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Liberazione - 14 dicembre 1973
Divorzio: il referendum (non) si farà

Il regime ha il tempo, la volontà e la necessità di impedire il referendum. La »Carettoni-bis può essere presentata anche a febbraio. I guaiti di Casalegno, moralista fanfaniano. Non si pubblicano (ma si fanno) sondaggi: DC e MSI, insieme, non raggiungerebbero il 30 per cento dei voti; una vittoria laica che riaprirebbe subito il dibattito nel PCI e nel PSI per una alternativa di sinistra. Occorre quindi impegnarsi a fondo, nel parlamento e nel paese.

SOMMARIO: Preoccupata analisi della situazione, e delle reazioni partitiche alla prospettiva del referendum sul divorzio. Mentre in Francia si sviluppa ampiamente il dibattito civile sull'aborto, in Italia i fascisti e i "servi laici" del potere fanno di tutto per scongiurare la prova referendaria. Nessuno si pronuncia sull'aborto, ma tutti lamentano la "jattura" del divorzio. Si mostrano preoccupati Carlo Casalegno, "tetro moralista del regime", Luigi Anderlini, Sensini, e coloro che auspicano "l'unità fra masse cattoliche, socialiste e comuniste". Non si fanno nemmeno più le indagini demoscopiche "di regime", perché esse indicherebbero una schiacciante sconfitta degli antidivorzisti. In tal caso, "tutte le strategie politiche attualmente in corso andrebbero all'aria". Nel PCI e PSI si manifesterebbero linee alternative. E questo i Casalegno lo sanno: "i loro appelli sono in realtà zelanti servigi resi al potere". Fino a febbraio, quindi, è possibile che venga imposto il "divorzio-bis", ed è pericoloso quin

di il "disarmo involontario" di molti divorzisti, come anche di Loris Fortuna. Comunque, stiano ben attenti tutti: se si riuscirà ad evitare il referendum divorzista sono già pronti gli altri referendum "antiregime" del partito radicale.

(LIBERAZIONE, 14 dicembre 1973)

Un dibattito, pieno di passioni, di eccessi e di rigore, sta unendo la Francia, l'opinione pubblica, la classe politica: è il dibattito che si traduce nello scontro parlamentare di questi giorni, sui diversi testi legislativi che propongono nuove (o vecchie) discipline per l'aborto.

Ciascuno s'interroga e si pronuncia; ciascuno »prende partito , scopre il rapporto profondo che lega indissolubilmente vita politica e vita privata, leggi scritte e felicità o disperazioni individuali. Dopo questo dialogo, nessuna convinzione sarà restata, malgrado le apparenze, la stessa. Tutte, approfondendosi, saranno mutate e migliorate. Esaltate, incarnate finalmente nella moralità d'una scelta responsabile e collettiva, ideologie, culture, idee, acquistano concretezza e responsabilità; i diversi »valori d'ognuno e di tutti rivivono come tali. Le parole tornano ad avere uno stesso significato, quelle del primo ministro e quelle dell'ultimo »chochard . La Francia, dicevamo, è oggi unita, unita da questo scontro. Unita dalla »democrazia , cioè da un raro, vero momento di partecipazione e di »potere del popolo.

I fascisti - che disprezzano il popolo, che disprezzano il dialogo, che disprezzano le passioni civili, che disprezzano chi non sia già »potere e forza dirigente - non possono capirlo. Ma non possono capirlo, pare, in casa nostra, neppure i partiti di sinistra, afflitti dal complesso di colpa dei passati trascorsi stalinisti, tesi a dimostrare che l'avversario che ieri avrebbero volentieri impiccato, ora, invece vogliono solo amarlo e sposarlo.

E non vogliono, invece, capirlo i servi »laici , cioè le vestali delle verità borghesi ridotte a verità di classe e di corte, che pullulano tristemente in questo nostro regime clericale e corrotto.

Per costoro tutto quel che è popolare, del volgo, della gente è demoniaco, e negativo. E, in certo senso, hanno ragione. Se conquisteremo mai un po' di autentica democrazia, resteranno senza lavoro, e senza dignità, come meritano.

Ascoltateli. Non parlano nemmeno dell'aborto, la parola stessa fa loro paura, disturba Fanfani e La Malfa, Berlinguer e De Martino, Malagodi e Almirante. Tanto basta. Ma parlano di divorzio, della »jattura del referendum voluto solo come arma di ricatto dalla Democrazia Cristiana, dal Vaticano, dalla CEI, ed oggi dipeso solo da noi.

Ascoltate il tetro moralista del regime, Carlo Casalegno, sulla »Stampa , tanto più zelante in questo caso nel quale può impunemente fare l'apologia di Berlinguer e della sua linea e cercare di farsi perdonare il suo volgare anticomunismo, il suo classismo antidemocratico e antipopolare. Sente il possibile arrivo di nuovi altri padroni da servire e coglie, pronto, l'occasione e sbaglia: non è così che diventerà direttore di »La Stampa ; è già un servitore perfetto, perché promuoverlo?

La catastrofe sarebbe alle porte. Su »Rinascita si è invocata, in proposito, non più l'»unità democratica ma anche »l'unità nazionale , come già fece la Zanti per l'aborto.

Cosa si teme, insomma? »Il paese rischia d'essere spaccato in due , » Il paese non è maturo; non siamo in Svizzera . »Le donne comuniste, specie nel Mezzogiorno, saranno poste in una drammatica situazione (Anderlini) . »Una campagna propagandistica di un mese sul divorzio, e quindi sul rapporto fra Stato e Chiesa, equivarrebbe a un massacro senza scampo. Si tornerebbe da Peppone e Don Camillo. L'innesto del colpo all'Italia becera e sgradevole della spaccatura religiosa sulla crisi economica e sociale potrebbe rendere ingovernabile il Paese. (Sensini) .

La tesi comunista, insomma, è oggi ripresa, fatta propria dai portavoce ufficiali dell'Italia di classe, dell'Italia di regime, dell'Italia fanfaniana. L'unità fra masse cattoliche, socialiste e comuniste, la nuova »unità nazionale , sarebbe messa in crisi. Il paese sarebbe drammaticamente spaccato in due, rovinerebbe. Perché? Perché il Vaticano, la Cei, la DC e il Msi, finalmente, sarebbero ufficialmente, clamorosamente sconfitti, travolti, ridicolizzati probabilmente, dal paese chiamato a pronunciarsi?

A proposito, come mai non si fanno più, o non si pubblicano più indagini demoscopiche, nemmeno quelle così di regime, così subdole e mistificanti della DOXA? Nemmeno più quelle della Demoscopea? Strano. Nessuno, in apparenza, si preoccupa di sapere se vincerebbe o perderebbe. La risposta, c'è ed è chiara: la presidenza del consiglio la conosce: gli antidivorzisti sarebbero battuti con uno scarto di almeno dieci milioni di voti. L'alibi del »paese immaturo , della »potenza della Chiesa , del condizionamento clericale di grandi parti del movimento operaio e proletario, sarebbe travolto. Tutte le strategie politiche attualmente in corso andrebbero all'aria. All'interno del PCI e del PSI s'importerebbero immediatamente linee alternative a quelle attualmente prevalenti. La strategia del 51% riprenderebbe vigorosamente consistenza. Tutte le lotte per i diritti civili, a cominciare da quella sull'aborto, l'appello allo strumento dei referendum come arma della sinistra e dell'alternativa diverrebbero vincenti.

Per questo, che noi sappiamo ma che ancor meglio di noi sanno la classe dirigente e anche quella dell'opposizione tradizionale, da cinque anni andiamo affermando che il referendum non si farà; e finora i fatti ci han dato ragione.

I Casalegno vengono allo scoperto perché anch'essi lo pensano. I loro appelli sono in realtà zelanti servigi resi al potere, al regime, che li emana e detta. E' inutile raccontare che siamo agli sgoccioli. Fino a fine febbraio è probabile che il divorzio-bis (cioè l'affossamento della legge Fortuna) venga imposto e votato in parlamento. Nelle pieghe delle recenti sentenze della Corte Costituzionale, senza troppa fatica, si possono trovare spunti, suggerimenti e avalli. Lo si sta facendo. Solo se almeno cinquanta parlamentari laici, ufficialmente e sin da adesso, annunciassero una battaglia ostruzionistica contro questa operazione indegna, solo se il Psi - unica forza laica potenzialmente consistente del nostro parlamento attuale - almeno in buona parte si pronunciasse recisamente per il referendum, lo si potrebbe salvare.

Pericoloso è il disarmo involontario che anche compagni come Loteta, su »Il Mondo , rischiano di provocare affermando che »ormai il referendum si farà .

Lo stesso compagno Loris Fortuna sembrava orientato in questo senso e attento soprattutto a garantire la gestione dello scontro ai »buoni dei due schieramenti. Ma, presentando con Artali, Signorile e Bandiera una dura interrogazione contro le »trattative con il Vaticano, mostra ora di rendersi perfettamente conto dei rischi di una tale valutazione. Altro, è probabile.

Il referendum non si farà. A meno di lottare strenuamente per difenderlo e imporlo. E non v'è modo migliore per farlo che preparare comunque il successo della intera serie di referendum antiregime che il Partito Radicale ha promosso: perché il regime sappia che c'è comunque una risposta radicale, un deterrente che rischia di mettere lui stesso in moto, se davvero pretendesse di realizzare l'ignobile operazione che ha da due anni preparato e condotto; che, quasi certamente, derubare il Paese di questo diritto, significherebbe solo rinviare di un anno lo scontro, ma anche renderlo generalizzato e ancora più drammatico e duro.

 
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