse a promuovere e vincere la battaglia per un referendum sull'abolizione del Concordato o sulla libertà di antenna, televisiva o radiofonica quali enormi risultati non sarebbero raggiunti, con ripercussioni anche in altri settori dei diritti civili e delle libertà costituzionali?
La demagogia dei dieci o più referendum (non uno, ma due, tre, tanti Vietnam) rende poco credibile lo strumento del referendum e la campagna che si intende svolgere. Occorre richiamarsi ai principi, tenerli sempre presenti, se si vuole dare un contributo liberatorio alla vita politica e sociale italiana.