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Compagna Francesco - 20 dicembre 1976
Pannella e l'eredità di Mario Pannunzio
di Francesco Compagna

SOMMARIO: Scritto dopo l'attacco a Pannella di Antonio Trombadori (testo n. 3795), che tra l'altro aveva affermato l'estraneità del radicalismo di Pannella rispetto alla tradizione radicale italiana, l'articolo ammette che Pannella si "ricollega per certi aspetti" al filone del "Mondo" e di Pannunzio anche se non puo' rivendicarne l'esclusiva (mentre per parte sua l'articolista in quella eredità si riconosce "per intero"). Del resto, Pannella fa esplicitamente riferimento, quale suo maestro, a Ernesto Rossi; ebbene, senza disconoscere i meriti di Ernesto Rossi e degli altri "problemisti" del "Mondo", i veri interlocutori di Pannunzio nel "discorso sul metodo" furono Carlo Antoni e Vittorio De Caprariis. Altre parentele Pannunzio poteva riconoscere piuttosto in Ugo La Malfa, nelle cui più recenti polemiche Campagna vede le vere discendenze dal direttore del "Mondo". In La Malfa si ritrovano le vere tracce dell'insegnamento di Silvio Spaventa e delle battaglie politiche di Giovanni Amendola. "Senza dubbio Pan

nella - continua l'articolista - rischia che la vecchia continuità tra la piaga del massimalismo e il suo radicalismo spezzi il filo della continuità (con Pannunzio) cui egli dice di volersi richiamare". La complessita del reale non consente tragitti "in linea retta" né richiami all'"utopia", sia pure di stampo liberale. Bisogna rifarsi, anche nella situazione di "crisi" odierna, alla "concretezza" dei progetti del partito repubblicano e di La Malfa appunto.

(CORRIERE DELLA SERA, 20 dicembre 1976)

Antonello Trombadori, replicando a Marco Pannella, ha scritto che "l'attuale movimento radicaleggiante è del tutto estraneo a quella che fu, ad esempio, la controversia tra i comunisti italiani e Gaetano Salvemini o gli scrittori del ``Mondo''. Da parte sua, Marco Pannella spesso e volentieri si richiama all'eredità del ``Mondo'' di Pannunzio; e specialmente alle polemiche di Rossi e Salvemini che animarono e nobilitarono il settimanale per il quale significativamente il fondatore e direttore aveva scelto la testata del quotidiano a suo tempo fondato e diretto da Giovanni Amendola.

Ritengo di avere qualche titolo per intervenire sulla questione sollevata da Trombadori e di poter contribuire, con una testimonianza, per così dire, alla discussione che Pannella ha aperto su queste colonne, domenica 12 dicembre. E direi anzitutto che Trombadori, quando afferma che la tradizione del radicalismo si è esaurita o è entrata a "far parte del patrimonio ideale di altre forze", ha ragione se contesta a Pannella di rappresentare l'esclusiva di quella tradizione. Posso ammettere però, che anche Pannella si ricolleghi per certi aspetti della sua presenza politica e ideologica alla tradizione del radicalismo. Avrebbe torto, da parte sua, Pannella se richiamandosi alla continuità delle sue battaglie con quelle di Pannunzio, volesse contestare il richiamo di altri a tale continuità secondo una interpretazione diversa dalla sua.

Io, per esempio, mi riconosco per intero nella eredità del ``Mondo'' di Pannunzio, ma non riesco a riconoscermi nel radicalismo pannelliano. E d'altra parte, quando Pannella si richiama all'eredità del ``Mondo'', si richiama, come dicevo, più specificamente ad Ernesto Rossi. Ebbene, io ho già avuto occasione di ricordare in altra sede che per Pannunzio i veri interlocutori del discorso sul metodo furono Carlo Antoni e Vittorio De Caprariis, non Ernesto Rossi e Antonio Cederna. Testimoniando di questo, io non voglio affatto sottovalutare le benemerenze di Rossi e di Cederna, o quelle di altri "problemisti" del "Mondo" di Pannunzio, fra i quali, anzi, con Eugenio Scalfari, potrei annoverare me stesso. Voglio soltanto ricordare che Pannunzio dava importanza preminente e pregiudiziale proprio al discorso sul metodo. La sua parentela ascendente con Croce, e con Tocqueville, era più sentita di quella collaterale con Ernesto Rossi (e di quella discendente con Pannella); e alle parentele ascendenti lo riconducevano

sempre, castigandone le emozioni politiche, il suo storicismo e il discorso sul metodo.

Non solo: di parentele collaterali, Pannunzio ne aveva contratta una molto sentita: quella con Ugo La Malfa. E se io dovessi oggi ravvisare una continuità con la battaglia del ``Mondo'' di Pannunzio, la ravviserei soprattutto con la "polemica economica a sinistra" condotta in questi anni da La Malfa, come sforzo di riflessione sulla moderna società industriale, come discorso sul metodo dello sviluppo di una società democratica. Né credo che ad influenzare questa affermazione, sia la mia posizione di deputato del partito di La Malfa; in quanto lo sono proprio perché ho creduto nel '68 di ravvisare questa continuità in una polemica e in una riflessione che, tra l'altro, costituiscono anche l'aggiornamento della polemica salveminiana sulle "deviazioni oligarchiche del movimento operaio". L'ho creduto nel '68 e l'esperienza mi ha confermato in questo convincimento. D'altra parte, la continuità fra la battaglia del ``Mondo'' di Pannunzio e la polemica economica a sinistra di La Malfa s'intreccia con un'altra cont

inuità, di grande rilevanza etico politica. Proprio Pannella mi parlava nei mesi scorsi di Silvio Spaventa. Ebbene, il convegno di Bologna, organizzato da Camurani, su Giovanni Amendola e la "nuova democrazia", ha dimostrato nei giorni scorsi, con ampiezza di riferimenti, quanto di Spaventa si ritrova arricchito in Amendola e quanto dell'uno e dell'altro si ritrova arricchito in La Malfa.

Potrei, dunque, completare l'affermazione di Trombadori, se e in quanto riferita alla tradizione radicale del ``Mondo''; tale tradizione, intrecciata strettamente con l'altra, che da La Malfa ci riconduce ad Amendola e a Spaventa, e entrata a far parte del patrimonio ideale del PRI. Ma non voglio certo pretendere io esclusive di rappresentanza della tradizione cui credo di potermi richiamare. E allora mi domando: quale continuità è possibile ravvisare da Pannunzio a Pannella? Certo, il filo della continuità è difficile da seguire e da ritrovare quando dal ``Mondo'' di Pannunzio si vuole arrivare a questo radicalismo di Pannella che Trombadori, non senza fondati appigli definisce "una variante degli anni '70 alla vecchia piaga del massimalismo". Senza dubbio Pannella rischia che la continuità fra la vecchia piaga del massimalismo e il suo radicalismo spezzi irrimediabilmente il filo della continuità cui egli dice, non senza sincerità - credo - e politica e sentimentale, di volersi richiamare. Ma perché questo

rischio, contro il quale mi permetto di ammonire Pannella? Perché - mi sembra - il massimalismo socialistico e il radicalismo pannelliano hanno questo in comune, che l'uno e l'altro tendono sbrigativamente alla semplificazione dei problemi che sentono e che pongono scambiando, come scrive Trombadori punti di partenza e punti di arrivo; e soprattutto ritenendo che ognuno di questi punti di arrivo sia raggiungibile attraverso un tragitto in linea retta da percorrere con passo di bersagliere. E allora, quale che sia il credito riscuotibile da Pannella e dal suo radicalismo, tale credito diventa una manifestazione di sconforto nella crisi e non si configura, come vorrebbe, in una indicazione di superamento della crisi.

Altro che tragitti in linea retta! Si tratta invece, di tragitti impervi, da percorrere con il passo dell'alpino (mi scusi il Pannella antimilitarista queste immagini militari). E' comunque, si tratta di considerare nella loro globalità, nella loro contestualità, nella loro gradualità, nelle loro interdipendenze gli obiettivi che ci si propone di raggiungere, quali prima e quali poi, per consentire a tutta la società di progredire civilmente e perciò di eliminare via via squilibri, storture, ingiustizie. Il che non può avvenire (e, anzi, avviene il contrario, che si sommano e si aggravano squilibri, storture e ingiustizie) se si consente lo sfrenamento dei corporativismi: contro i quali Pannella combatte una battaglia sacrosanta, tutta da condividere, nella continuità, niente affatto "strumentale", di quella condotta da Mario Pannunzio ed Ernesto Rossi e nella contiguità, mi sia consentito di aggiungere, di quella lamalfiana per "l'altra Italia". Ma non può avvenire neanche se a sfrenarsi sono le fughe in av

anti; e queste costituiscono una delle più agguerrite tecniche di azione politica cui ricorre il radicalismo pannelliano, che, proprio perciò, smarrisce il senso della continuità e della contiguità di cui dicevo.

Lo so che i radicali adoperano anche il richiamo all'"utopia" nell'accezione che è propria di questo termine in certa moderna letteratura politica di parte liberale: richiamo alla massima tensione della volontà politica di cambiare. Ma io mi richiamo, invece, a quel senso della realtà che mi è stato trasmesso dalla frequentazione dei testi della letteratura meridionalista di parte liberale; e che mi è stato trasmesso insieme con l'insegnamento che, a voler forzare i limiti della realtà, si rischia di precipitare all'indietro invece di andare avanti. E non credo che questo insegnamento abbia posto mai limiti alla tensione del mio impegno politico. Direi che proprio verso le suggestioni dell'"utopia", di questa nuova formula del liberalismo, e del radicalismo, bisogna stare attenti se non si vuole riscoprire, invelenita, "la vecchia piaga del massimalismo". Tanto più che l'abbiamo già riscoperta, in questi anni di pansindacalismo e panregionalismo! Quanto al rischio della cultura idealistica cui pure Pannella

fa riferimento, il rischio di "credere che la teoria possa avanzare con la riflessione sulla riflessione", io posso ammettere che non si debba riflettere senza agire, ma Pannella ammetterà certamente che non si deve agire senza riflettere. Penso, comunque, che non disdegnerà queste considerazioni di un lontano parente, per comuni ascendenze.

Vorrei, per concludere, aggiungere, però, un'ultima considerazione, più strettamente politica: la discussione sulla crisi si sta facendo molto seria. Si annunciano da Berlinguer e da Zaccagnini progetti di società. Noi dovremo giudicare dell'uno e dell'altro. I punti di riferimento per giudicarne non possono certo essere quelli sparsi o, se si preferisce, ammucchiati, di Pannella; ma devono essere cercati e trovati - è il mio convincimento - proprio nel progetto di società che i repubblicani hanno anticipato con la loro "polemica economica a sinistra", con la loro preoccupazione per le compatibilità e per le coerenze, con il discorso lamalfiano sul metodo di sviluppo della nostra società democratica segnata da gravi squilibri e tuttavia radicata nell'area di civiltà dell'Occidente.

 
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