Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
sab 23 nov. 2024
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Archivio Partito radicale
Zeno Vincenzo - 30 ottobre 1976
IL RAPPORTO HEILBRON SULLA TUTELA GIURIDICA DELLA DONNA VITTIMA DI VIOLENZA
di Vincenzo Zeno

SOMMARIO: Vincenzo Zeno illustra il rapporto Heilbron sulla tutela giuridica della donna vittima di violenza sessuale, le cui indicazioni di massima sono raccolte da un progetto di legge laburista in Inghilterra. La prima novità che emerge dal citato rapporto è la rilevanza penale della "noncuranza": l'accusa deve dimostrare che l'imputato aveva intenzione di avere un rapporto sessuale con la donna o conscio che ella non era consenziente, o noncurante del suo consenso. Critiche si appuntano anche su una procedura giudiziaria che sottopone la vittima ad inchieste, interrogatori inutili (anche sulla propria vita intima) e spiacevoli esami medici. Altre proposte importanti della Commissione Heilbron sono: l'irrilevanza giuridica della vita sessuale antecedente della presunta vittima; l'anonimato della stessa; la composizione della giuria in modo tale che metà dei giudici siano donne. Zeno rileva, infine, l'esistenza di un vuoto relativo ai casi di violenza carnale da parte del marito o di un parente.

(PROVA RADICALE, ottobre 1976)

Un contributo empirico, quindi utile, al dibattito sulla violenza contro la donna viene ora dall'Inghilterra. La Camera dei Comuni si appresta a discutere un progetto di legge presentato da deputati laburisti per aggiornare la legislazione contro la violenza sessuale. E' un passo avanti anche rispetto all'esperienza di grande importanza dei "rape-centers", che danno assistenza medica, legale e psicologica alle vittime di stupro; come accade ogni volta che movimenti dal basso e opinione pubblica provocano un adeguamento delle istituzioni alle esigenze della società.

Il progetto di legge laburista accoglie le indicazioni di massima della commissione governativa presieduta da Rose Heilbron, giudice che nel dicembre scorso ha presentato un rapporto sullo stupro dopo avere, in quattro mesi, ascoltato testimoni e vagliato relazioni e analisi del problema. La commissione era stata istituita per studiare un aggiornamento del "Sexual Offences Act" del '56, ormai inadeguato all'attuale situazione inglese. E' al rapporto Heilbron che ci rifaremo, trascurando le indicazioni più tecniche del progetto di legge laburista, inapplicabili alla legislazione italiana.

Anche se si limita ad alcuni aspetti del problema, la commissione Heilbron è esemplare per la chiarezza e la metodologia adottata: basta pensare alla rapidità dei suoi lavori, alla sua snellezza (5 membri: pensate alle obese commissioni d'inchiesta italiane, parlamentari e non). Il suo obiettivo è ben definito: individuare la migliore tutela giuridica per la donna vittima di un'aggressione sessuale.

In appena 40 pagine, 200 paragrafi, il rapporto analizza cinque punti: la legislazione in generale, prove del fatto, vita sessuale della donna, anonimato, composizione della giuria. Il rapporto chiarisce subito che questo tipo di reato offre particolari difficoltà perché riguarda un atto, il coito, che di per sé non è né criminoso né illegale, anzi, può essere desiderabile e piacevole. Diviene criminoso in particolari circostanze che però possono essere interpretate dalle due parti in maniera totalmente opposta. Può essere quindi impossibile arrivare a una giusta interpretazione. Inoltre, benché in una vicenda giudiziaria è l'imputato ad andare sotto processo, c'è il rischio che questo divenga, nei fatti, un processo alla presunta vittima. La quale vittima, a causa dell'attuale società, può subire dal processo conseguenze imbarazzanti o persino dannose.

Il rapporto esamina per quali elementi il coito si trasforma in stupro e conclude che non occorrono necessariamente segni di violenza o l'ipotesi della resistenza: "Ciò che l'accusa deve dimostrare per la condanna dell'imputato è a) che il coito sia illegale, b) che manchi il consenso della donna... L'elemento psicologico che l'accusa deve inoltre dimostrare è l'intenzione dell'imputato di avere un rapporto sessuale con la donna o sapendo che essa non vi consente o noncurante del suo consenso o meno". Questo è il punto nuovo: la rilevanza penale della "noncuranza" così abituale in una società dove la donna è considerata in primo luogo un oggetto sessuale senza volontà o di diritti di esprimerla.

Ma cosa accade se l'imputato sostiene di aver "creduto" che la donna acconsentisse? E' questo un motivo sufficiente per scagionarlo dall'accusa? Secondo il rapporto non è possibile fissare i parametri di "motivi ragionevoli"; spetterà alla giuria, caso per caso, vagliare la fondatezza o meno dei motivi che, d'altronde, sono solo uno e non l'unico degli elementi probatori. Nel raccomandare una precisa formulazione legislativa su questo punto, il rapporto così si pronuncia: la legge dovrebbe "stabilire che la giuria deve 1) esaminare se l'imputato al momento in cui avvenne il coito credeva che la donna fosse consenziente; 2) mettere in chiaro che, mentre la legge non richiede che tale credenza si fondi su motivi ragionevoli, la presenza o assenza di tali motivi è una considerazione di rilievo alla quale la giuria dovrebbe prestare attenzione assieme ad ogni altra prova per stabilire se l'imputato realmente ``credeva''".

Il rapporto ricorda anche che le critiche all'attuale legge sullo stupro si rivolgono soprattutto alla procedura giudiziaria. L'atteggiamento verso la donna vittima non è comprensivo come dovrebbe essere, la stessa procedura penale per l'acquisizione delle prove e la prassi nelle aule giudiziarie la sottopongono a inchieste, interrogatori non pertinenti, inutili e dolorosi, a lunghe trafile che vanno dall'interrogatorio di polizia a quello del medico legale, dagli spiacevoli esami medici a visite ginecologiche, a interrogatori sulla propria vita intima proprio nel momento in cui la donna si trova in stato di choc, è costretta a passare molte ore al commissariato. Al processo, che si svolgerà dopo un notevole lasso di tempo, deve rivivere l'intera spiacevole e traumatica esperienza. In molti casi sarà interrogata a lungo.

La commissione ha esaminato dettagliatamente i problemi relativi allo svolgimento del processo; è il caso di ricordare la sostanziale differenza del sistema processuale britannico da quello italiano che si basa moltissimo sugli interrogatori in aula degli imputati e dei testi sulla giuria; conseguentemente si dilunga su quelli che dovrebbero essere i diritti dell'accusa e della difesa nei processi per stupro. Riporteremo, quindi, solo alcune delle considerazioni di carattere generale che possono valere per ogni paese. Innanzitutto, fino a che punto è lecito indagare nella vita sessuale della presunta vittima? "Siamo giunti alla conclusione che la vita sessuale antecedente della presunta vittima con terze persone è di nessuna importanza rispetto alla credibilità dell'accusa e solo raramente potrà essere pertinente ai problemi posti alla giuria. Nella società contemporanea, relazioni sessuali extramatrimoniali, sia continua, che di carattere occasionale, sono abbastanza diffuse e pare convenuto oggi che relazi

oni sessuali di una donna con partner di sua scelta non sono né indice di infedeltà, né di una generale disposizione al consenso. Esiste, a nostro parere, un divario fra i concetti alla base dell'attuale legislazione e quelle considerazioni e quegli atteggiamenti pubblici che esistono ora e dovrebbero influenzare la legge. Ne concludiamo che una restrizione di carattere generale deve essere imposta all'esposizione della vita sessuale della vittima e questo può essere ottenuto solo con una regolamentazione diretta della questione".

Alcune fra le proposte più interessanti della Commissione Heilbron sono quelle riguardanti l'anonimato della vittima: già presso alcuni tribunali è invalsa l'abitudine di invitare la stampa a non rendere noto il nome della donna e alcuni giornali spontaneamente si sono adeguati a questa prassi. Ma si tratta ancora di eccezioni e la donna che ricorre alla polizia non può chiedere l'anonimato, né quella può garantirglielo. La proposta di rendere questa disposizione obbligatoria non si basa solo su considerazioni umanitarie ma anche "per incoraggiare le vittime ad uscire allo scoperto e a fornire quelle prove che sono necessarie per condannare i colpevoli". Il rapporto esamina il problema dell'anonimato non solo dal punto di vista della vittima ma anche da quello dell'interesse pubblico che, coincidendo con quello della donna, infine deve prevalere. Esso sostiene anche che nome e identità della vittima non sono generalmente importanti per trovare testimoni e anche in casi di erronea identificazione il problema

da accertare è l'identità dell'accusato piuttosto che quello della vittima.

Il rapporto propone che sia facoltà del giudice, qualora vi siano più che fondati motivi ai fini del perseguimento della giustizia, autorizzare la pubblicità del nome della vittima; ma questo solo durante la fase istruttoria e non dopo l'inizio del processo. In ogni altro caso l'anonimato dev'essere la regola dalla denuncia alla polizia fino alla sentenza del tribunale. Il rapporto propone infine che la violazione dell'anonimato sia punito penalmente.

L'ultimo problema affrontato dalla commissione Heilbron è quello della giuria: il nocciolo dell'argomentazione è che la procedura per l'estrazione a sorte dei giurati garantisce una composizione adeguata della giuria sotto diversi aspetti ma non per quanto riguarda il sesso. La violenza carnale è un delitto rivolto proprio contro la donna ed è la donna che deve giudicarla. Si propone quindi che venga posto il limite minimo di quattro donne e di quattro uomini su dodici giurati.

A conclusione di questa analisi del rapporto ministeriale si possono fare diverse considerazioni: vi sono innumerevoli suggerimenti di grande importanza che dovrebbero quanto prima essere introdotti nella legislazione italiana; rimane un grosso vuoto, quello relativo ai casi assai frequenti di violenza carnale da parte del marito o di un parente che sono assai comuni ma che a causa dei legami economici, familiari, di costume che legano la vittima al suo aggressore quasi mai vengono rivelati e che invece avrebbero bisogno di una legislazione ancora più particolare.

 
Argomenti correlati:
violenza sessuale
stampa questo documento invia questa pagina per mail