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Pannella Marco - 13 maggio 1974
Un invito al Pci e ai socialisti
Marco Pannella

SOMMARIO: Si ripercorre l'iter attraverso il quale il PCI, con il suo segretario Enrico Berlinguer, ha cercato, dopo l'approvazione parlamentare del divorzio nel 1970, di rassicurare la DC e il Vaticano per giungere finalmente al sospirato accordo tra "masse socialiste, comuniste e cattoliche". Il Vaticano e la DC hanno sottovalutato l'opinione pubblica e le masse dei militanti dei partiti della sinistra, e hanno dovuto affrontare un referendum che essi stessi avevano imposto come "arma di ricatto" concordataria.

Si chiede quindi a questi partiti di "non ostacolare" l'iniziativa radicale degli otto referendum, ora in corso. Se questo dovesse malauguratamente accadere, verranno presentate altre richieste di referendum, tra cui quella sul finanziamento pubblico ai partiti.

(LIBERAZIONE, 13 maggio 1974)

Occorre sostenere e potenziare la forza contrattuale della sinistra, la mobilitazione popolare. Per questo, PCI e PSI non possono più ostacolare l'iniziativa radicale. Raccolte le cinquecentomila firme, appoggeremmo anche soluzioni, in Parlamento, che possano fare superare la necessità di tenere i referendum.

***

Non s'era ancora spenta l'eco della vittoria parlamentare, il 2 dicembre 1970, con l'approvazione della legge Fortuna, e già - unanimi, senza eccezioni - tutti i leader della sinistra, tutti i parlamentari che pure avevano collaborato con la LID per giungere a quel risultato, si affrettavano a fornire alla DC attestati di democraticità e riconoscimenti di moderazione e di correttezza . Era una operazione sbagliata e menzognera: la DC aveva condotto in Parlamento una lotta sleale, antidemocratica, senza esclusione di colpi. Cominciavano le grandi illusioni e i grandi errori che dovevano proseguire con gli anni persi a screditare, oggettivamente, la legge appena votata, fino a rendersi addirittura promotori del suo »superamento , pur di »scongiurare il referendum.

Ma l'unica seria iniziativa presa in quella direzione fu nostra e fu rifiutata dai vertici di quei partiti: una legge di interpretazione costituzionale, con la quale si dichiaravano non sottoponibili a referendum leggi concernenti diritti della coscienza e libertà fondamentali della persona, firmata da settanta parlamentari laici su iniziativa della LID e del PR, fu violentemente respinta, non fu nemmeno presa in considerazione. Per non disturbare i colloqui con la DC e con le forze clericali.

I parlamentari che ci appoggiarono in quella occasione furono puniti: da Fausto Gullo e Scalfari ad Albani, non tornarono nel nuovo Parlamento.

Si scelse una strada diversa. Già all'inizio di dicembre, per settimane, i compagni comunisti moltiplicarono gli inviti, fino all'appello finale, ed esplicito, di Enrico Berlinguer in un comizio a Torino all'inizio del 1971, per un accordo generale con Vaticano e DC sul Concordato, sul diritto di famiglia, su tutto il tradizionale contenzioso tra forze laiche e clericali in questo paese. Il leader comunista assicurò esplicitamente alla chiesa che i soliti estremisti non sarebbero più stati messi in condizione di riproporre iniziative come quella del divorzio, con gli immancabili momenti di scontro e di polemiche fra forze »socialiste, comuniste e cattoliche .

Resi ancor più arroganti dalla debolezza che sospettavano in tali prese di posizione, i clericali risposero nel modo da noi previsto. Dopo poche settimane avevano già fornito a Gabrio Lombardi, di per sé incapace di mobilitare diecimila persone, il milione e mezzo di firme raccolte nelle parrocchie e negli ospedali per la richiesta di referendum.

Da allora il Vaticano e DC hanno commesso un solo errore: avevano sottovalutato il peso dell'opinione pubblica e delle masse di militanti nei partiti della sinistra parlamentare; pensando che i vertici laici fossero disposti e disponibili per concessioni di principio ancora maggiori di quelli inclusi nella proposta Carettoni, si son trovati a dover realmente affrontare quel referendum che avevano invece convocato come arma di ricatto per un'abrogazione parlamentare della legge Fortuna e per strappare una conferma (o revisione) dei patti lateranensi.

Non vorremmo ora che la storia si ripetesse. Ci auguriamo che Enrico Berlinguer non torni immediatamente alla carica, proponendo nei prossimi giorni e settimane nuovi più gravi compromessi specifici sui temi dei diritti civili e sui rapporti fra Stato e chiesa. Ci auguriamo che, con De Martino e Mancini, con La Malfa e Saragat, egli non abbia più paura della vittoria riportata, ma si ponga il problema di come usare della forza democratica e laica che il paese ha espresso.

Che lo vogliano o no i nostri leaders democratici, i problemi sul tappeto, storicamente inevitabili, sono proprio quelli messi in rilievo dall'iniziativa degli otto referendum da noi proposti e per i quali entro giugno bisognerà aver raggiunto almeno cinquecentomila firme legalizzate.

Noi chiediamo pubblicamente e formalmente, per avere una risposta, che i partiti della sinistra non ostacolino questa iniziativa, non cerchino di impedire ai propri militanti, alle forze democratiche che vi sono impegnate, di parteciparvi e di sostenerla.

Noi non vogliamo giungere ad ogni costo ad avere otto referendum contemporanei, nella prossima primavera. Se la avvenuta richiesta di queste consultazioni si mostrasse da sola capace di aumentare la forza contrattuale della sinistra tradizionale sui temi fondamentali, sui quali da trent'anni essi non riescono a convincere la DC ad un sostanziale adeguamento alle esigenze costituzionali e democratiche, appoggeremmo anche noi soluzioni parlamentari atte a superare la necessità della tenuta dei corrispondenti referendum.

Il primo effetto che ci proponiamo con questa iniziativa è proprio quello di rafforzare la potenzialità democratica delle istituzioni, ed in primo luogo del Parlamento. La crisi della democrazia italiana non è certo dovuta ad Almirante o alla Brigate Rosse: è la crisi inevitabile conseguente al suo svuotamento e all'opposizione trentennale della DC all'attuazione effettiva della Costituzione ed allo sviluppo del paese nello spirito di questa Carta fondamentale, la cui lettera è ormai chiaramente marcata e limitata dal tempo passato e dall'avvenuta trasformazione della nostra società.

Chiunque voglia davvero salvare dall'attuale degenerazione della Repubblica democratica in un nuovo Stato Corporativo la nostra società, candidare la sinistra al governo del Paese non può prescindere dalla necessità di un salto qualitativo immediato della partecipazione popolare allo scontro ed al confronto politico. Una sinistra che continuasse a ritenere di poter giungere a realizzare una seria politica riformatrice senza questo sostegno, senza far fiducia alle masse dei lavoratori, tornerebbe ben presto ad essere perdente.

Noi non chiediamo al Pci ed al Psi di far proprie iniziative così nuove e diverse dai loro tradizionali metodi di lotta politica.

Chiediamo solo loro di non accettare di fungere oltre da forze di polizia del regime contro ogni iniziativa di nuova sinistra, per pacifica, legale e legalitaria, costituzionale che sia nei suoi metodi e nei suoi obiettivi.

Altrimenti è forse possibile che questa volta perderemo, noi che finora mai ci siamo impegnati senza raggiungere i nostri obiettivi, senza vincere. Forse. Ma non prima di aver dato fuoco a tutte le polveri. Non prima di quel 30 settembre che è la data tecnica, ma che siamo disposti a far divenire anche data politica, oltre la quale non sarà più possibile presentare regolari richieste di referendum per la prossima primavera. E nel frattempo, quanto più difficile diverrà lo scontro e l'iniziativa, tanto meno accetteremo di farci rinchiudere nel ghetto delle risposte limitate alle domande di giustizia maturate nel passato.

Il progetto di referendum diverrà allora sicuramente ancora più ampio e ambizioso: dalla fine di maggio, sarà di nove consultazioni, non più di otto. La legge di finanziamento pubblico dei partiti apparirà ancora più iniqua ed intollerabile, e alienante per la sinistra.

Decine di migliaia di cittadini hanno firmato le nostre richieste, mentre si potenzia l'organizzazione per consentire un rilancio dell'iniziativa. Il Partito Radicale torna a chiedere al Pci ed al Psi di mutare il loro atteggiamento di inimicizia e di ostilità in uno più corretto e positivo.

Non tradire la vittoria del 13 maggio comporta anche questo. Non si torni, insomma, agli errori dell'inverno del 1970.

 
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