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Liberazione - 11 ottobre 1973
IL PSI NELLA STRETTA NEO-CONCORDATARIA
Al Governo, Giolitti e Bertoldi tirano in direzioni opposte mentre De Martino media il nulla che ne risulta. Nel Partito crollano le iscrizioni, si rivoltano gli sceiccati demartiniani, lottano con maggiore decisione manciniani e lombardiani, e scalpita Craxi. Ci sono forse già i presupposti per una crisi ma i comunisti garantiscono l'ordine e avversano ogni critica ed ogni dissenso.

SOMMARIO: Dettagliata analisi della situazione interna al PSI, che appare in crisi di iscrizioni e con il 35% del partito in polemica con il governo e schierato all'opposizione. Anche i deputati approvano un documento di critica alla politica finanziaria del governo, mentre l'"Avanti" blocca e censura i documenti critici della Direzione. Mancini attacca apertamente il governo sull'"Espresso". Ne approfitta il PCI che cerca di incunearsi in queste contraddizioni, ma contestando al PSI la sua fronda e avallando invece la linea governativa. Gli stessi comunisti e alcuni democristiani cercano ora, forse vanamente, di lanciare un rimpasto, per inserire Mancini al governo. Ottengono invece un sicuro succeso nell'avallare il disegno "neoconcordatario, corporativo e classista" portato avanti attraverso la Corte costituzionale contro la legge sul divorzio e in tema di referendum.

Il PSI continua insomma ad essere il partito "centrale" dell'equilibrio politico: ma senza accorgersi della "necessità di qualche cambiamento" almeno in fatto di stile. In Francia i socialisti sono sempre in testa alle grandi manifestazioni di massa. Dove sono, nelle occasioni analoghe, i nostri socialisti?

(LIBERAZIONE, 11 ottobre 1973)

Centomila iscritti invece che seicentomila un anno fa. Il 33% del Partito, lombardiani e manciniani, assenti dal governo, polemici verso il suo operato, e ormai apertamente schierati all'opposizione. Il gruppo dei deputati, riunito in assenza dei manciniani e con qualche rara presenza lombardiana, che approva per iniziativa del presidente del gruppo Mariotti, demartiniano, un documento nettamente critico rispetto alla troika finanziaria di governo, ed alla politica economica. I giornalisti dell'»Avanti! per la prima volta da molti anni in sciopero. Il Labriola, braccio destro di De Martino, che pensa di risolvere dissensi e problemi obiettivi con la censura politica imposta al quotidiano del partito: tre documenti della sezione diritti civili e problemi dello stato della direzione del PSI, uno sulla vicenda Henke-Taviani, uno sulla riforma dei tribunali militari, uno sulla grazia all'industriale Comini vengono bloccati. Mancini, oggi con una intervista all'»Espresso , che rincara la dose denunciando l'inesi

stenza di una politica seriamente meridionalistica del governo e che accusa i capi-corrente nazionali della DC di essere i veri responsabili delle malefatte che si attribuiscono poi ai Gava, ai Lima, ai Gioia, ai ras meridionali del colera e della mafia; che attacca (finalmente) De Mita e Compagna, Donat Cattin e Giolitti. Bertoldi, ministro del lavoro, alibi di sinistra della segreteria del partito e del governo, che quotidianamente si scontra con La Malfa e con le sue note d'agenzia lancia ogni giorno ultimatum perché si passi alla fase della realizzazione delle riforme e non si continui a far pagare la lamalfiana austerità solo ai lavoratori ed ai pensionati.

Il quadro è già di per sé movimentato. Ci sarebbe da aggiungere, ad esempio, l'accenno di convergenza fra autonomisti come Craxi ed alcuni lombardiani, sulle posizioni di questi ultimi, ma in realtà l'elemento più interessante è dato dall'inserimento del PCI nella crisi socialista con funzioni di pompiere e di guardiano della stabilità governativa. Valori, Spagnoli, al senato ed alla camera, hanno cercato di far intendere ragione a manciniani e lombardiani, ed agli stessi demartiniani critici. Come? con il sindacato mobilitato a sostegno, sia pur critico, del tentativo governativo di soluzione della crisi economica, con il PCI che offre esplicitamente il proprio avallo, proprio dal PSI devono nascere ed affermarsi posizioni di impazienza, di irresponsabilità, una sorta di scavalcamento a sinistra del PCI?

Di questo avallo al governo, di questa disponibilità a svolgere un compito di freno nei confronti delle inquietudini socialiste si avrà una conferma autorevole nel prossimo comitato centrale comunista, che avrà al centro del suo dibattito la politica economica sulla traccia già fornita dal documento approvato recentemente dalla Direzione del PCI: una politica che cerca a tutti i costi un punto di incontro con La Malfa e con il governo, senza rendersi conto che perché questo punto di incontro non si traduca in un cedimento sarebbe necessario chiedere al governo interventi decisi di carattere fiscale che la DC non è disposta a concedere.

Così gli stessi comunisti, Rumor, Fanfani, Colombo tentano ora l'operazione »rimpasto , per riportare Mancini al governo e neutralizzare uno dei rischi maggiori per la stabilità dell'operazione berlingueriana e fanfaniana del governo Rumor. Non è probabile che Mancini s'accontenti d'un piatto di lenticchie, per farsi poi imbalsamare in una difficile situazione di contestazione quotidiana, millimetro per millimetro, d'un po' di potere »governativo .

Ma quello del rimpasto non può essere molto di più che un »ballon d'essai : Saragat non mancherebbe d'inserircisi, i repubblicani d'opporvisi e le correnti DC tornerebbero in movimento a ritmo frenetico.

Dove la regia convergente DC-PCI sembra invece condizionare con successo e a fondo ogni strategia alternativa all'interno del PSI è sul punto debole ma ineliminabile del disegno neoconcordatario, corporativo e interclassista che rischia di segnare drammatici sviluppi alla corte costituzionale (dove ci si accingerebbe ad accogliere in parte l'eccezione di incostituzionalità della Corte di cassazione contro la legge sul divorzio) e in tema di referendum. I socialisti d'opposizione (interna) sembra temano di rompere con i comunisti su questo punto, ben sapendo che le ostilità sarebbero in tal caso definitive e senza più la discrezione delle pressioni attuali nei corridoi del parlamento o con note sulla stampa comunista decifrabili chiaramente solo dagli iniziati.

Il PSI, insomma, continua ad essere il partito centrale per qualsiasi speranza di alternativa o anche di mutamento. Il che, in definitiva, vuol dire che queste speranze sono davvero problematiche e difficili.

Anche a livello di stile, di costume, i nostri leader socialisti sembrano non accorgersi della necessità di qualche cambiamento: non solo Palme in Svezia, o - quand'era all'opposizione - Brandt, ma perfino l'»aristocratico Mitterand con l'intero stato maggiore socialista è sempre in testa ai cortei unitari, alle grandi manifestazioni di solidarietà internazionale, di rivendicazione di massa di nuovi diritti civili o di nuove conquiste sindacali. Non hanno paura della piazza e delle masse perché sanno che lì è la loro forza. Dove sono invece i nostri leaders socialisti, non solo De Martino ma anche Mancini, quando si svolgono da noi le manifestazioni di massa? E' possibile che la loro partecipazione a fatti emotivi come quello del Cile debba continuare ad esprimersi attraverso dichiarazioni o comunicati o nel chiuso di qualche teatro? E che sempre il solo Lombardi, alla fine, di tutto il PSI si ritrovi alla testa dei cortei unitari e a parlare ai centomila di Piazza Navona?

 
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