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Cicciomessere Roberto - 27 marzo 1975
CHI HA PAURA DEI RADICALI CATTIVI
di Roberto Cicciomessere

SOMMARIO: Nell'ambito della campagna per l'indizione del referendum abrogativo dei tribunali militari patrocinato da "ABC", Cicciomessere scrive che i veri nemici contro cui sono mobilitati gli apparati repressivi e i Servizi militari non sono gli "stranieri" ma gli stessi cittadini italiani che professano idee alternative al potere costituito.

(ABC, 27 marzo 1975)

Le due strade che portano al fortilizio, presidiate da carabinieri in tenuta da campagna, con mitra. I primi turisti tedeschi stupiti dalla presenza nel piccolo paese sulla riva del Garda di centinaia fra poliziotti e carabinieri. Le fotoelettriche che illuminano la caserma 30 maggio fin dalla notte, le sentinelle raddoppiate. Questa era la situazione, domenica scorsa, a Peschiera del Garda dove si trova il famigerato carcere militare del maggiore Orazio Nestorini: una città in stato d'assedio, 2 mila poliziotti fatti affluire da Verona, consegnati tutti i caporali-secondini per 24 ore, i tiratori scelti sugli spalti. Il Sid aveva avuto notizie di un piano delle Brigate rosse per far evadere i detenuti? No. Semplicemente qualche maresciallo particolarmente zelante aveva saputo dai colloqui e dalle lettere degli obiettori detenuti che il partito radicale e la Lega degli obiettori di coscienza aveva deciso di organizzare una manifestazione a Peschiera per protestare contro l'incriminazione dell'obiettore Dalma

zio Bertulessi e di Poletti per insubordinazione nei confronti di alcuni secondini. L'informazione era in effetti giusta ma Nestorini non aveva potuto sapere che, in seguito al proscioglimento in istruttoria di Dalmazio, i radicali avevano deciso di rinviare la manifestazione.

Mura degli austriaci

Ma ancor oggi, dopo la prima, un po' cattiva, soddisfazione per aver scomodato l'apparato repressivo dello Stato, tanti ufficiali che nervosamente avranno aspettato fino a sera inutilmente di potersi accanire contro gli straccioni-antimilitaristi-senza patria quali noi siamo, ci siamo chiesti perché alcune migliaia di giovani poliziotti sono stati costretti a duri trasferimenti, ad attendere per ore, nei camion, qualche centinaio forse di nonviolenti, radicali che certamente non avrebbero mai potuto minacciare la sicurezza del carcere già abbondantemente difeso da altissime mura costruite dagli austriaci nell'Ottocento e circondato per due terzi dal lago di Garda. La risposta non può che essere una sola: i veri "nemici" contro i quali i generali prevedono di dover combattere la loro guerra siamo noi ed i detenuti militari e non i russi o i cinesi o gli austriaci. I servizi segreti sono da sempre mobilitati non a scoprire le spie nemiche ma a raccogliere quintali d'informazioni sui cittadini di sinistra, natu

ralmente ritenuti pericolosi eversori del regime costituito, le carceri militari non sono frequentate dai golpisti o dagli agenti nemici ma da migliaia di giovani che in qualche modo hanno "obiettato" contro l'ordine militare. E per questo era perfettamente giustificabile la mobilitazione poliziesca di domenica scorsa a Peschiera contro chi avrebbe voluto minacciare l'istituzione che garantisce la funzionalità dell'esercito contro il "nemico interno" e cioè il proletario, il cittadino comunque che lotta per la liberazione della dittatura ormai trentennale della Democrazia cristiana.

Abbiamo quindi imboccato la strada giusta. La campagna che con gli amici di "ABC" abbiamo aperto per far entrare veramente la costituzione in caserma ha centrato una reale ed insanabile contraddizione della struttura militare: oggi la sola richiesta ed affermazione di legalità repubblicana dove il sopruso e la giustizia sommaria regolano la vita di 300 mila cittadini in divisa è rivoluzionaria. Ma questa proposta di lavoro sembra dare fastidio non solo ai generali ma anche ad alcuni, per fortuna pochi, compagni seri, puri, forti e settari che coltivano pateticamente il mito assoluto della clandestinità, dell'organizzazione carbonara dei nuclei di soldati nelle caserme. In una riunione del "coordinamento delle caserme romane" ci siamo sentiti dire da alcune persone che "i soldati non possono esporsi in iniziative non garantite da una sufficiente copertura politica". In poche parole secondo costoro seimila compagni devono continuare ogni anno ad entrare nei lager militari e d'altra parte la maggioranza dei sol

dati deve essere privata di uno strumento legale di iniziativa politica per assicurare l'esistenza di microorganizzazioni oggi inadeguate per un lavoro di massa. Non vorremmo che si ripetesse la situazione dello scorso anno quando, dopo una prima adesione dei movimenti extra-parlamentari al progetto degli 8 referendum del partito radicale, con l'alibi della campagna per il referendum sul divorzio tutti, ad eccezione di Avanguardia Operaia, si dissociarono con ridicole motivazioni provocando il fallimento dell'iniziativa referendaria.

Dobbiamo essere perciò chiari, soprattutto nei confronti dei tanti compagni che da anni all'interno e all'esterno dell'istituzione militare hanno stimolato, organizzato la protesta dei soldati contro le indegne condizioni di vita delle nostre caserme; hanno garantito la controinformazione militante sull'utilizzazione eversiva e golpista delle FF.AA; hanno creato occasioni di dibattito fra molti soldati sull'ideologia militare e quindi impedito in molte situazioni il condizionamento culturale, ideale, nei riflessi e comportamenti sociali dell'istituzione sui singoli e messo in crisi una "scuola di vita" che vorrebbe formare soldati e cittadini ubbidienti, senza testa, che dicono sempre e solo "signorsì" al superiore, al padrone, al capufficio, al prete, alla Dc.

Uscire dalla clandestinità

Dobbiamo affermare chiaramente che è necessario uscire dalla clandestinità e fornire a tutti i soldati, graduati, ufficiali gli strumenti e le occasioni per una lotta di liberazione che nelle stesso tempo sia di massa, popolare, democratica e proprio per gli strumenti che usa, gestibile alla luce del sole. Riproporre schemi e strategie che avevano una ragione 50 anni fa in una diversa situazione sociale ed in un esercito che occupava molti anni di vita del cittadino è semplicemente folle. Così coltivare l'utopia ormai fumettistica dell'utilizzazione rivoluzionaria dell'esercito in previsione dell'ora "x". Il referendum, dobbiamo ripeterlo, è lo strumento che consente invece a tutti i soldati di partecipazione e gestire in prima persona e senza deleghe la lotta contro "l'ingiustizia militare". Ancora una volta "armati di nonviolenza" possiamo disarmare i superiori del codice penale e degli altri strumenti repressivi. La verifica, come sempre, della correttezza di questa ipotesi di lavoro verrà dai soldati, da

i lettori, dal numero delle cartoline raccolte dentro e fuori dalle caserme, fra i cittadini che non intendono relegare la rabbia contro la struttura violenta dell'esercito ai soli 15 mesi di naja.

 
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