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Pannella Marco - 1 maggio 1975
Non vogliamo somigliare ai nostri nemici
Marco Pannella

SOMMARIO: Nel pieno della campagna per la raccolta delle firme per il referendum sull'aborto, il Governo tenta di boicottare la materiale possibilità di raccogliere le firme dei cittadini vietando, in coincidenza con le elezioni amministrative e regionali, l'utilizzazione dei punti di raccolta nelle strade ed impedendo ai cancellieri di uscire dai tribunali. Il repubblicano Oronzo Reale è il titolare del dicastero della giustizia. Dalle colonne del settimanale L'Espresso Marco Pannella denuncia queste manovre aprendo una dura polemica nei confronti del Partito Repubblicano Italiano e del quotidiano La Stampa.

(L'Espresso - Maggio 1975 da " Marco Pannella - Scritti e discorsi - 1959-1980", editrice Gammalibri, gennaio 1982)

L'ignobile mozione votata dal Consiglio nazionale del PRI con la quale si legittima il colpo di forza contro il referendum e la Costituzione compiuto dal ministro dell'Interno, fa bene il paio con l'esaltata apologia del progetto fanfaniano di aggravamento delle norme fasciste in tema di ordine pubblico.

Randolfo Pacciardi può finalmente tornare a essere sereno: attraverso l'opera di Oronzo Reale e di Oscar Mammì, gli è reso il carattere di ispiratore e guida del PRI. Ugo la Malfa, che confessa ad alta voce i suoi interiori tormenti, sbaglia indirizzo e destinatari quando lamenta e maledice l'"odio" ideologico che le giovani generazioni sembrano portare al regime e a questi suoi portabandiera ipocriti di democrazia. Dinanzi allo spettacolo che dà il suo partito, farebbe meglio, come Saragat, a rimproverare ancora una volta il destino cinico e baro (se preferisce non riconoscere i propri errori) per avergli dato successori indegni.

Era già accaduto, nella storia italiana, che i repubblicani dovessero pagare un duro scotto di collaborazioni al fascismo. E' quanto sta di nuovo accadendo. Come allora, sono i collaborazionisti che dettano legge, cui si dà dignità di notizia, di esistenza. Gli altri, i rappresentanti della sinistra repubblicana, non devono invece esistere per l'opinione pubblica. Sulla stampa non un rigo, infatti, all'opposizione manifestata in Consiglio nazionale da Franco De Cataldo, da Gangi, da Mazzotti, da Lombardi; non un accenno alle condizioni del voto, al rifiuto di dare la parola al rappresentanti della Federazione giovanile repubblicana, pur così "normalizzata" al suo vertice, all'impegno dei giovani repubblicani romani.

Così, per i contesto nel quale obbligatoriamente deve essere inquadrata, la severa e difficile azione di Visentini scade da manifestazione di coraggio e di senso dello Stato a componente obbligata di una politica complessivamente autoritaria, corrotta, classista, subalterna ai disegni fanfaniani. Poveri "socialdemocratici", poveri "liberali" italiani! Hanno impegnato ormai una vita usando e tradendo il loro patrimonio ideale per contestare alla DC qualche frangia elettorale di destra e di estrema sinistra, ed ecco che un piccolo esercito di ministri, sottosegretari, presidenti e vicepresidenti di gruppo, giornalisti più o meno cefisiani o montanelliani, tutti del PRI, in poche settimane, si candidano brillantemente e meritatamente a gestori di questa operazione. Da Roma, dalla Sicilia, ancor più dalla Romagna, amici repubblicani ci dicono di volersi dimettere, lo stanno già facendo. Credo che sbaglino: continuino, invece, a lottare. I fatti daranno loro ragione, il PRI non potrà a lungo continuare a tradirsi

e tradire, senza rendersi conto che sta percorrendo la strada del suicidio.

Queste polemiche dure non garbano alla direzione della Stampa (vedi editoriale di domenica 4). Saremmo responsabili di un indiscriminato "assalto alla DC", "goliardico e parolaio"; l'esaltazione democraticistica ci avrebbe dato alla testa. Esagereremmo, diremmo il falso, quando denunciamo il fatto che la DC "ricorre apertamente alla strage delle istituzioni". Atteniamoci, nel rispondergli, al tema specifico di questa pagina: il referendum sull'aborto. Per colpirlo, il governo compie un atto manifesto di violenza anticostituzionale: l'umanità dei giuristi che fino a oggi si sono pronunciati lo conferma; lo riconoscono pubblicamente autorevoli democristiani dorotei, perfino giuristi di estrema destra, pur forsennatamente ostili al referendum e alla nostra posizione sull'aborto.

A Trieste, a Pisa, a Firenze, in queste ore, si passa alla fase successiva dell'operazione: vengono proibiti tavoli di raccolta, diffusione di volantini, propaganda murale, con il pretesto della campagna elettorale. Gui abroga i segretari comunali, Reale i cancellieri; i prefetti e i sindaci abrogano ogni altra possibilità di raccolta pubblica di firme. Facciamo denunce regolari alla magistratura, al presidente della Repubblica garante della Costituzione clandestina, ci si eccita alla rivolta, alla violenza. Non siamo disposti a pagare questo scotto. Non vogliamo somigliare ai nostri nemici, nemmeno per difendere i nostri diritti costituzionali, quelli che la loro stessa legalità ci conferisce.

La Stampa, che pontifica di nuovo in "difesa della democrazia", è costretta a rinunciare ormai a qualsiasi collaborazione e copertura dei suoi pur autorevoli giuristi. Sono divenuti "radicali" pure loro! Perché Giovanni Conso possa esprimersi, deve partecipare a un dibattito esterno per avere diritto a una frase in "cronaca di Torino" contro il progetto Reale. Di Giovanni Bovio, in verità, non ce ne sono ancora molti; e se l'è già preso per la difesa del regime il buon Ottone, ora zelota preelettorale di Fanfani, come lo era ieri il povero Angiolillo a Roma. Quando s'avvicina l'ora del voto, quella della ricreazione "democratica" - come ogni altra - finisce. Un fischio e tutti, obbedienti, tornano al loro squallido compito di regime. Orbene, La Stampa non ha speso neppure un rigo per condannare, sia pur blandamente, l'operazione violenta in corso contro il referendum, in difesa dell'aborto clandestino di massa, per vanificare un diritto-dovere costituzionale.

Tornerò allora a dire a Carlo Casalegno e Arrigo Levi, al loro "presidente" Gianni Agnelli, che dissennati sono loro, che non comprendono quale carico di violenza, di distruzione, di antidemocrazia è nel sopruso, nell'ottusa arroganza del potere. Dissennati, naturalmente, se dobbiamo tenerli per democratici e liberali, quali amano professarsi o contrabbandarsi.

Perché se fosse vero, invece, che certe tradizioni familiari e aziendali della Fiat e dei suoi dipendenti tornano, come pare, a prevalere sulle volontà e velleità più o meno "giscardiane" o "socialdemocratiche", tutto allora sarebbe ineccepibile. Ma facciano allora il favore, lor signori, di non romperci gli zebedei con le loro querimonie "civili" e "moderate". Passino alla cassa, tornino alla censura, riscuotano il loro prezzo di mercato, il laticlavio l'uno, un aumento gli altri, e ci lascino pure alla nostra follia.

Ma non dimentichiamo che è questa nostra pazzia che ha reso possibile il 13 maggio del 1974 e che rese poi folle persino Ugo la Malfa, tanto da fargli scrivere, allora, che ci sarebbero voluti non un altro, ma "mille altri" referendum per salvare l'Italia.

Siamo arrivati a 180.000 firme. Sono maledettamente poche di fronte all'offensiva che si sta scatenando, al fascismo governativo. Amici, lettori dell'Espresso, e, ancor più, "militanti rivoluzionari" di AO, PDUP, LC eccetera, dove siete?

 
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