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Pannella Marco - 30 agosto 1976
QUELL'ESARCHIA E' EXTRAPARLAMENTARE
di Marco Pannella

SOMMARIO: Marco Pannella definisce "esarchia extraparlamentare" la maggioranza composta da DC, PLI, PSDI, PRI, PSI e PCI, rilevando come, anche prima che la Camera dei deputati fosse insediata, tali partiti abbiano provveduto alla lottizzazione delle responsabilità e delle funzioni parlamentari. La stessa interpretazione del regolamento della Camera ha praticamente impedito che nei verbali restasse traccia di almeno un dubbio sulla liceità degli accordi che hanno portato alla citata lottizzazione.

(PROVA RADICALE, luglio/agosto 1976)

Ben prima di quanto non sperassimo (e anche, d'altra parte, temessimo) è già in atto in Parlamento uno scontro fra il nostro gruppo, le maggioranze che lo governano, le minoranze che ne vivono passivamente le vicende. E' purtroppo uno scontro circoscritto alla Camera: l'assenza di forze a sinistra del PCI (di cui porta intera la responsabilità il gruppo dirigente di Democrazia Proletaria) lascia mano libera alle pratiche correnti nel Senato.

Non pensavamo di dover subito difendere con la nostra dignità e i nostri diritti quelli del Parlamento. Ma quando i partiti della nuova esarchia (DC-PLI-PSDI-PRI-PSI-PCI) extra-parlamentare, riuniti nella sede del gruppo DC, prima ancora che la Camera fosse insediata, non solo procedettero alla più sfacciata lottizzazione delle responsabilità e delle funzioni parlamentari, ma giunsero a comunicarne i termini alla opinione pubblica, attraverso la RAI-TV e la stampa, già non avevamo più altra scelta che la protesta e la lotta.

Non erano ancora giunti i telegrammi agli eletti dalle prefetture e già i deputati si vedevano così ordinati i comportamenti e i voti. Senza un minimo di verecondia li si indicava all'opinione pubblica come dei "deputati-squillo", tutti senza eccezione. Che bisogno c'era di convocarci? Che bisogno c'è del Parlamento? Una ventina di Signori, di potenti del Palazzo e di loro clienti decidono tutto fra loro. Al Gran Consiglio del Partito Nazionale Fascista, che decideva (non sempre, riconosciamolo) cosa si dovesse fare o non fare nella Camera di allora (detta dei Fasci e delle Corporazioni), s'è ora sostituito il Gran Consiglio di sei correnti partitiche che assieme, unite in una sorta di monopartitismo imperfetto, dettano ormai temi, svolgimenti, ore di lavoro e di ricreazione, l'ordine dei gesti come in una catena di montaggio, d'un migliaio di parlamentari-bidone? Avremmo voluto che il Parlamento stesso fosse investito di un dibattito su questo fatto che in modo così clamoroso ne condizionava la vita, ne det

tava i comportamenti, ne inquinava vistosamente i processi formativi di volontà e di leggi.

A questo punto ci siamo accorti che non solamente i regolamenti parlamentari, ma ancor più la loro interpretazione, era omogenea alla situazione che intendevamo e intendiamo denunciare e superare. Non è praticamente consentito, per prassi, al deputato di intervenire, non foss'altro che per notazioni procedurali, per richiami al regolamento, proprio nei momenti in cui questi possono rivelarsi più necessari e utili. Si è giunti a sostenere - e reiteratamente - che in alcuni momenti (oltre a quelli nei quali si sta procedendo a una votazione) sia possibile al Presidente negare a un parlamentare anche di chiedere la parola e di motivare la sua richiesta, magari per vedersela poi negare o togliere.

Si sono così difesi gli accordi extraparlamentari dei sei partiti fino all'ultimo millimetro di attuazione, tentando di impedire che nei verbali stessi della Camera restasse traccia non dico di una protesta ma di un dubbio sulla loro liceità o correttezza.

Si è andati avanti "interpretando" il regolamento, che letteralmente prescrive che dell'Ufficio di Presidenza facciano parte "tutti i gruppi parlamentari", in modo tale da escludere il gruppo misto, quello demoproletario e quello radicale. E per giustificare l'inserimento del PRI, del PLI e del PSDI che, secondo l'incredibile interpretazione accampata, non avevano nemmeno loro titoli per parteciparvi, affermando che tali gruppi non v'erano e sono per virtù propria ma in quanto DC, PCI, MSI e PSI avevano benevolmente ceduto qualche posto di loro spettanza.

E', insomma, la sagra delle lottizzazioni. Gruppo misto, liberale, demoproletario e radicale sono stati così esclusi anche dalle tre "giunte" istituzionali: del regolamento, delle autorizzazioni a procedere, delle elezioni. Così, probabilmente, i giochetti di potere tradizionali possono meglio esser proseguiti senza i rischi di un nostro controllo.

Su questi problemi, in quattro sedute, a parte noi non un solo deputato di un solo gruppo ha ritenuto di dover interloquire. I processi verbali testimoniano che solamente il gruppo radicale ha ogni volta cercato di intervenire per correggere la situazione, per indurre alla riflessione, per esprimere in qualche modo una qualche forma di dissenso.

E sullo scandaloso rifiuto del governo di rispondere alle interrogazioni e interpellanze sull'assassinio del giudice Occorsio, non abbiamo avuto altra reazione che quella dell'on. Bozzi, del PLI, oltre alla nostra.

Ci duole che questa serie di fatti ci abbia portato a posizioni polemiche proprio nei confronti del Presidente Ingrao (oltre che, nella prima seduta, dell'on. Jotti). Chi ci conosce sa che non siamo soliti usare cortesie e riguardi di maniera. Non abbiamo mai praticato e men che mai praticheremo in Parlamento forme di ipocrisia verso amici o avversari. Speriamo quindi di esser creduti da chi legge se diciamo che riteniamo Ingrao, per le sue qualità umane e civili, per il suo rigore morale e la sua severa tolleranza fra i pochissimi parlamentari italiani davvero atti a dare prestigio, oltre che riceverne, alla carica cui è stato eletto.

Ci auguriamo che gli sia consentito di darne presto la prova. Noi non siamo affatto fieri di alcune supplenze che i fatti ci chiedono di svolgere, né le sollecitiamo. V'è un oceano di cose che ci attendono e che urgono, tante da rischiare di farci naufragare. Ma non possiamo né vogliamo perdere con il rispetto di noi stessi anche quello di regole e istituzioni che riteniamo debbano finalmente affermarsi e crescere, anziché corrompersi e autodistruggersi com'è in parte già accaduto in questi trent'anni.

Sarà un compito duro, per noi otto del gruppo radicale, non solamente per i quattro nominalmente in carica. Dovremo badare a non farci chiudere e impantanare nella palude. Dovremo spesso, anche fisicamente, uscirne come abbiamo fatto sin dalla prima seduta, per ritrovare nelle piazze e sui marciapiedi la forza democratica che è la nostra.

Ma è anche un compito che nessun radicale deve delegarci, come nessun elettore. Come negli scorsi anni, e ancor più, è ancora da "fuori" che l'uso democratico e costituzionale del Parlamento può e dev'essere conquistato. Se il PR e tutti i compagni che ci hanno eletto facessero di noi e delle nostre funzioni, delle lotte che riusciremo a condurre, un alibi per il loro disimpegno verso le istituzioni anziché motivo e strumento per battaglie più ampie e dure, noi saremmo votati alla sconfitta e il PR, di nuovo, alla scomparsa.

 
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