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Boneschi Luca - 20 marzo 1977
La farsa di Catanzaro
di Luca Boneschi

SOMMARIO: Dopo sette anni dalla strage di piazza Fontana le sinistre sono ancora incapaci di accusare il regime democristiano. Il processo di Catanzaro sarà innocuo per il regime. Essendo strage di stato, Freda e Ventura si definiscono prigionieri di stato e mirano a nascondersi sotto i panni della sinistra, pur essendo fascisti.

(ARGOMENTI RADICALI - BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA - anno I, n. 1, aprile-maggio 1977)

C'è un'espressione, coniata apposta dal PCI l'indomani della strage di piazza Fontana, che si spera sparisca al più presto dal vocabolario della sinistra. E' »far piena luce . Una frase che è stata lo schermo ipocrita dietro il quale si è mascherata per anni l'incapacità (o meglio la scelta politica) delle sinistre cosiddette storiche di accusare il regime democristiano per la responsabilità della strategia della tensione. E ora, non a caso, è diventata patrimonio delle parti civili nel processo, di chi cioè non fa che parlare di »equidistanza , di »serenità , e di »verità per poter lavorare meglio in direzione di una tardiva ma ancora tragica riedizione degli opposti estremismi.

Che dopo più di sette anni dalla strage di Milano si cominci per la quarta volta un processo, a Catanzaro, è già una cosa grottesca; che qualcuno pensi possa servire a »far piena luce lo è ancor di più, quando è ovvio che anche il più piccolo delinquente si preoccupa, se gliene si lascia il tempo, di far sparire le tracce. Ma ancor più sorprendente è che non si sia capito il ruolo recitato dalle parti civili e dalla loro retorica del »carico di dolore e di sangue , al punto che si è gridato allo scandalo e alla sorpresa perché uno degli avvocati della Banca Nazionale dell'Agricoltura e dei suoi dipendenti è un missino, anziché indignarsi per come costoro conducono il processo sin dal 1972.

Chi sono, dunque, le parti civili? Quanti hanno subito danni dalle bombe di quel giorno, le banche, i familiari dei morti, i feriti. In tutta coerenza con la »pista rossa del mostro Valpreda, i rappresentanti delle parti civili sono uomini di destra, e spesso qualificata. Prima di essere eletto Presidente della Repubblica, tra di essi c'era anche Giovanni Leone. Tra i rimasti, spiccano Rinaldo Taddei, difensore del generale Fanali (scandalo Lockheed), Odoardo Ascari, difensore di Sogno, il demonazionale di Catanzaro Azzariti Bova, e la pietra del recente scandalo Luigi Li Gotti, consigliere comunale missino a Crotone.

Tutti costoro hanno sempre lavorato per evitare che si celebrasse il processo a Valpreda e per imporre l'unificazione Valpreda-Freda-Ventura. Ascari e Taddei in particolare, in evidente sintonia con la Corte di Cassazione, sono gli artefici di quella serie di eccezioni che la Corte ha accolto stravolgendo completamente le norme del codice e che hanno ripetutamente bloccato il processo portandolo fino alla mostruosa architettura odierna; gli anarchici di qua, i nazifascisti di là e una serie infinita di bucce di banana procedurali sulle quali il processo può da un momento all'altro scivolare, bloccandosi un'altra volta.

La condotta delle parti civili, oggi, è scontata: la loro »verità è ancora quella degli opposti estremismi; esse sono alla ricerca del collegamento tra anarchici e fascisti; per loro, Valpreda è ancora »la belva umana reclamizzata dal »Corriere della Sera , e sperano di poter dipingere un quadro bizzarro con Freda e Ventura pensatori e organizzatori e Valpreda esecutore materiale. Così, gongolano quando salta fuori che forse Ventura conosceva Merlino, mentre in Delle Chiaie, invece dell'uomo del Viminale, vedono l'anello di congiunzione tra fascisti veneti e 22 marzo. In questo loro sforzo, sono ben aiutati dall'inviato del »Corriere della Sera che non perde un colpo per portare la sua pietruzza a questa costruzione di regime.

Ciò non avviene per miopia, imbecillità e per sola malafede politica. Il disegno è più ampio. Sette anni non sono passati invano e non è vero che la magistratura non ha fatto niente. Tra anarchici e fascisti, ha cominciato col mettere fuori dal processo polizia e affari riservati. Quelli che hanno diretto le indagini sugli anarchici e nascosto le prove sulla pista veneta, gli Allegra, i Provenza, i Catenacci sono stati in un modo o nell'altro prosciolti. Poi sono stati tagliati i ponti (sempre sul piano processuale) tra i fascisti veneti e lo Stato Maggiore dell'esercito, prosciogliendo Pino Rauti, uomo di fiducia di Aloja oltre che superiore gerarchico di Freda in »Ordine Nuovo . Degli apparati dello Stato, dei veri protagonisti della strategia della tensione, nel processo è rimasto solo un po' di SID: il generale Maletti, il capitano La Bruna, oltre lo spione Giannettini. Di tutti gli altri, degli Aloja, degli Henke, dei presidenti del Consiglio e dei ministri della Difesa e degli Interni non c'è traccia.

Non è un risultato da poco, anche se non servirà granché a cambiare le convinzioni maturate in questi anni tra le masse popolari sulle altissime responsabilità dello stato e della Democrazia Cristiana nelle stragi.

Ora il problema posto dal processo, incredibile a dire, è una volta di più quello di puntare tutto sugli opposti estremismi e lasciare fuori il SID. Lo si è visto sin dalle prime battute, quando nessuna delle parti civili ha tentato di costituirsi contro Maletti e La Bruna quasi che fossero, nel processo, personaggi secondari (unica eccezione, un dipendente della Banca Nazionale dell'Agricoltura che uscendo dall'ambiguità, ha scelto di farsi difendere da avvocati di sinistra chiedendo di costituirsi parte civile contro i due uomini del SID: e la sua domanda, anche questa volta non a caso, è stata respinta).

Non c'è dubbio però che, nonostante le diligenti operazioni condotte in questi anni per rendere il processo innocuo per il regime, il punto centrale è proprio il SID e, attraverso il servizio segreto, il ruolo degli apparati dello stato. In proposito, si è molto parlato del segreto politico e militare, che certamente ha permesso a ministri e generali di tacere davanti ai giudici. La difesa di Ventura ha già sollevato la questione: ma probabilmente ha sbagliato i tempi: infatti la Corte ha senza difficoltà respinto le richieste. A sua volta la difesa di Valpreda solleverà il problema mano a mano che ministri e generali verranno a testimoniare e non risponderanno facendosi forte del famoso segreto. Ma non bisogna nascondersi che, prima ancora del segreto, costoro si sono valsi della scarsa predisposizione dei magistrati ad andare a fondo quando c'è di mezzo l'autorità politica e militare, e della facilità con cui sono state accettate risposte generiche e superficiali e bugie clamorose. Né va dimenticato che la

Cassazione è sempre intervenuta con grande tempestività quando i magistrati milanesi si stavano avvicinando ai nodi cruciali della vicenda, e in particolare allo Stato Maggiore della Difesa: ed ecco il dirottamento a Catanzaro.

Del segreto si fanno forti Freda e soprattutto Ventura, per definirsi »imputati di stato , cioè in qualche modo vittime di un gioco più grande di loro. Certo, se la strage è di stato, costoro sono imputati di stato: e nessuno ignora che Freda e Ventura sono solo pedine, forse non tanto piccole ma sicuramente secondarie, in un disegno criminoso che coinvolge responsabilità ben più alte. E oggi sono chiamati a pagare anche per altri. Non bisogna anticipare le sentenze, ma è certo che Freda e Ventura sono immersi fino al collo nella vicenda degli attentati del 1969, alla Fiera di Milano e alla stazione Centrale nell'aprile, ai treni nell'agosto, alle banche nel dicembre. Li accusano innumerevoli indizi e molte prove: loro stessi mirano a difendersi soprattutto dall'imputazione di strage, cioè dalle responsabilità per le bombe del 12 dicembre, mentre per gli altri episodi o hanno confessato o sembrano rassegnati. Freda ha comperato i timers e le borse del 12 dicembre. Ventura lo sapeva, ha dato un timer a Comacc

hio perché ne controllasse il funzionamento, ne ha parlato con Lorenzon, gli ha descritto il sottopassaggio dove era stata collocata la bomba alla Banca del Lavoro di Roma, era in quella città il 12 dicembre. E' troppo per potersi atteggiare a vittima.

Dei due fascisti veneti, Ventura è il più ambiguo: è quello che si infiltrava a sinistra, che continua a mascherarsi da socialista, che cerca maldestramente di prendere le distanze da Freda (ma quando perde il controllo, si rivela: un giorno stava per scagliarsi su un difensore di Valpreda che l'aveva chiamato terrorista, ed ha esclamato più o meno »Non dovrebbe dire così uno che difende quello che ha messo davvero le bombe! ); insomma cerca di coinvolgere la sinistra e in particolare il PSI in questa tragica storia. A chi l'accusa, risponde dicendo che se l'istruttoria è andata avanti, lo si deve a lui, alle rivelazioni che poco a poco ha fatto ai giudici. Non è vero. Ventura ha confessato solo quando era ormai incastrato da tutte le parti. Ha cambiato versione più di una volta, fin quando non l'hanno messo con le spalle al muro. Anche il suo distacco da Freda non regge: e infatti non ha mai saputo spiegare perché dal carcere ha scritto con Freda all'altro nazifascista, Claudio Mutti, perché si mettesse in

contatto con Giannettini.

Altre volte, Ventura si difende affermando che lui riferiva a Giannettini, dunque lavorava all'interno delle istituzioni dello stato. Anziché atteggiarsi a vittima, dovrebbe allora parlare, dire quello che certamente sa e il processo potrebbe assumere dimensioni diverse; le sue responsabilità non muterebbero, ma potrebbero inserirsi in un quadro di proporzioni ben maggiori.

Pertanto si ha il fondato dubbio che la decisione di Franco De Cataldo di assumere la difesa di questo personaggio, che dal 1969 è alla ricerca di un alibi di sinistra e che di tanto in tanto lo trova, non si muova nella giusta direzione. Infatti la motivazione addotta di voler compiere la difficile operazione di ridimensionare le responsabilità di Ventura facendo emergere quelle dell'esercito, dei servizi segreti e del governo, non potrà che rivelarsi inevitabilmente soltanto una buona intenzione, giacché battaglie del genere dovrebbero essere condotte con decisione e chiarezza, mentre Ventura non è né deciso né chiaro e prosegue nel suo monotono travestimento.

In queste condizioni, l'operazione crea solo confusione e porta un pericoloso contributo a una linea - quella di Freda e Ventura - che non ha bisogno di essere definita inaccettabile.

 
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