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Bettinelli Ernesto - 20 marzo 1977
QUATTRO RADICALI A MONTECITORIO: PRIMO BILANCIO DI UNA STAGIONE PARLAMENTARE PER LA RIVOLUZIONE DEMOCRATICA
di Ernesto Bettinelli

SOMMARIO: La valutazione della prima presenza radicale alla Camera dei deputati a partire dagli obiettivi su cui il Pr aveva scommesso e cioè la tarsformazione del Parlamento in luogo di scontro reale fra le forze politiche, lo sbocco istituzionale e legislativo delle battaglie per i diritti civili, l'opposizione al regime democristiano e la formazione di uno schieramento alternativo di sinistra. La modifica del quadro politico istituzionale della VII legislatura (compromesso storico) con l'abbandono dei partiti della sinistra storica di ogni ruolo di opposizione ha reso marginale l'Assemblea parlamentare e reso improponibili le convergenze fra radicali e sinistra storica. I referendum e l'azione diretta nonviolenta per contrastare l'immobilismo parlamentare e per creare nuove possibilità di aggregazione "di base".

(ARGOMENTI RADICALI - BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA - anno I, n. 1, aprile-maggio 1977)

LA PARTE RADICALE

Trasformazione del Parlamento in luogo di scontro "reale" tra le forze politiche, prosecuzione ed estensione delle lotte per i diritti civili e per la costruzione di una società socialista e libertaria, opposizione incondizionata al regime instaurato dalla Democrazia Cristiana e formazione di uno schieramento alternativo di sinistra: questi, in sintesi, gli obiettivi su cui aveva scommesso il Partito Radicale decidendo di presentare proprie liste alle elezioni del 20 giugno 1976.

Conseguita una sia pur esigua rappresentanza alla Camera dei deputati, si è necessariamente posto per i radicali il tema della traduzione della loro strategia a livelli diversificati, senza tuttavia dover (e voler) rinunciare a quella unità di azione (e di metodo) che fino a quel momento aveva contraddistinto la presenza del partito nella società. Che i problemi connessi a tale nuova situazione non fossero facili a risolversi e comportassero in qualche modo una precisazione dell'identità dell'»antagonista radicale (che, appunto, entrando nel cuore delle istituzioni, diventava esso stesso »protagonista ) fu subito evidente. Era, in altri termini, avvenuto un salto di quantità e qualità (rispetto alla precedente prassi radicale) su cui occorreva impostare un'attenta riflessione. E di ciò si cominciò a discutere nel Congresso straordinario di Roma (luglio 1976) ove Marco Pannella formulò la teoria della »disorganizzazione scientifica , in cui efficacemente esponeva - anche con la consueta provocatorietà dell'e

spressione adottata - tutti i nodi che occorreva affrontare e sciogliere proprio per »resistere al salto.

Mutava - o meglio, all'esterno se ne prendeva finalmente atto - l'immagine della formazione radicale. Se prima, con un certo tedio sociologico ed anche con una buona dose di strumentalizzazione, si discettava della natura dei radicali - partito o movimento? - e in genere si preferiva addivenire a quest'ultima conclusione (anche per poter giustificare o addirittura »classificare le »intemperanze nonviolente dei seguaci di Marco Pannella), ora, dopo i risultati del 20 giugno, la questione si risolveva da sola. L'interlocutore radicale assumeva inquivocabilmente la fisionomia di "parte" e in quanto tale avrebbe avuto rapporti "politici" con gli altri partiti. I quali - e tra essi in particolare il PSI che era il maggior interessato alla categoria del "movimento" radicale - hanno abbandonato qualsiasi indulgenza verso la »diversità radicale e chiuso tutte le maglie (se ve ne erano ancora di aperte) ad una sua possibile penetrabilità ed espansione nelle rispettive aree militanti.

Ecco perché la proposta dei deputati radicali di costituire assieme a quelli socialisti un unico gruppo parlamentare, articolato su base federativa, è stata sbrigativamente respinta dall'"establishment" del PSI. Alla stessa stregua la decisione del gruppo radicale di autolimitare il proprio mandato fino al dicembre del 1978 per consentire un ricambio della propria rappresentanza a Montecitorio e, così pure, la formale separazione del »collettivo parlamentare dal partito (in ottemperanza allo spirito delle sue disposizioni statutarie) sono fatti che le altre forze politiche si sono rifiutate di considerare come la proposizione di un nuovo modello di organizzazione e di partecipazione politica e che, sommariamente, hanno liquidato come episodi esibizionistici, quasi una coda di campagna elettorale.

Questi prodromi del »ruolo del gruppo radicale in Parlamento, al di fuori degli schemi istituzionali e delle consuetudini vigenti sono molto significativi, perché contribuiscono a chiarire fin dall'inizio le dimensioni della crescente »solitudine dei deputati radicali e della difficoltà (se non impossibilità) per essi di trovare convergenze con la sinistra socialista e comunista anche su temi che "obiettivamente" potrebbero dare luogo a battaglie comuni.

IL QUADRO POLITICO-ISTITUZIONALE DELLA VII LEGISLATURA

Si tenga poi presente il quadro politico e istituzionale della VII legislatura. Per la prima volta dal 1948 nessuna frazione della sinistra »storica siede all'opposizione: si entra in una fase di »democrazia consociativa , i cui presupposti essenziali consistono nel reciproco riconoscimento da parte delle tre »grandi forze popolari (che insieme rappresentano l'82,7 dell'elettorato) di poteri di veto. Il governo della »non sfiducia nasce su questa convinzione. L'astensione »dichiarata del PSI e soprattutto del PCI è in sostanza una temporanea rinuncia all'esercizio del proprio potere di veto; consente semplicemente al Gabinetto di esistere, ma non di governare in senso classico, essendo il suo indirizzo politico sottoposto a una permanente condizione risolutiva.

LA CONVERSIONE ASTENSIONISTICA E LA MEDIAZIONE PARLAMENTARE

Da qui l'adeguamento del Parlamento che, se in precedenza poteva essere sede di »registrazione degli accordi e dei compromessi intervenuti tra i partiti della "maggioranza" (ma che al tempo stesso era pure per le non esigue minoranze un momento non eludibile di controllo sull'attività dell'esecutivo), ora, invece, diviene in via principale istituzione governante: luogo cioè in cui la "non-opposizione" contratta, corregge, eventualmente sanziona la politica »provvisoria del ministero. L'uso quotidiano dello strumento della decretazione d'urgenza, al di fuori di qualsiasi logica della Costituzione scritta, è una chiarissima manifestazione del nuovo corso istituzionale. Le misure adottate dal governo, di efficacia formale immediata, sono in realtà dei messaggi, delle proposte »aperte alle altre formazioni astensioniste, le quali all'atto della »conversione impongono gli opportuni aggiustamenti ai provvedimenti ministeriali che, pertanto, vengono ormai normalmente modificati e sovente trasformati addirittura

nella loro "ratio" originaria.

Dunque, la registrazione da fatto formale evolve a fatto sostanziale, anche se permane la prassi, già consolidata nel nostro sistema, dei vertici extraparlamentari o degli incontri-ponte tra governo e partiti che garantiscono nei modi appena precisati la sua sopravvivenza.

Pietro Ingrao (in una intervista a "La Repubblica", del 29 novembre 1976) ha messo ben in risalto la centralità che in tale quadro politico spetta al Parlamento. Interpretando la posizione del PCI, il Presidente della Camera ha sottolineato che »il Parlamento rappresenta il punto chiave per la riforma dello Stato. Ecco allora che le Camere devono »attrezzarsi per l'adempimento di questa funzione: programmazione finalizzata del lavoro parlamentare, suo decentramento in commissioni interne efficienti (che a loro volta razionalizzano la loro attività in comitati ristretti), rivalutazione della presenza dei gruppi parlamentari come luogo di aggregazione sempre più stretta; insomma »meno discorsi e più proposte motivate .

In un simile contesto l'Assemblea risulta »marginalizzata (l'assenteismo in aula è un dato accettato quasi come fisiologico), essa rimane il salotto delle grandi occasioni.

Per un gruppo di minoranza (estrema) quale è quello radicale, che intende rappresentare un'opposizione non solo di principio, ma anche sulle cose e che, nel contempo, conduce battaglie progettuali particolari, se pure indirizzate a una »riconversione civile del nostro Paese, un simile sviluppo ed uso dell'istituzione parlamentare non può essere certo considerato con favore. E le ragioni contro una sostanziale riformulazione delle »regole del gioco sono palesi. Se il confronto politico decisivo si sposta nelle Commissioni, ciò significa in pratica emarginare le minoranze che per la loro consistenza numerica non possono assicurare una presenza diffusa in tutte le sedi decentrate e che sono costrette o a ridimensionare e settorializzare i propri obiettivi o a sfruttare - con tutti i rischi inerenti a questa tattica - tutte le possibilità regolamentari per un'incursione da una Commissione all'altra. Questo è puntualmente accaduto per i quattro deputati radicali, i quali [assegnati alle commissioni permanenti L

avoro (Bonino), Istruzione (Faccio), Giustizia (Mellini), Interni (Pannella membro anche della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, [dalla quale si è come noto, recentemente dimesso] hanno anche partecipato »in massa ai lavori di altre commissioni nel momento in cui erano all'ordine del giorno progetti di legge su cui l'intervento e l'iniziativa radicale sembravano necessari a tutti i livelli. L'ipotesi si è verificata per le discussioni relative alla regolamentazione dell'aborto e all'autorizzazione per la ratifica del trattato di Osimo: quando i quattro deputati radicali hanno concentrato il loro impegno nelle commissioni Giustizia e Sanità (in seduta congiunta) e Affari esteri.

LA MARGINALITA' DELLE ASSEMBLEE

L'irrinunciabilità all'Assemblea, quale sede privilegiata di confronto politico, e quindi la diffidenza contro ogni frantumazione della Camera è anche un elemento non secondario del disegno politico radicale: la convinzione maturata (e suffragata dalle conseguenze dell'approvazione della legge istitutiva del divorzio e dall'esito del successivo referendum) che solo sul fronte dei diritti civili oggi è possibile evidenziare la discriminante incolmabile che corre tra forze progressive e forze conservatrici nel Paese. Sulle scelte di civiltà i compromessi sono assai difficili e, in ogni caso, destinato a non durare e, appena ci si scontra su di esse, sono rimesse in discussione anche quelle questioni di rilievo "strutturale" sulle quali i partiti antagonisti avevano creduto di trovare un "modus vivendi". Ma, proprio per questo, i luoghi di mediazione entrano in crisi, le Assemblee parlamentati ritornano ad essere le sedi effettivamente rappresentative delle divisioni reali che esistono nella società. Tutta l'az

ione radicale alla

Camera si informa (e deve informarsi) a tale analisi. In questo senso deve essere compresa la polemica che, con rara metodicità, soprattutto Pannella porta avanti sulla »riappropriazione da parte dell'Assemblea della sua sovranità. Non è tanto, dunque - come qualcuno ha voluto sostenere - il richiamo a una concezione parlamentaristica pura superata (e che forse storicamente non è mai stata praticata); quanto, piuttosto, la rivendicazione di spazi in cui il dissenso radicale pur fortemente minoritario sia in grado di "utilmente" esprimersi: abbia cioè la possibilità di produrre situazioni di contraddizione attorno cui aggregare socialisti e comunisti. Ed è naturale che non solo i partiti di regime, ma anche le sinistre storiche che hanno optato per la non-alternativa (e sul piano sostanziale dei contenuti tale scelta comporta il rimescolamento della graduatoria dei propri obiettivi qualificanti) resistono con ogni mezzo alle pretese di »metodo radicale.

IL DISCORSO RADICALE SUL METODO

Esemplare la vicenda della controversia sull'assegnazione degli scanni (ai fini dell'espressione del voto segreto con il procedimento elettronico) culminata, ma non conclusa, con l'espulsione dall'aula (7 ottobre 1976) di tutti i parlamentari radicali. Volutamente non è stata colta, né dagli interlocutori politici, né dalla stampa di informazione, la questione di principio sottesa all'atteggiamento di intransigenza assunto dal gruppo radicale, atteggiamento variamente definito come »ennesima manifestazione di esibizionismo o come »provocazione anticomunista . La deformazione fumettistica dell'episodio, favolisticamente raccontato nei termini della mosca che, a tutti i costi, cerca di penetrare nell'occhio dell'elefante, non è rispondente né ai fatti, né all'intenzione dei »provocatori . In verità, l'oggetto delle "querelle" non è la quasi ludica soddisfazione di sedere alla sinistra degli onorevoli comunisti, ma qualcosa di più rilevante: se cioè sia corretto sottrarre pregiudizialmente alla discussione del

l'Assemblea una decisione (relativa all'organizzazione della Camera, quale è la distribuzione dei seggi ai suoi componenti) adottata da un organo interno - nella fattispecie i questori - e sia pur confortata dal parere conforme del Presidente. E' arbitrario esprimere giudizi sul caso sollevato estrapolandolo dall'insieme degli altri e frequenti interventi radicali contro l'»esproprio e la »svalutazione delle sedute in aula.

Praticamente in ogni occasione, anche nei momenti fondamentali di dibattito, è stato denunciato l'assenteismo dei deputati che, si è osservato, non sono in grado di esercitare il loro »diritto-dovere di esprimersi in aula a causa della »lottizzazione dei tempi, delle funzioni, delle responsabilità tra i gruppi (Pannella, seduta del 22 ottobre 1976). Per lo stesso motivo si è sempre protestato da parte radicale sulla prassi che tollera la normale contemporaneità tra le riunioni in Assemblea e quelle in commissione, anche quando i temi affrontati nelle due sedi richiederebbero la presenza di tutti i deputati. (Così, ad esempio, mentre presso le Commissioni Giustizia e Sanità congiuntamente convocate si discuteva delle varie proposte di legge relative alla regolamentazione dell'aborto, nel "plenum" era all'ordine del giorno la conversione del decreto legge sui provvedimenti urgenti in favore del Friuli). »In questo modo si viene a svincolare il dibattito dalla sua moralità, cioè quello delle sue naturali conc

lusioni, e si arriva ormai al punto di teorizzare che il parlamentare deve venire in questa aula per non far altro che numero, non avendo partecipato al necessario momento formativo della volontà. Viene quindi a votare evidentemente su ordinazione o senza in coscienza aver compiuto i gesti regolarmente necessari, costitutivi di una onesta volontà parlamentare che presuppone di poter ascoltare per poi dissentire o consentire... Devo dire che se in futuro si ripresentassero queste occasioni, personalmente mi rifiuterei di parlare fino a quando si dovesse in linea di diritto e di fatto verificare la situazione per la quale anche un solo altro deputato volendo ascoltarmi, magari per meglio criticarmi, ne fosse impedito perché destinato ad altra arbitraria funzione della Camera durante quelle ore (Pannella, seduta del 28 ottobre 1976).

Sempre nella stessa cornice di continuità e coerenza devono essere inserite le polemiche frequenti dei radicali contro la »latitanza del Governo a rispondere a interrogazioni e interpellanze e contro la sua sistematica evasione dei termini regolamentari, menomandosi pertanto gravemente i poteri di controllo dell'Assemblea nei riguardi dell'esecutivo.

Quanto esposto serve dunque a dimostrare la necessità di un'interpretazione unitaria e non faziosamente episodica del discorso radicale sul valore delle »regole del gioco , diretto, come si è già scritto, a una rivalutazione dell'Assemblea come centro privilegiato di confronto politico parlamentare.

RADICALI E SINISTRA STORICA: LE MANCATE CONVERGENZE A SINISTRA

"L'estremismo" del metodo ben si coniuga con il "massimalismo" dei contenuti. Questa qualificazione delle battaglie radicali pare adeguata se misurata con il "minimalismo" o riduttivismo della linea (non si può certo parlare di strategia) delle due forze della sinistra storica che stanno soffrendo la carenza di una minima piattaforma comune e di un organico collegamento, tanto più necessari nella scelta astensionistica, se questa si proponesse di essere concretamente una forma di condizionamento del potere e della politica democristiana.

Il tentativo del gruppo radicale di cercare momenti di convergenza a sinistra soprattutto con il PSI e Democrazia Proletaria (che pur nella non uniformità di posizioni e di premesse avevano impostato la campagna elettorale sulla parola d'ordine dell'alternativa) ha dato, per ragioni diverse, assai scarsi risultati. Da una parte il disimpegno e la differenziazione socialista sui temi globali dei diritti civili, dell'antimilitarismo, della lotta ai privilegi ed alle speculazioni clericali risente ovviamente del ruolo (o non ruolo) di "non-opposizione" assunto da questo partito verso il governo Andreotti.

Dall'altra, le difficoltà di intese significative con i rappresentanti dell'ala marxista-leninista della »nuova sinistra è imputabile a cause molteplici, oggettive e soggettive: innanzitutto la crisi, con le conseguenti lacerazioni, che ha colpito tutte le formazioni che si riconoscono nel cartello di Democrazia Proletaria. Crisi che evidentemente è distraente da un impegno continuato in Parlamento (del resto considerato sempre come sede di mera risonanza delle contraddizioni di classe esistenti nel Paese e, quindi, come luogo subordinato di azione politica). Poi, la congenita diffidenza (propria soprattutto del Manifesto e di alcuni settori di Avanguardia Operaia) verso il dichiarato non ideologismo radicale.

Dunque, il bilancio delle iniziative unitarie che ne esce è piuttosto magro e non destinato certo a subire in futuro positive correzioni, perdurando l'attuale quadro politico. Tale consuntivo consiste fino ad oggi nella sottoscrizione dei socialisti Fortuna e Tocco e dei demoproletari Pinto e Corvisieri della prima mozione depositata alla Camera per la denunzia unilaterale del Concordato da parte del Governo Italiano (in presenza di ripetute violazioni dei Patti Lateranensi ad opera degli organi ecclesiastici e in considerazione dell'incompatibilità con il nostro ordinamento costituzionale di importanti norme concordatarie); nella proposizione in Aula assieme ai demoproletari di emendamenti ai provvedimenti per la ricostruzione del Friuli; nella presentazione di interrogazioni al Governo firmate, talvolta, anche da esponenti della nuova sinistra, al fine di segnalare il mancato rispetto da parte dei vari organi dello Stato dei diritti fondamentali individuali e collettivi (sul caso di Fabrizio Panzieri all'i

nterrogazione si sono associati, oltre ai demoproletari, anche esponenti socialisti).

VALORE DISCRIMINANTE DEI TEMI SUI DIRITTI CIVILI

L'unico frangente »storico - come ebbe ad esprimersi, tra l'indifferenza e quasi il fastidio delle sinistre storiche, Pannella (18 gennaio 1977) - in cui si sono trovati contrapposti da un lato tutto il blocco laico e dall'altro i democristiani e i neofascisti, si è realizzato quando, nel corso della discussione generale in Assemblea sulle proposte di legge in materia di regolamentazione dell'aborto, furono presentati da tali gruppi ordini del giorno »di non passaggio all'esame degli articoli della nuova disciplina, in quanto ritenuta nel complesso costituzionalmente illegittima. Nella sua dichiarazione di voto il Presidente del gruppo radicale ha salutato l'evento come un'occasione politica unitaria in cui, cioè, al di là delle contingenti divergenze, concretamente si esprimeva lo schieramento dell'alternativa di sinistra che, per la prima volta, veniva a sostituire o schieramento delle astensioni. L'avvenimento non poteva essere considerato come una semplice parentesi, ma avrebbe dovuto essere valutato q

uasi come premonitore di tempi migliori...

L'evoluzione del corso politico confermerà se l'entusiasmo (e l'emozione) del "leader" radicale sono stati in quel momento profetici oppure se, invece, il voto del 18 gennaio non è che un incidente abbastanza irrilevante sulla via del compromesso (e dello stallo istituzionale) tra sinistra storica e Democrazia Cristiana.

Comunque è certo che l'episodio conferma ancora una volta il valore discriminante delle scelte sui diritti civili e, in ultima analisi, sul »modello di civiltà .

Una delle critiche abituali che in passato tutti i settori della sinistra rivolgevano ai radicali (si pensi alla lettera di Riccardo Lombardi al Congresso nazionale del PR a Firenze nel 1975) riguardava la loro pretesa velleità di affrontare e risolvere le »questioni sovrastrutturali, senza prima proporsi il ribaltamento dei rapporti di classe o, più limitatamente, il superamento della crisi economica. Oggi la situazione è in qualche modo mutata. La crescita dei radicali proprio sulle loro battaglie classiche (per il divorzio, per l'obiezione di coscienza, per la depenalizzazione dell'aborto, fino alla recente mobilitazione sui problemi della giustizia) ha reso sufficientemente chiare le connessioni tra riforme di struttura ed affermazione delle libertà, soprattutto nel momento in cui si tratta di sciogliere i nodi della distribuzione delle risorse, della gestione della crisi economica e, in prospettiva, del »progetto di sviluppo cui fare riferimento nella pratica di governo.

L'APPROCCIO RADICALE ALLE »QUESTIONI STRUTTURALI

»Noi siamo sempre stati visti dagli altri come "quelli dei diritti civili", come coloro che svolgono un'azione settoriale magari episodica, necessaria solo in particolari momenti della nostra condizione storica. Devo dire che abbiamo cercato, in effetti, di esprimere dei modelli di vita o comunque una qualità di pensiero e, soprattutto, il concetto di rapporto civile, di rapporto Stato-cittadino. Non ci siamo però mai dimenticati, né abbiamo mai trascurato, dietro questi obiettivi e queste lotte, la necessità di una revisione, ancora una volta radicale, dei meccanismi della distribuzione del potere, della detenzione della ricchezza e del ricatto che un regime ingiusto comporta (Emma Bonino, seduta del 21 ottobre 1976). Lo stesso parlamentare - nella medesima occasione - ha con molta semplicità (e, se si vuole, anche molto genericamente) manifestato le propensioni radicali sul tipo di sistema economico cui tendere. »Vorremmo un'economia i cui meccanismi educhino la gente a scegliere e non la obblighino a com

prare, un assetto sociale dove siano verificati i presupposti della massima diffusione di quei beni che Socrate diceva che "non si contano e non si misurano perché sono di tutti ed uno per averli non deve toglierli agli altri". Noi vogliamo, cioè, un'economia che finalizzi la sua efficienza alla diffusione della cultura, dell'acquisizione del benessere morale e materiale, alla conquista di un ambiente naturale che tragicamente il nostro Paese, tra i primi del mondo, ha seriamente compromesso...

MASSIMALISMO RADICALE E CONGIUNTURALISMO DEI PARTITI ASTENSIONISTI

E' da queste motivazioni di principio e dal rigido uniformarsi ad esse in tutte le iniziative parlamentati che si capisce come il massimalismo radicale si scontri ineluttabilmente con l'attuale "congiunturalismo" (la mancanza di obiettivi organici non consente di parlare di "gradualismo") di socialisti e comunisti, e come non sia stato mai possibile un comune allineamento su temi puntuali: dalla regolamentazione dell'aborto, all'autorizzazione alla ratifica degli allegati economici del Trattato di Osimo, fino alla questione concordataria. Le »ragioni radicali, mentre rivendicano nuovi spazi di libertà o il sostanziale riconoscimento dei diritti civili, mettono nel contempo in discussione la tavola delle priorità e l'impiego delle risorse, decisi nell'ambito dell'area della non-opposizione al governo Andreotti. Ciò significa, in definitiva, spingere alla rottura del fragile equilibrio su cui si regge il compromesso, contestando la qualità delle soluzioni adottate in tale contesto, ed evidenziando le contradd

izioni e le rinunce in cui sono costretti i partiti della classe operaia. All'esigenza da questi prospettata e strenuamente difesa di salvaguardare il »quadro politico generale e al loro timore di una destabilizzazione del sistema, i radicali oppongono una fitta serie di interrogazioni ed interpellanze in cui si rivela la pratica quotidiana del malgoverno che si realizza non solo nel consueto ed endemico clientelismo, ma anche nello spreco dei mezzi finanziari erogati »a pioggia e nell'incapacità di frenare anche nel pieno della crisi economica le tendenze corporative che affliggono da trent'anni la società italiana. Per questo Emma Bonino - in sede di dichiarazione di voto sulla politica economica del Governo: 22 novembre 1976 - rimbeccava ancora una volta l'atteggiamento dei compagni socialisti e comunisti che hanno abbandonato a un governo monocolore democristiano »le speranze alternative di milioni di elettori che si sono pronunciati a sinistra il 20 giugno del 1976. »Non abbiamo mai pensato che la De

mocrazia Cristiana potesse assicurare il risanamento dello Stato, l'eliminazione degli enti inutili, la conversione delle spese improduttive e parassitarie e, cioè, proprio le riforme di cui il Paese ha bisogno e senza le quali non può esserci ripresa e nuovo sviluppo economico. Sapevamo e sappiamo che la Democrazia cristiana non può politicamente, per la sua stessa ideologia interclassista, distruggere i centri di potere sui quali poggia, pena l'autolesionismo . Sempre secondo Emma Bonino »...ci si era illusi che il peso determinante delle astensioni avrebbe potuto condizionare o costringere la democrazia cristiana ad attuare una politica degli interessi popolari e, cioè, si pensava che il Parlamento avrebbe tallonato il Governo. Si è verificato esattamente l'opposto: vediamo ogni giorno che il governo non è tallonato dal Parlamento, ma semplicemente con una serie infinita di decreti legge... occupa il Parlamento. Con questa politica e con questa linea di »capovolgimento estremamente abile il governo scari

ca le proprie indecisioni, le proprie incertezze... proprio sul Parlamento. La DC non solo coinvolge il partito comunista nelle sue responsabilità, ma in questo modo elude le proprie di fronte al Paese servendosi, poi, dello scudo dell'astensione a sinistra... La fiducia nell'assemblearismo, nei cosiddetti nuovi rapporti tra Governo e Parlamento ha mostrato presto la corda... perché non è vero che un Governo debole renda più forte il Parlamento: un governo debole è un elemento funzionale per il regime, per le corporazioni, per le baronie di potere e cioè, per la democrazia cristiana; ma è invece un momento di debolezza grave per le istituzioni repubblicane, per il Parlamento, per i partiti della sinistra, per le classi che la sinistra rappresenta .

LE INIZIATIVE DESTABILIZZANTI

Dunque i destinatari (e sempre meno gli interlocutori) degli appelli e degli interventi dei deputati del PR sono le sinistre a cui si chiede invano, nel tentativo di creare possibilità di incontro almeno parziali, pause di riflessione e di approfondimento degli argomenti radicali. La chiusura però è drastica, la frattura e l'incomunicabilità tra gli astensionisti e il gruppo di Pannella non potrebbe essere più marcata e drammatica: proprio perché non si »può dare udienza alle »singole verità , o accogliere gli emendamenti in varie occasioni proposti, senza alterare il quadro politico e rischiare di aprire una crisi »da sinistra .

Una simile logica è prevalsa senza eccezioni su tutti i temi già ricordati e che hanno caratterizzato questo scorcio di legislatura. Radicali e sinistre storiche si sono sempre trovati contrapposti nel voto, pur non necessariamente in disaccordo sulle analisi particolari (come si evince dall'andamento del dibattito alla Camera sul Concordato, sul Trattato di Osimo e anche a proposito delle varie misure economiche del Governo Andreotti).

In effetti questa scissione deriva dai piani di valutazione divergenti su cui rispettivamente ci si muove: attenti i primi all'obiettività delle »cose , sensibili i secondi a considerare la »complessa realtà e la possibile evoluzione dei rapporti di forza.

IL RIFIUTO DEL CONDIZIONAMENTO ISTITUZIONALE

La differente »filosofia è emersa palesemente e clamorosamente all'atto dell'approvazione del testo di legge sulla regolamentazione dell'aborto, su cui i radicali hanno espresso voto negativo, in quanto la nuova disciplina non pare idonea a sanare, o perlomeno a circoscrivere in misura rilevante la piaga dell'aborto clandestino. L'onorevole Magnani Noja, socialista, in un'intervista a »La Repubblica (25 gennaio 1977) ha definito »incomprensibile il comportamento dei radicali. »E' la legge migliore possibile in questo momento politico, sia per quanto riguarda la composizione del Parlamento che i rapporti di forza nel Paese . Ed è proprio sulla interpretazione di quali siano i "reali" rapporti di forza nel Paese (e quindi quali siano gli obiettivi "più avanzati" che la sinistra unitariamente potrebbe conseguire) che si consuma l'insanabile dissenso tra radicali e partiti astensionisti della sinistra storica. Il ruolo assunto dagli uni e dagli altri - con tutte le note polemiche che sono insorte - nelle prim

e fasi della vicenda della messa in stato di accusa degli ex ministri Gui e Tanassi per l'affare Lockheed ha ulteriormente confermato questo diaframma.

Per il gruppo radicale a questo punto si pone l'indifferibile esigenza di non rimanere prigioniero del proprio isolamento o, se si preferisce, della propria emarginazione a sinistra. L'impenetrabilità della Camera che non reagisce alle istanze dei deputati radicali neppure quando questi sollecitano interventi o prese di posizione precise sui problemi urgenti (e la cui soluzione non potrebbe sicuramente determinare crisi destabilizzanti) quali la tragica situazione penitenziaria e, in particolare, la condizione di gravissimo disagio degli agenti di custodia, sposta nuovamente "all'esterno" il baricentro dell'iniziativa e del metodo di lotta radicale.

IL RITORNO ALL'AZIONE DIRETTA NONVIOLENTA

Le tradizionali »azioni dirette non violente come i digiuni sono praticate anche dal »collettivo parlamentare come forma di pressione nei confronti delle stesse istituzioni parlamentari, di cui si rinuncia a considerarsi "parte" per assumere il ruolo di "contro parte". E così pure le dimissioni dalla Camera dell'intero gruppo radicale presentate anticipatamente (rispetto alla scadenza prefissata del dicembre 1978) quale estremo gesto di protesta contro la mancata adozione dei provvedimenti immediati richiesti al governo al fine di rimuovere le cause della violenza nelle carceri, diventano esse stesse uno strumento di lotta forse necessario per una forza che non vuole in nessun caso subire condizionamenti istituzionali e perdere la sua identità di "minoranza attiva" che continua a esprimere il suo impegno politico soprattutto a livello comunitario.

Nella stessa prospettiva si deve valutare il ritorno alla strategia dei referendum, come fatto di aggressione a una situazione parlamentare di sostanziale immobilismo e, al tempo stesso, come fatto di aggregazione »alla base di tutte quelle "diffuse" realtà progressive (anche organiche al PCI e al PSI) che credono nell'alternativa non come viaggio all'interno del potere democristiano, ma come proposizione di un nuovo modello di gestione e distribuzione del potere in una società socialista e libertaria.

 
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