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Altomonte Antonio - 30 aprile 1977
Pannella: l'irriverenza si addice al prim'attore
QUELLI CHE LA PENSANO IN MODO DIVERSO

di Antonio Altomonte

SOMMARIO: Uno stile "personale" che vuol essere anche un metodo di opposizione fuori delle regole del gioco politico - Quando il mandato parlamentare perde il suo significato - La parola d'ordine: "Disorganizzatevi" - Che cos'è cultura per un radicale.

(IL TEMPO, 30 aprile 1977)

"Il personaggio è di quelli che subito ti mettono in difficoltà con i molti spunti che offrono per attaccare a parlarne. Per esempio, si potrebbe cominciare dicendo che abita in una vecchia casa dove ci sono da salire sei piani senza ascensore prima di trovarsi in un appartamento senza telefono, senza riscaldamento, senza" comfort "di sorta, e qualche volta con gocce di pioggia che vengono giù dal tetto. "Ma non potrei chiedere riparazioni. Capisci, con le 47 mila lire che pago di affitto...". Quest'abitazione è in una delle viuzze attorno alla Fontana di Trevi, nelle quali l'onorevole è una presenza piuttosto familiare. C'è il caso d'incontrarlo mentre porta i panni in lavanderia. Più in là, nella vetrina di una libreria la sua faccia è accanto a quella di Severino Gazzelloni: sono i primi due volumi di una collana dedicata ad alcuni dei più noti personaggi di oggi.

La sua notorietà, confortata nel giugno scorso dal mandato parlamentare, lui l'ha sempre portata con noncuranza. Lo stesso mandato non ha modificato le sue abitudini, il suo modo di stare con la gente, amici e no. Non è stato sufficiente a convincerlo all'auto, che rimane nell'elenco delle cose di cui si ostina a voler fare a meno. Dall'elenco, però, dovrebbero ormai essere scomparse giacca e cravatta, che l'onorevole indossa normalmente. Per il resto assicurano ch'è ancora il Giacinto Pannella detto Marco delle manifestazioni di protesta non violenta alle quali deve il suo nome; con le quali cominciò anni fa ad esercitare in maniera insolita, quel diritto all'istrionismo che Benedetto Croci riconosceva agli uomini politici. Sebbene Pannella potrebbe avere qualche obiezione a riconoscersi tra loro, a condividerne il ruolo nel senso che la sua è sì una battaglia per i diritti civili, e per la trasformazione di talune strutture istituzionali, che non può non svolgersi sul terreno politico, ma la radice di essa

e i suoi moduli sono altrove, essendo maturati fuori d'una vera e propria organizzazione di partito.

La differenza tra questo tipo di uomo politico, che in qualche misura preesiste al partito, o ne prescinde, e l'uomo politico che se ne fa portavoce non necessariamente convinto, non è poca. Spesso è stata all'origine di diverse interpretazioni di Pannella: con conclusione che andavano dall'inevitabile "Ma chi glielo fa fare" alla solita accusa di esibizionismo. Si ricordino i suoi scioperi della fame, i suoi sit-in, e gesti come quello (nell'ormai lontano 1966) di presentarsi ammanettato assieme a un'altra trentina di persone dinanzi alla Rai-TV di viale Mazzini, per protestare contro lo stato dell'informazione in Italia. Suscitavano curiosità e creavano attorno alla proposta di un problema, per grave che fosse, un'aria ludica, di spettacolo pubblico. Come a dire che c'è stato un tempo - c'è da domandarsi se sia finito - che delle rivendicazioni di Pannella ci si sarebbe potuti liberare con un sorriso. Si poteva anche giungere a dargli ragione, ma da qui al credito il commino era lungo. Salvo l'eccezione di

un gruppo di amici e simpatizzanti, i quali con probabilità si ritrovavano negli atteggiamenti di Pannella prima ancora che nella cifra ideologica dei suoi argomenti, era come ammettere che questi ultimi potevano essere degni della massima attenzione, ma senza riconoscere loro lo stile con cui alcune cose vanno dette per essere ascoltate e prese sul serio.

C'è voluto parecchio per persuadere che quel rifiuto di adeguarsi ai canoni era a sua volta uno stile che chiedeva di essere visto e tenuto in considerazione come tale come un metodo di opposizione fuori delle regole del gioco. Si parlò di romanticismo, sia nell'accezione di un ribellismo fatto di gesti che, al di là delle simpatie che potevano suscitare, si esaurivano per lo più nel loro valore dimostrativo; sia nell'accezione di una singolare forma di disperazione politica, della quale peraltro parla Togliatti definendo il massimalismo. E' la definizione cui si è richiamato Antonello Trombadori a proposito di Pannella: verso il quale i comunisti non sono stati mai molto teneri, né prima né soprattutto dopo quel 20 giugno che ha assegnato al PR l'1,1 per cento, facendo dichiarare a Pannella che 250.000 dei 400.000 voti ottenuto dal suo partito erano stati sottratti al PCI, come riconoscimento che l'unica alternativa che oggi si porrebbe alla sinistra, ai comunisti e ai socialisti, è quella avanzata dai Radi

cali.

Del resto, le due note tesi: le tentazioni autoritarie del PCI espresse nell'ostilità ai referendum, cioè alle iniziative legislative popolari, e alla battaglia per i diritti civili; la sudditanza e l'incapacità del PSI di coprire che la sola possibilità di diventare partito dell'alternativa socialista è legata al movimento per i diritti civili; ma anche, più generalmente, la corresponsabilità di tutti i partiti nell'aver consentito che il Paese avesse per trent'anni il regime democristiano che ha avuto, votando "tutt'insieme" le centinaia e centinaia di leggine che sono alla base delle famigerate giungle, insomma di quel caos che viene denunciato a destra e a manca.

Ha detto, citando Tocqueville, nel suo primo intervento alla Camera: "Qui sembriamo tutti uniti o per lo meno in condizioni di comprenderci...". Dove, forse con involontaria ironia, c'era già la denuncia di un costume politico fatto di segrete intese e di pubblici dissensi.

Dalla piazza a Montecitorio

Inaugurando infatti la sua attività di deputato, Pannella trasferiva il suo stile, quel suo non voler stare alle regole, dalla piazza a Montecitorio. Si ricorderà l'opposizione radicale all'elezione del Presidente della Camera. I partiti si erano accordati sul nome di Ingrao. Pannella contesta l'accordo, provoca infastidite reazioni, se ne esce dall'aula assieme ai suoi per inscenare una dimostrazione con tanto di cartelli e di slogan. Un episodio, un esordio in linea con la fama acquistata sulle piazze? No, molto di più di un episodio, mi dice il leader radicale. O, se si vuole, un episodio che intendeva aprire un problema di enorme importanza, trattandosi di rivendicare la funzione del dibattito parlamentare: di opporsi alla tendenza a trasformare la Camera in mera sede di registrazione di decisioni prese altrove.

Vi lega il caso dell'articolo 20 del Regolamento della Camera, il quale stabilisce che solo straordinariamente e per espressa autorizzazione dal Presidente si possono contemporaneamente svolgere lavori d'aula e di commissione. "Questo Regolamento

è del '71, ma la prassi è un'altra, quella di sempre. La prassi permette che le commissioni si riuniscano mentre è in corso un dibattito parlamentare: al momento del voto, poi, i deputati della commissione sospendono i loro lavori per recarsi in aula a votare. Tutto ciò mi sembra gravissimo, assurdo. Perché? Perché il voto del deputato non dipende evidentemente dalla discussione, quindi dal processo formativo della volontà a conoscere per deliberare... Nelle circostanze in cui è occorso farlo, noi radicali ci siamo richiamati al Regolamento imponendo che venissero disdette riunioni di commissioni anche importantissime. E ci siamo tirati addosso l'accusa unanime di ostruzionismo, quando invece bisognava capire che far passare come legittimo il voto di chi non ha partecipato al dibattito è già la negazione della personificazione del mandato parlamentare. Altro che ostruzionismo! Il giorno che lo faremo, l'ostruzionismo se ne accorgeranno di cosa siamo capaci, sia pure in 4 contro 626".

Gli chiedo, essendo noto quale cavallo di battaglia sia per i radicali il referendum, se è convinto che esso si possa usare sempre, per l'uno o per l'altro dei molti nodi che affliggono la vita italiana. Mi dice che il referendum non un'arma della quale un esercito Brancaleone ha deciso, di punto in bianco di dotarsi. Esso viene iscritto nella nostra Costituzione nel '47. Per 25 anni tuttavia non se ne fa nemmeno la legge di attuazione, nonostante, salvo ovviamente per problemi come quelli internazionali o quelli economici e fiscali, sia stato previsto come strumento ordinario d'intervento. "Quando i comunisti oggi sostengono ch'è un fatto straordinario, io rispondo di no, in quanto nella concezione del costituente c'era l'inserimento del diritto-dovere del cittadino a divenire legislatore tutte le volte in cui dissentisse dalla legge così com'è. Ma non sono discorsi - da troppo tempo ci tocca prenderne atto - per i nostri avversari. E così sono anni che chiediamo, inascoltati, ostacolati, l'abrogazione di t

utte quelle leggi che ereditate dal fascismo risultano in flagrante contraddizione con i princìpi costituzionali". Ne conclude, con tono nuovamente ammonitore:

"Pero, vedranno!"

Al congresso di novembre

E' un tono da discoli del sistema, prima che da giacobini, col quale i quattro parlamentari radicali sono entrati come una ventata di irriverenza nel fermo autunno di chiaroscuri ch'è il nostro mondo politico; col quale anzi vi è piombato tutt'un partito, almeno nella misura in cui s'identifica col suo capo carismatico, sposandone l'intenzione di fare dell'irregolarità una bandiera. Non per nulla la parola d'ordine - "Disorganizzatevi" - lanciata da Pannella la congresso del PR dello scorso novembre è parsa un involontario incoraggiamento a vedere il PR sotto l'aspetto del "colore", oltre che un tentativo di mantenerlo a livello di movimento di polemica e di "coscientizzazione", che in tanto è in grado di rivolgersi criticamente agli altri partiti in quanto con essi non soffre l'armatura ideologica né tantomeno condivide l'ambizione a un proprio spazio nell'"establishment.

"E' chiaro che la domanda che qui si pone, e che affiora sempre più di frequente, è se il modello dei clubs mitterrandiani ai quali Pannella ha probabilmente inteso ispirarsi non debba cedere all'esigenza di un'organizzazione, che d'altronde non è facile da soddisfare rifiutando le linee tradizionali dei partiti italiani. Ma è un problema che riguarda il futuro del PR. Semmai a Pannella c'è da chiedere perché s'è ritenuto necessario costituirsi in partito. "Ci siamo chiamati partito - mi risponde - perché eravamo coscienti del bisogno di affermare un concetto più moderno e civile di parte, che contrastasse con la realtà dei partiti italiani, i quali pur diversi in apparenza quanto diverse possono essere le ideologie di cui sono portatori, finiscono per somigliarsi tutti nelle strutture autoritarie".

Si oppone, come ha scritto" Rinascita, "che la parola d'ordina che ha caratterizzato l'accennato congresso è solo formalmente antiburocratica, dal momento che in sostanza blocca sul nascere qualsiasi dissenso organizzato, per lasciare il potere in mano a chi lo detiene. Donde, per dirne una, la nomina della Aglietta a segretario nazionale. Ma d'altra parte, se è vero che in mancanza di un'autentica struttura di partito si vive dell'attivismo talora scandalistico e dell'inventiva di qualche leader, Pannella ha sempre avuto quel che occorre, dall'intelligenza alla spregiudicatezza e perfino alle capacità esibizionistiche, per il suo ruolo di prim'attore. Di più: ha tutta la sua vita privata, così come finora l'ha condotta, da" bohèmien "a legittimarlo in un simile ruolo. Basta per rendersene conto la sua insofferenza a lasciarsi "inquadrare" borghesemente: con un lavoro regolare, una famiglia, e il resto.

Si potrebbe anche dire che vi corrisponde, nel suo radical-socialismo, quella concezione metapolitica come ispiratrice della condotta di partito alla quale si richiamava Croce, e, alla base, quell'esaltazione della libertà dell'individuo, che animarono il suo liberalismo riformista negli anni in cui prima dell'avvento di Malagodi alla segreteria, militava nell'ala estrema del PLI. Sicché diventa una questione di angolazione dirlo il libertario che si professa o arrivare alla conclusione, come fa Aniello Coppola, che negli Stati Uniti un tipo come Pannella sarebbe un" liberal. "Ma c'è pure chi prescindendo dalle etichette politiche preferisce vedere nel radicalismo di Pannella una manifestazione di sconforto nell'attuale stato di crisi, per quanto manifestazione che non si configura come pretenderebbe, "in una indicazione di superamento della crisi". Tanto più - è l'opinione di Francesco Compagna - che il pannellismo scambierebbe i punti di partenza con quelli di arrivo, oltre a ritenere che questi ultimi sia

no raggiungibili "attraverso un tragitto in linea retta da percorrere con passo da bersagliere". Insomma, ben altre le premesse cultural-politiche della tradizione radicale, dagli Ernesto Rossi agli scrittori del" Mondo "di Pannunzio.

Mi dichiara Pannella, a questo richiamo culturale: "Le cose contro le quali noi ci moviamo nei fatti è quel tipo di cultura che divenendo civiltà sembrerebbe un grande passo avanti, mentre in realtà diventa terroristica proprio per la buona coscienza di essere totalizzante e di tutti. Intendo dire che nel momento in cui la politica sceglie una cultura come valida, in quel momento la cultura diventa il tipo di civiltà, quella ufficiale. Perde quindi il suo carattere laico, recuperando per annullarli come perversi tutti i diversi culturali. Noi laici, volterriani, non-violegi, liberali, socialisti, libertari in breve gente di un certo perimetro politico, diciamo che il diverso non è perverso e che il demone non esiste nemmeno in politica. Di conseguenza, pagandolo, siamo stati contro l'antifascismo persecutorio. E ciò non per difendere un Almirante che consideriamo un sottoprodotto del fascismo, uno zuavo pontificio, ma per affermare che è fascista ogni tipo di discriminazione. Che cosa può significare questo?

Può significare che per noi politica è cultura, o viceversa, altrimenti non è né l'una né l'altra. Oltretutto, stabilita quest'equazione, si è al riparo dal pericolo di fera della politica l'arte del possibile, la mala arte quotidiana. Non lo credi?".

Non rispondo, per chiedergli invece se c'è un partito che meno degli altri si sia reso colpevole dell'esercizio di questa mala arte. "Nessuno" mi dice. Ma, per la verità era scontato. Domando allora: "E a livello dei singoli personaggi... Tu, per esempio, che cosa ti rimproveri?". Dice: "Di non essere stato sempre sufficientemente coraggioso, di non esserlo".

Beh, questo era un po' meno scontato.

 
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