SOMMARIO: Nonostante la "legge Marcora" preveda il riconoscimento dell'obiezione di coscienza, niente è veramente cambiato. Le speranze dei radicali sono rimaste deluse perché il carcere è rimasto ancora una volta l'unico strumento di lotta politica. L'obiezione di coscienza è ormai un fenomeno di massa e quindi andrà affrontato in maniera diversa per l'aumento del numero degli obiettori.
(LOC NOTIZIE 4, Suppl. NOTIZIE RADICALI n. 210, 13 novembre 1973)
Il 15 dicembre 1972 la stampa e la televisione di regime davano, con toni trionfalistici, l'annuncio che l'Italia entrava di buon diritto nel novero delle nazioni più avanzate nel campo dei diritti civili con l'approvazione della legge "Marcora" per il "riconoscimento della obiezione di coscienza". In effetti tutti gli obiettori di coscienza incarcerati furono liberati entro natale, ed il partito radicale e i movimenti antimilitaristi nonviolenti tennero fede ad uno dei loro impegni di lotta.
Tutto questo è durato poco più di un attimo, quanto bastava perché la mobilitazione dell'opinione pubblica che si era creata attorno ai continui processi ad obiettori ed in seguito ai secoli di carcere militare a loro inflitti, venisse a mancare.
Così, tornato il silenzio su questo argomento, i generali e il loro degno compare socialdemocratico Tanassi (tanto fidato da conservare la sua poltrona sia nel cosiddetto "centro-destra" che nel "centro-sinistra") hanno potuto riprendere con calma la loro azione di repressione nei confronti degli obiettori.
Così ancora nei prossimi giorni si ripeteranno come già nel '71 e '72 le consegne collettive alla polizia degli obiettori "bocciati" ma che non intendono egualmente sottomettersi all'autorità militare vestendo la divisa e rinunciando così a testimoniare le loro come le nostre convinzioni antimilitariste, la volontà di lotta di classe contro uno strumento fondamentale per la conservazione del regime, dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
Il carcere è quindi ancora l'unico nostro strumento di lotta politica? Le speranze che con la pur truffaldina legge avevamo nutrito per l'avvenuta conquista di diversi e meno costosi mezzi di lotta per affermare i nostri obiettivi sono andate deluse.
Probabilmente per molto tempo ancora i processi militari saranno l'occasione di lotta più importante del movimento anche perché è lì che si manifestano le maggiori contraddizioni, non solo della legge, ma dell'intera struttura militare.
E l'aver deciso nell'ultima riunione degli organi della lega di abbandonare definitivamente da una parte la speranza di un intervento esclusivo del parlamento, da sollecitare con i normali strumenti di espressione politica, per l'eliminazione degli aspetti più gravi della legge e dall'altra la strategia difensiva che aveva caratterizzato la nostra azione in questi mesi, indica chiaramente quale deve essere il nostro nuovo impegno di lotta.
Ma questo duro e gravoso impegno che molti di noi si sono assunti, non può e deve far dimenticare che ormai la lotta degli obiettori è entrata in una dimensione di massa e che quindi gli obiettivi devono essere adeguati a questa nuova situazione e prospettiva.
Dobbiamo valutare e prevedere soprattutto le conseguenze generali che provocherà l'inarrestabile aumento del numero degli obiettori.
Questo "fenomeno", che si è prodotto già da tempo in molti paesi, potrebbe essere depurato della sua potenzialità eversiva e alternativa nel momento in cui gli obiettori rinunciassero, per opportunismo, al contenuto di classe e libertario della loro testimonianza nella illusione di poter, così facendo, conquistare più larghe masse di giovani spoliticizzati. E il potere militare in questo caso avrebbe tutta la possibilità di assumere un atteggiamento permissivo verso questi "bravi giovani che non amano le armi", rafforzando dall'altra la struttura militare, in parte spurgata di elementi potenzialmente insubordinati e quindi non disponibili per essere utilizzati in piani repressivi.
Ma se invece terremo sempre a mente che l'obiezione di coscienza è strumento di lotta per abbattere il militarismo in tutte le forme in cui si manifesta e non il fine della nostra azione, se sapremo realizzare un preciso collegamento della nostra lotta con quella che, in altri settori, viene portata avanti per una alternativa radicale al regime clerico fascista, la nostra azione come obiettori non rischierà di divenire momento marginale, corporativo nell'ambito di un nuovo assetto di regime che potrebbe tollerare gli strani e diversi obiettori, purché emarginati.
Ed è questo un collegamento che non si realizza certo con slogan né con dotte ideologie frontiste.
E per questo il progetto del partito radicale, a cui hanno aderito tutte le forze rivoluzionarie, molti sindacati, correnti all'interno dei partiti della sinistra, larghe fascie liberal-democratiche, di otto referendum abrogativi delle leggi fasciste e autoritarie, fra le quali il codice penale militare e l'ordinamento giudiziario non deve trovare estranei ed impreparati gli obiettori e la nostra organizzazione.
Solo se questa strada sarà percorribile la proposta degli obiettori continuerà ad avere quella caratteristica alternativa in cui crediamo, la nostra voce e testimonianza non sarà di vani profeti in un deserto.