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Liberazione - 29 ottobre 1973
MILANO: GIUSTIZIA IN CRISI FASCISTA

SOMMARIO: In tutta Italia, ma sopratutto a Milano, processi, procedimenti penali gravissimi, vengono con sempre maggior frequenza "insabbiati", e la verità si allontana sempre di più. Ciò capita sopratutto quando, ad essere coinvolti, sono poliziotti e carabinieri. Le autorità sono sempre pronte a trovare scuse, pretesti, falsificazioni, pur di impedire che si giunga al processo e che il processo si concluda con condanne dei colpevoli. Si elencano quindi cinque casi in attesa di giustizia, nei quali sono coinvolte pesantemente le reponsabilità delle forze dell'ordine: sono i casi di Francesco Serantini, di Saverio Saltarelli, di Giuseppe Carpi, di Giuseppe Tavecchio e sopratutto di Roberto Franceschi, lo studente ucciso dalla polizia il 23 gennaio 1973. Bugie e imposture hanno posto questi casi "in letargo". Infine, lo stesso può dirsi del processo Pinelli.

(LIBERAZIONE, 29 settembre 1973)

Non è che in Italia e specialmente a Milano spesso si verifichino tempeste di sabbia, e che la sabbia si vada a depositare qua e là, coprendo, pesando, intasando. Eppure mai come in questi ultimi tempi si è usato il verbo insabbiare: quintali di sabbia si sono depositati infatti negli ingranaggi della macchina giudiziaria, per combinazione fermando sempre i processi in cui sono protagonisti la polizia, i carabinieri che nel nostro paese restano uno dei tabù più coriacei e inattaccabili. Quando mai si è visto condannare a un giorno di prigione uno dei tanti poliziotti che uccidono a ripetizione?

La scusa è sempre pronta e avallata dalle massime autorità. C'è un sedere bucherellato in un giorno di accese manifestazioni? Non si può negare che abbiano sparato i carabinieri, ma hanno sparato per aria e, maledizione, la pallottola è rimbalzata a terra quindi nella natica del passante. C'è un candelotto che uccide, perché sparato in pieno petto a uno studente? Non è contusione da candelotto, si afferma, è un collasso cardiocircolatorio. Ma è rimasto un gran segno: allora son ragazzi che si sono pestati fra di loro, e poi a quello contuso devono aver fatto un massaggio cardiaco un po' pesante. C'è qualcuno che muore massacrato di botte dai poliziotti? Macché, sono stati proprio i poliziotti in nutrito drappello a salvarlo dalle sevizie di ignori, e se è morto non è colpa loro. Un altro studente è ucciso dai poliziotti con un proiettile preciso a quello che esce di solito dalle loro pistole? Strano; i funzionari di quella sera risulteranno disarmati, i sottufficiali non faranno che contraddirsi a vicenda: q

uanto a quello che ha sparato, risulterà impazzito, e maledizione, non si ricorda più niente di come sono andate le cose.

A prescindere dai fatti del luglio scorso in cui nello spazio di una settimana i carabinieri hanno ucciso due uomini e ferito un ragazzino, cioè un ricercato che stava scappando, un giovano che aveva abbandonato la famiglia, e un tredicenne che non si era fermato all'alt per paura della multa, dato che aveva un amico sulla motoretta (e bisogna sentire le scuse, chi voleva sparare alle gomme e ha preso la spalla, chi voleva soltanto far paura e ahimè, un colpo sparato in aria è ricaduto penetrando in zona vitale, infine quello scappato di casa è morto perché, inseguendolo, un carabiniere è inciampato in un sasso e gli è partito un colpo). Ecco un elenco ristretto dei casi più clamorosi.

Franco Serantini, massacrato dalla polizia negli scontri del 5 maggio 1972 a Firenze e morto senza soccorso in carcere dopo 32 ore di agonia. Il procuratore generale di Firenze chiede l'archiviazione del processo, perché secondo lui non è possibile individuare i poliziotti. Tra l'altro l'unico testimone in grado di riconoscere i seviziatori (un ufficiale di polizia che disse d'aver arrestato il giovane morente per sottrarlo ad altre violenze) chi sa dov'è andato a finire, fatto sta che non si riesce più a trovarlo.

Saverio Saltarelli, ucciso il 12 settembre 1970 da un candelotto della polizia. Valzer di giudici durante l'istruttoria, e dopo due anni si invia un avviso di procedimento al comandante del drappello che ha sparato il candelotto. Ma è un atto simbolico, perché non lo si interroga né lo si incrimina formalmente.

Giuseppe Carpi, il pubblicista che nello stesso giorno viene ferito dai carabinieri, però naturalmente da un colpo di rimbalzo dei due che, come si dichiara, sono stati sparati in aria. Ma sul posto si trovano otto bossoli, le perizie poi dimostreranno che a sparare sono stati almeno cinque carabinieri: su questa serie di falsi di dovrebbe iniziare il processo, però nessuno sa quando si farà.

Giuseppe Tavecchio, il pensionato colpito a morte l'11 maggio 1972 da un candelotto della polizia. Dopo aver dichiarato che è morto per collasso da vecchiaia o da paura, si arriva alla verità e al processo contro il capitano che ha impartito arbitrariamente l'ordine di sparare. Ma un mese prima del processo il capitano si frattura la falange di un dito: quattro giorni di ospedale, da cui esce con la falange bendata, ma con »nevrosi da trauma (si era fatto male in uno scontro). Viene disposta la perizia psichiatrica, e intanto salta il processo.

Roberto Franceschi, lo studente ucciso dalla polizia il 23 gennaio 1973. Ridda di bugie, carosello di imposture, il solito affannoso cambio di giudici. L'agente che ha sparato, spara perché impazzito dalla paura del fuoco che ha in testa, è la tesi ufficiale. Ma le fotografie lo mostreranno che, dopo il fatto, sta parlando tutto quieto con un collega, e della torcia in testa non c'è traccia alcuna. C'è un altro agente che spara in alto con la pistola d'ordinanza, invece poi dirà di no: se l'è fatta prestare d un altro. Quindi all'agente sparatore perché incapace di intendere e volere trovano in canna tutte le pallottole; ecco, dicono, c'è stato un collega che gliene ha passate due delle sue. Le quali invece si dimostreranno d'annata diversa: e poi il poliziotto che dice di avergliele passate, dopo due giorni dichiarerà che non si è mai sognato di dargliele. L'ultimo giorno che si è sentito parlare del caso Franceschi, questo bugiardo era lì lì per ritrattare la ritrattazione, di bossoli si è fatta una gran r

accolta, però solo quattro sono stati consegnati alla magistratura, prove niente. Dicono dalla pistola del finto pazzo e da chi afferma d'aver sparato in alto. Però nemmeno questo è vero, perché di lì a qualche giorno un avvocato ha trovato per terra un altro bossolo militare che non appartiene al tipo colpito da raptus (ora in vacanza per un anno). Comunque è uno in più di quelli ufficialmente usciti dalla pistola, né bisogna dimenticare i testimoni della casa di fronte che hanno visto sparare ben cinque persone. Anche qui dunque c'è sabbia dappertutto e non si arriva a indiziare né un semplice agente né un superiore (uno dei due ufficiali che si riteneva avesse potuto sparare, come sempre in queste occasioni, ha avuto da poco la sua bella promozione).

Ecco cinque casi tuttora aperti e in letargo. Com'è in coma profondo il processo Pinelli. Infatti i difensori hanno chiesto di recente e ancora una volta di saper finalmente la verità sulla sua morte, data la dimostrata inconsistenza delle accuse fattegli nella notte fatale, e date le pesanti, plateali e farsesche contraddizioni dei testimoni. Richieste cadute nel vuoto e coperte di sabbia.

 
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