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Partito Radicale - 4 aprile 1974
Per il divorzio, contro il regime: quale battaglia

SOMMARIO: Mentre la Chiesa usa ogni argomento in difesa di un regime oscurantistico, si chiede ai divorzisti di mantenere il confronto in limiti "civili". Ciò sarà possibile se questo significherà "rispondere al terrorismo ideologico con la forza della ragione", ma lo scontro resterà egualmente duro: questa è la sola garanzia di "civiltà". Chi voleva evitare il referendum temeva due cose: il monopolitismo della Chiesa e la "rottura dell'unità dei lavoratori". Ma i due timori si sono dimostrati infondati. Il vero pericolo è nel modo in cui le forze laiche vanno allo scontro, "divise, in ordine sparso", mentre solo i radicali promuovono "manifestazioni di massa". Altro pericolo è nell'uso spregiudicato che fa la DC di Fanfani dell'informazione. Contro questi pericoli si batterà la Lega.

[Seguono una serie di "schede" ("risposte ai clericali") relative ai vari temi del confronto per controbattere la propaganda avversaria: 1) Il divorzio non è la causa, ma un rimedio alla crisi della famiglia; 2) La Legge Fortuna Baslini è la legge più severa nel mondo; 3) Il divorzio non interessa solo i ricchi; 4) La Legge Fortuna tutela la moglie e i figli; 5) La Legge Fortuna anticipa la riforma del diritto di famiglia; 6) Non è vero che il divorzio premia il coniuge colpevole; 7) O si avrà il divorzio o resterà il monopolio della Sacra Rota; 8) La Legge Fortuna è una legge normale]

Il 12 maggio la scelta non sarà tra divorzio e indissolubilità del matrimonio, ma tra divorzio e Sacra Rota. A parole, l'annullamento rotale è cosa diversa dal divorzio, nei fatti tale distinzione è solo una "ipocrisia". E dopo la guerra gli annullamenti sono cresciuti a dismisura, ma solo per chi ha denaro. Tutta la procedura dell'annullamento è falsa, ipocrita, "stravagante". Ma, sopratutto, l'annullamento è un "divorzio di classe", facile e "irresponsabile", non un diritto civile uguale per tutti. Persino in parlamento c'è un esercito di annullati, specialmente democristiani e missini, tutti antidivorzisti. Ormai, però, lo scontro non può riguardare solo il matrimonio e il divorzio: occorre "raccogliere le firme per i referendum abrogativi del Concordato..."

8 referendum contro il regime: nel 1975 si avranno otto referendum abrogativi, per colpire il regime clericale voluto da Fanfani. Fanfani spera di "consolidare il predominio governativo della DC," e per questo non bisogna accontentarsi di "sconfiggerlo sul divorzio". A lui i radicali, la Lega, ecc., contrappongono "un disegno altrettanto ambizioso": battere "il partito di regime", non restando in difesa del divorzio, ma passando "all'attacco". Per vincere questa grande battaglia occorre ora "moltiplicare lo sforzo" moltiplicando i punti di raccolta per le firme sugli otto referendum.

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Si dice da molte parti che il confronto sul divorzio deve essere mantenuto nei limiti di un confronto e di un dibattito "civile". Ma non è civile chiedere in questo paese e nel 1974 l'abolizione di un istituto che quasi tutti gli altri paesi del mondo hanno ormai da decenni e in molti casi da secoli. Non è civile condurre la lotta al divorzio scatenando nel paese una campagna di stampo sanfedistico e oscurantistico, ricorrendo al peggiore terrorismo ideologico. Non è civile, dopo il concilio Vaticano II, tentare di restaurare e di consolidare alcuni dei peggiori strumenti del potere temporale della Chiesa (Sacra Rota e Tribunali ecclesiastici), a danno della autonomia e della laicità dello Stato. Nè è civile, infine, trattare i cattolici italiani come cattolici e cittadini di seconda categoria, chiedendo ad essi un impegno contro il divorzio che sarebbe considerato assurdo e anacronistico se chiesto ai cattolici di qualsiasi altro paese del mondo.

Saremo dunque civili se civiltà significa rispondere al terrorismo ideologico con la forza della ragione, alla menzogna con la verità, alle pretese clericali con la lotta per la laicità dello Stato e per il rinnovamento religioso. Non accetteremo invece di attenuare in nulla la durezza dello scontro politico e ideale che si svolge intorno al divorzio. In un paese che non ha conosciuto riforma religiosa nè vera rivoluzione borghese, che è profondamente inquinato dalla cultura controriformista, che è stato soggetto per venti anni al regime fascista e per altri trenta a quello democristiano, la durezza e la verità di questo scontro è la sola garanzia di "civiltà". Ed è uno scontro contro la DC.

Chi avrebbe voluto evitare il referendum, temeva soprattutto due cose: il monolitismo e la totale fedeltà alle pretese temporalistiche della Chiesa dell'intero mondo cattolico; la rottura dell'unità dei lavoratori, incrinata da un dissenso di natura religiosa. Ma sono due timori che si sono rilevati infondati. Non soltanto le comunità ecclesiali del dissenso che rappresentano ormai una parte cospicua del "Popolo di Dio", non soltanto le isole protestanti e di credenti di ogni altra fede, a cominciare dagli ebrei, si sono schierati per il "NO", ma anche settori importanti dell'intellettualità cattolica, mentre numerosi vescovi hanno preso le distanze dalle posizioni della CEI, rivendicando il rispetto del principio della "libertà di coscienza", fatto proprio dal Concilio dopo tre secoli di cultura laica.

Quanto alle preoccupazioni per l'unità sindacale esse sono state subito smentite dalla immediata presa di posizione per il "NO" della grande maggioranza dei sindacalisti di origine cattolica.

Il pericolo viene dal modo in cui le forze laiche si accingono ad affrontare questo scontro, divise, in ordine sparso, senza alcun coordinamento. Nei mesi di gennaio, di febbraio e nella prima metà di marzo le uniche manifestazioni di masse per la difesa del divorzio sono state tenute dalla LID e dal Partito Radicale. Soltanto ora la maggiore delle forze divorziste, il PCI, sta dimostrando di voler recuperare i ritardi con una massiccia mobilitazione, mentre gli altri partiti laici indugiano ancora ad entrare in campo.

Il pericolo inoltre viene, ancora una volta, dall'uso spregiudicato che Fanfani e la DC si accingono a fare di tutti gli strumenti di potere del regime, a cominciare dalla RAI-TV e dall'emarginazione delle forze che autonomamente hanno promosso in questo paese la battaglia per il divorzio, in primo luogo la LID e il Partito Radicale.

Contro questi pericoli si batterà la Lega nella campagna per il referendum, per difendere l'istituto del divorzio con la stessa decisione con cui nel passato si è battuta per ottenerlo. Contro la DC, contro il clericalismo, contro il regime.

RISPOSTE AI CLERICALI

La campagna contro il divorzio viene combattuta dagli antidivorzisti e dai clericali non soltanto con le armi del peggiore terrorismo ideologico di marca sanfedistica, ma anche con il ricorso ad una serie di argomenti e di slogans che costituiscono altrettante menzogne e falsità, ripetuti in maniera martellante durante la campagna del referendum. Al terrorismo ideologico e sanfedistico dobbiamo rispondere con la forza della ragione. Alle menzogne dobbiamo rispondere con la forza della verità.

1 - Il divorzio non è la causa ma un necessario rimedio alla crisi della famiglia

Le previsioni catastrofiche degli antidivorzisti secondo le quali l'istituzione del divorzio avrebbe moltiplicato i casi di dissoluzione della famiglia sono state smentite dai fatti.

Nel 1971 le sentenze di divorzio sono state 55.516, nel 1972 sono state 20.410, nel 1973 meno di 15.000. Nel 1972, ultimo anno per il quale si dispongono i dati definitivi, il numero delle coppie divorziate è stato, in media all'intero paese, di 37,7 ogni centomila abitanti. Nella grande maggioranza dei casi il divorzio è servito a legittimare situazioni irregolari (coppie e figli illegittimi) che esistevano da molto tempo, in alcuni casi da decenni. Gli antidivorzisti obiettano che però in questi anni è aumentato il numero delle separazioni fra i coniugi. Non è vero. Il numero delle separazioni legali era già aumentato prima della legge Fortuna (da circa 10.000 separazioni l'anno all'inizio degli anni sessanta, era già salito ad oltre 15.000 nel 1968). L'aumento è proseguito con la stessa proporzione negli anni successivi fino a raggiungere le 22.000 separazioni nel 1972. Prima del divorzio inoltre molte coppie separate, non si rivolgevano al giudice. La separazione legale era richiesta soltanto da quelle c

oppie separate che dovevano sistemare questioni patrimoniali o che non avevano raggiunto un accordo sui figli. Ora invece la separazione legale è un requisito necessario per poter ottenere in seguito il divorzio. E' naturale perciò che tenda a scomparire il fenomeno delle separazioni di fatto che prima esisteva in larga misura anche se non era registrato nelle statistiche.

2 - La legge Fortuna-Baslini è la legge più severa fra le leggi divorziste di tutto il mondo

La legge prevede la possibilità di scioglimento del matrimonio solo in alcuni casi gravissimi (condanna penale dell'altro coniuge a più di quindici anni di reclusione; condanna dell'altro coniuge per delitti infamanti contro la famiglia quali tentativo di violenza carnale a danno dei figli, ratto a fini di libidine, incitamento o sfruttamento alla prostituzione del coniuge o dei figli, ecc.) o quando i due coniugi siano separati con provvedimento del giudice da almeno cinque anni.

La legge Fortuna non è quindi una legge "facile", ma una legge severa e giusta. E' quindi del tutto falsa l'immagine che gli antidivorzisti tentano di accreditare di un "divorzio all'americana".

In pratica, anche per quanto riguarda le norme che possono interessare la generalità dei cittadini, il divorzio si limita a prendere atto di una rottura ormai irreparabile dimostrata da un lungo periodo di separazione. Per ottenere il divorzio occorrono in pratica due diversi procedimenti giudiziari: prima quello di separazione e poi, a distanza di molti anni, il procedimento di scioglimento del matrimonio. Si tratta di uno dei procedimenti di divorzio più lunghi che esistano al mondo: non meno di otto anni nei casi più semplici, che possono salire a dieci nel caso di opposizione al divorzio da parte del coniuge incolpevole. Si deve infatti tener conto dei tempi ordinariamente molto lunghi della giustizia italiana (non meno di un anno, un anno e mezzo per la causa di separazione; altrettanto per quella di divorzio). Solo per i Tribunali ecclesiastici, dopo le riforme introdotte da Paolo VI con il "motu proprio", si può parlare di "annullamenti facili" e di "annullamenti lampo".

3 - Il divorzio interessa tutti e non solo i ricchi

Fra le molte fandonie sostenute dai clericali c'è anche questa: che il divorzio è molto costoso e che esso quindi interessa solo i ricchi. I ricchi non hanno mai avuto in Italia problemi di divorzio: quando non provvedevano con il cambio di cittadinanza effettuato al solo scopo di ottenere lo scioglimento del matrimonio in un altro Stato, provvedeva la Sacra Rota. Sono i piccoli borghesi, i proletari, i poveri che si separano e divorziano solo in caso di estrema necessità e solo per ragioni molto gravi, che non avevano prima della legge Fortuna nessuna possibilità di risolvere le loro, a volte drammatiche, situazioni familiari. Ora questa possibilità è anche alla loro portata. E il costo dell'esercizio di questo diritto civile è relativamente esiguo: non più di 200-300 mila lire.

La legge per il divorzio, oltre ad essere estremamente severa, è anche una legge giusta. La semplicità del giudizio di divorzio elimina gravosi costi processuali, e rende inutili il ricorso al "grande avvocato" e il pagamento di alti onorari. Vale anche in questo caso il paragone con gli annullamenti ecclesiastici, il cui costo non è mai o quasi mai inferiore alle seicentomila lire anche nei casi più semplici. Quello della Sacra Rota è il vero "divorzio di classe": il divorzio a cui preferiscono ancora oggi ricorrere i parlamentari antidivorzisti, gli attori famosi, i più noti professionisti, i grandi industriali.

4 - La legge Fortuna tutela la donna e i figli

"Le vittime del divorzio sono le donne e i figli", si legge sulle pagine speciali del "Popolo" e sui manifesti clericali. E' sufficiente una statistica per ribaltare questa affermazione. Nel 1970su 6.760 cause di separazione giudiziale 4.461 sono state promosse da mogli, 2.087 da mariti e 216 da entrambi i coniugi; su 10.263 cause di separazione consensuale 2.300 sono state promosse da donne, 1.092 da uomini e 6.871 da entrambi i coniugi.

Nella maggioranza dei casi sono dunque le mogli che prendono l'iniziativa di separarsi per poi divorziare dai loro mariti. La verità è che non esistono vittime del divorzio, ma soltanto vittime di situazioni matrimoniali fallite e impossibili. I sostenitori dell'indissolubilità del matrimonio vogliono rendere schiave queste donne per tutta la vita, inchiodandole per forza di legge ad una condizione di infelicità e impedendo loro di formarsi una nuova famiglia.

5 - La legge Fortuna anticipa la riforma del diritto di famiglia che la D.C. ha bloccato in Parlamento

La legge che ha introdotto il divorzio in Italia ha migliorato molto il trattamento economico del coniuge più debole e, per quanto riguarda l'educazione dei figli, ha anticipato la riforma del diritto di famiglia, attribuendo in condizioni di eguaglianza la patria potestà ad entrambi i coniugi. Ugualmente la legge si è preoccupata di tutelare nel modo migliore possibile il coniuge più debole anche dal punto di vista assistenziale e previdenziale.

Certo, la legge del divorzio non poteva risolvere i problemi che devono essere risolti con la riforma del diritto di famiglia e con la riforma sanitaria pensionistica. Ma queste riforme è la DC a ritardarle e a non volerle. Quella del diritto di famiglia, approvata dalla Camera quasi all'unanimità, è stata bloccata al Senato dal partito clericale ormai da tre anni. Ed anche in questo caso gli antidivorzisti si guardano bene dall'accettare il confronto con gli annullamenti ecclesiastici: le dichiarazioni di nullità tolgono ogni diritto alla moglie e ai figli perchè, dopo un annullamento, il matrimonio è come se non fosse mai esistito.

6 - Non è vero che il divorzio premia il coniuge colpevole

E' un'altra delle menzogne su cui si basa la campagna dei clericali. Sostengono gli antidivorzisti che il divorzio equivale a un ripudio, che il coniuge incolpevole nulla può fare per opporsi alla pretesa di divorziare del coniuge colpevole. E' falso. Per ottenere il divorzio occorre un provvedimento giudiziario di separazione che può essere di due tipi: consensuale (cioè ottenuta di comune accordo dai due coniugi) o giudiziale (cioè per colpa di uno dei coniugi). In caso di mancato accordo fra i coniugi, la separazione può essere decretata dal giudice solo se è richiesta o accordata dal coniuge incolpevole. Senza l'iniziativa o il consenso del coniuge incolpevole, non può neppure esserci la successiva sentenza di divorzio. Non è neppure vero, quindi, che la colpa non abbia alcuna rilevanza giuridica nel procedimento di divorzio: di essa il giudice tiene conto nel giudizio di separazione, sia nella definizione degli aspetti economici, sia ai fini della assegnazione e dell'educazione dei figli. Inoltre, nel c

aso che la successiva sentenza di divorzio sia chiesta dal coniuge colpevole, il termine che deve decorrere per il divorzio è di sette anni e non di cinque.

7 - Chi chiede l'abolizione del divorzio, vuole restaurare il monopolio della Sacra Rota

Gli antidivorzisti sostengono che la loro lotta contro la legge Fortuna-Baslini non è motivata dalla difesa degli interessi clericali ma da preoccupazioni esclusivamente civili e sociali. Non è vero. Grazie al Concordato fra Stato e Chiesta del 1929, i Tribunali ecclesiastici godevano di un vero e proprio monopolio giurisdizionale in materia matrimoniale. Le loro sentenze di annullamento dei matrimoni avevano ed hanno efficacia immediata nell'ordinamento giuridico italiano. Dopo l'approvazione della legge Fortuna-Baslini, paolo VI ha introdotto una serie di riforme che rendono gli annullamenti sempre più facili, più rapidi e più economici per consentire ai Tribunali ecclesiastici di far concorrenza a quelli civili. Ora si tenta di restituire alla Sacra Rota, abolendo il divorzio, il monopolio degli annullamenti. E' solo questo che ha determinato le proteste della Santa Sede e ha indotto la Chiesa a mettere le proprie parrocchie a disposizione degli antidivorzisti per la raccolta delle firme necessarie a prom

uovere il referendum. Solo in Portogallo e ad Haiti gli annullamenti ecclesiastici hanno efficacia civile. In nessun paese cattolico (in Francia, in Austria, in America Latina), la Chiesa si è mai permessa di chiedere l'abolizione del divorzio.

8 - La legge Fortuna è una legge normale

Con una strana contraddizione gli antidivorzisti affermano che il divorzio è "l'anticamera del lupanare", e poi sostengono che al divorzio è preferibile il concubinaggio. E' strana questa pretesa di difendere l'indissolubilità anche dei matrimoni civili, dal momento che proprio essi hanno sempre sostenuto che le persone sposate davanti al sindaco sono "pubblici concubini".

Il vescovo di Prato, mons. Fiordelli, uno dei vescovi più impegnati nella campagna contro il divorzio, bollò con questo marchio infamante i coniugi Bellandi. Per altro la Chiesa non si preoccupa di rispettare questa indissolubilità dei matrimoni civili: Almirante ha due mogli, la prima sposata soltanto in municipio, la seconda sposata soltanto in Chiesa. Il leader della destra nazionalfascista è un coerente antidivorzista perchè non ha chiesto nè il divorzio dalla prima nè l'annullamento dalla seconda. Ma per la Chiesa Almirante che è: un concubino, un bigamo, o l'uno e l'altro?

Gli antidivorzisti si presentano come i difensori della famiglia. Per la sua severità la legge Fortuna, è stata presa ad esempio nelle loro legislazioni dallo Stato di New York, dalla Francia e dalla Gran Bretagna. Ma in tutti questi paesi la separazione non deve durare più di tre anni. A New York una legge analoga a quella Fortuna è stata proposta dai vescovi cattolici, che intendevano moralizzare la situazione creata dalla precedente legge sul divorzio, che consentiva lo scioglimento del matrimonio solo in caso di adulterio.

IL PARTITO DEGLI ANNULLATI

Il 12 maggio la scelta per il cittadino chiamato alle urne per il referendum sul divorzio non sarà, in verità, tra divorzio ed indissolubilità del matrimonio, ma tra divorzio e Sacra Rota. L'indissolubilità del matrimonio è fuori causa. Prima di tutto perchè indissolubile semmai sarebbe paradossalmente la separazione legale, non il matrimonio, che, appunto con la separazione, si dissolve lasciando di sè solo un cadavere che si può seppellire o lasciar imputridire, mai considerare una cosa viva. Ma anche la separazione è tutt'altro che indissolubile per chi può permettersi di far ricorso alla Sacra Rota, ai tribunali ecclesiastici che emettono sentenze di nullità del vincolo matrimoniale, ma in realtà il divorzio, valido, grazie al concordato, anche agli effetti civili.

A parole, la nullità del matrimonio è cosa ben diversa dal divorzio, perchè presuppone che il matrimonio valido non sia mai venuto in essere. Ma quando si va alla ricerca della nullità dopo anni di convivenza e dopo che si sono procreati figli e creato di fronte alla società un nucleo in tutto identico a qualsiasi altra famiglia, solo l'ipocrisia può far parlare di "nullità" e di diversità dal divorzio.

Per i primi venti anni di applicazione del concordato, la chiesa non ha dichiarato nulli più di una sessantina di matrimoni concordatari all'anno. Poi, dopo la guerra è cominciato l'aumento, fino a raggiungere circa trecento annullamenti all'anno, cresciuti ancora, sotto Paolo VI fino a raggiungere nel 1973 la cifra di circa 1.200 annullamenti. Un aumento di venti volte. Oramai si annulla, con un po' di pazienza e denaro, qualsiasi matrimonio.

L'annullamento, con il motu proprio di Paolo VI è divenuto rapido (8-10 mesi) ed abbastanza economico (1-2 milioni) si annulla per i motivi più stravaganti: eccesso di spirito aviatorio che porta insofferenza per i figli, rapporti sessuali consumati con la convinzione di appartenere al sesso opposto, eccesso di propensione per le bugie, riserva mentale di escludere il diritto di cornificare la moglie. Sempre più spesso accade che mariti chiedano l'annullamento per frodare la moglie dell'assegno alimentare, giacchè con l'annullamento nulla è dovuto a titolo di alimenti alla "ex concubina", che mai è stata moglie. Basta che il marito provi di aver ingannato la moglie sulle sue intenzioni circa gli obblighi da assumere col matrimonio, privando la moglie di ogni diritto.

Tuttavia l'annullamento rotale rimane un divorzio di classe. Esso è il divorzio facile, irresponsabile, sbrigativo della classe privilegiata, non un diritto civile. I monsignori, in realtà possono concederlo o negarlo a loro piacimento. Ottenerlo è sempre un privilegio e presuppone amicizie, conoscenze, capacità di arrangiarsi, di arzigogolare di pagare, di portare testi autorevoli.

Nobili, industriali, noti professionisti, attori, uomini politici specialmente democristiani e missini, ricorrono in gran numero all'annullamento. Alla Camera ed al Senato gli annullati ed i mariti e padri di annullati potrebbero costituire un gruppo parlamentare. Il ministro Signorello DC, ha sposato un'annullata, il cui primo marito, dal quale aveva avuto due figli, non credeva nell'indissolubilità del matrimonio (al contrario di Signorello). Annullato per mancata consumazione, dopo dieci anni di convivenza con la moglie, è l'on. Manfredi Bosco, figlio dell'ex ministro, pure DC, Giacinto. Annullato, sempre per mancata consumazione dopo tredici anni di convivenza, è l'on. Mauro Bubbico, DC e fanfaniano. Annullato è il senatore DC Giorgio Bo, annullato l'ex deputato ed alto Commissario alla Sanità DC Larussa, padre, a sua volta di una annullata. Annullata per impotenza del marito, dal quale pure ha avuto una bambina, è la figlia del sen. ed ex presidente del consiglio DC Pella. Annullato è l'on. Roberti del

MSI. Annullato è l'on. Luigi Turchi pure del MSI, la cui moglie, secondo la Sacra Rota, era stata costretta alle nozze dalla madre, affascinata dalla compitezza del giovane missino che le faceva il baciamano e che invece era considerato dalla moglie in questione bamboccio, fatuo e scivoloso.

I sostenitori dell'indissolubilità del matrimonio sono insomma tali solo nei confronti degli altri, dei cittadini qualsiasi, della plebe dei gonzi, ai quali chiedono il sì all'abrogazione del divorzio. Tra di loro è un'altra cosa. Un matrimonio divenuto scomodo si dichiara inesistente.

A questo punto, naturalmente il discorso non può arrestarsi al referendum sul divorzio ed al NO che dobbiamo esprimere il 12 maggio. Alla Sacra Rota non solo dobbiamo togliere il monopolio ed impedire che lo riacquisti, ma dobbiamo togliere qualsiasi rilevanza civile. Occorre raccogliere le firme per i referendum abrogativi delle leggi in materia concordataria e, nella primavera del 1975 votare sì per la loro abrogazione.

8 REFERENDUM CONTRO IL REGIME

La campagna del referendum sul divorzio è in pieno svolgimento. Dal 20 marzo, è cominciata la raccolta delle firme per imporre ed indire, nel 1975, altri otto referendum abrogativi.

Il Partito Radicale, la Lega Italiana del Divorzio, la LOC, il Movimento di Liberazione della Donna hanno aperto contemporaneamente la campagna per difendere la legge sul divorzio e per sconfiggere il regime DC con gli otto referendum. Solo rafforzando ed ampliando in questo modo la lotta sarà possibile combattere efficacemente il disegno fanfaniano e clericale. Sia che vinca, sia che - come noi pensiamo - il 12 maggio sia sconfitto dai "NO", Fanfani si accinge infatti a tentare il definitivo consolidamento del regime democristiano, condannando le forze democratiche ad un ruolo subalterno nell'ambito di un equilibrio politico - corporativo, clericale, autoritario ed interclassista - dominato dalla Democrazia Cristiana.

Il disegno di Fanfani è chiaro: se vincerà questo referendum, riuscirà anche a consolidare il predominio governativo della Democrazia Cristiana, per un altro decennio, forse, spera invece di riuscire a perdere nulla o ben poco; spera di riuscire a trar vantaggio dalla stessa sconfitta, offrendo ai suoi interlocutori di sinistra quel compromesso, non importa se "storico" o di potere, che aveva loro rifiutato nei mesi scorsi quando si trattava di evitare il referendum sul divorzio. E si tornerà a parlare di "miglioramenti" da apportare alla legge Fortuna; si tornerà a parlare di trattative per la revisione del Concordato; si tornerà a parlare di "pace religiosa", di arco costituzionale, di unità antifascista.

E' per questo che non ci accontentiamo di sconfiggerlo sul divorzio. E' per questo che vogliamo creare le premesse per poter sconfiggere l'intero suo disegno politico.

Ad esso, contrapponiamo un disegno altrettanto ambizioso. Vogliamo vincere il confronto sul divorzio. Ma vogliamo anche che la vittoria del 12 maggio contro la D.C. non rimanga un fatto isolato, appena una parentesi nella storia recente della Repubblica, chiusa la quale tutto torni come prima e peggio di prima. Vogliamo protrarre ed estendere il confronto con il partito di regime, spazzare via le leggi clericofasciste che ancora impediscono la realizzazione di una effettiva democrazia costituzionale, dar vita alle speranze di libertà e di alternativa continuamente frustate e mortificate nel paese.

Se il progetto del Partito Radicale avrà successo, nel 1975 riusciremo a far indire otto referendum contro il concordato clericofascista del 1929, contro la giurisdizione dei tribunali ecclesiastici contro le norme fasciste del codice Rocco, contro il codice penale militare e l'ordinamento giudiziario militare, contro le norme corporative e repressive in materia di stampa, contro il monopolio statale e democristiano della T.V. via cavo.

L'intera sinistra è unita oggi nella battaglia per la difesa del divorzio ed egemonizza di fatto in questa battaglia le forze moderate e della borghesia laica. I sondaggi demoscopici dimostrano che esiste la possibilità di vincere con uno schiacciante margine di vantaggio i clericofascisti dello schieramento antidivorzista. E per sfruttare questo grande margine di vantaggio non bisogna chiudersi in difesa, subendo la propaganda avversaria, ma passare all'attacco, estendendo e generalizzando il confronto con la DC e con il regime all'intera tematica delle riforme democratiche e dei diritti civili.

La prima raccolta delle firme ci dimostra che non siamo isolati dal paese, dalle masse dei cittadini e dei lavoratori. Se riusciremo a far fronte alla sproporzione dei mezzi organizzativi e finanziari, sappiamo che esistono nel paese molto più del mezzo milione di firme necessarie a promuovere i referendum.

Faremo di tutto e fino in fondo per riuscirci. Se non riusciremo non sarà soltanto nostra la responsabilità, mentre saranno gravi per tutti - temiamo - le conseguenze. Molto dipende da voi, compagni ed amici, destinatari di questo appello: dal vostro impegno politico, dal vostro impegno militante, dal vostro aiuto finanziario.

Assieme ad altre forze (in primo luogo la UIL, ma anche la FGR, nuclei di extraparlamentari, ecc.) abbiamo costituito già circa cento nuclei di raccolta di firme, con i quali siamo presenti in ogni regione ed in quasi tutte le province. Ma occorre moltiplicare lo sforzo. Tutti coloro che intendano costituire nuovi comitati di raccolta, in città o paesi dove manchino, devono rivolgersi alla sede centrale del Partito Radicale, a Roma, in Via Torre Argentina 18, telef. 651732/653371, per ricevere il materiale e le altre indicazioni necessarie.

 
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