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Ignazi Piero, Panebianco Angelo - 25 maggio 1977
INCHIESTA SUI MILITANTI RADICALI (2)
a cura di Piero Ignazi e Angelo Panebianco

SOMMARIO: Una valutazione dei dati ottenuti dai questionari distribuiti e compilati dai partecipanti al Congresso di Napoli. La presenza decresce nel passaggio dalle grandi città alle piccole; la scelta radicale è stata determinata in grande maggioranza dagli obiettivi generali del partito piuttosto che dalle singole battaglie; provengono in gran parte da famiglie politicizzate "a destra"; la maggioranza degli iscritti indica nella costituente di un nuovo partito socialista la scelta strategica da privilegiare; per una grande parte degli intervistati atteggiamenti e motivazioni "liberali" si intrecciano ad atteggiamenti e motivazioni "socialiste".

(ARGOMENTI RADICALI - BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA - anno I, n. 2, giugno-luglio 1977)

In un precedente rapporto (cfr. "Argomenti Radicali", n. 1, pp. 53-63) sui risultati della analisi dei questionari distribuiti e compilati dai partecipanti al Congresso di Napoli (592 questionari così suddivisi: 384 iscritti e 208 simpatizzanti) abbiamo tentato un primo sommario bilancio e una prima valutazione dei dati ottenuti. Avevamo però avvertito che la semplice ricognizione delle percentuali non consentiva alcun discorso realmente approfondito sullo "stato" sociologico e politico dell'universo rappresentato e che era necessario evitare di saltare a conclusioni e a valutazioni affrettate. Oggi, dopo avere effettuato alcune ulteriori operazioni sul campione siamo in grado, se non ancora di costruire una immagine complessiva sufficientemente attendibile - obiettivo che richiede una analisi in profondità che stiamo in questi giorni mettendo a punto - almeno di aggiungere un buon numero di informazioni a quelle fornite in precedenza.

Per comodità di esposizione abbiamo suddiviso queste note in due parti distinte. Nella prima parte, riferiamo dei risultati (ancora semplici percentuali) che emergono dalle risposte a un blocco di domande che, per ragioni tecniche di cui non tiene conto parlare qui, avevamo escluso dal rapporto precedente.

Nella seconda parte, infine, anticipiamo i primi risultati di un certo numero di operazioni di incrocio tra le risposte a diverse domande che ci consentono oggi di verificare, smentire o rettificare almeno alcune delle precedenti valutazioni.

Organizzazione, spontaneismo e strategia del partito

1. Il primo dato, necessario per completezza, anche se largamente scontato, riguarda il rapporto fra provenienza geografica dei congressisti e dimensione urbana. Per precisione, va osservato che il campione risente ovviamente della sottorappresentazione del nord d'Italia: il 17,6% infatti risiede a Napoli, il 21,5% a Roma, soltanto il 8,6% a Milano e il 2,9% a Torino. Detto questo va però anche aggiunto che dal nostro campione, ad ulteriore conferma della sua rappresentatività dell'universo radicale, risulta ribadita una delle più vistose caratteristiche del PR: quella di essere un movimento politico prevalentemente "urbano", con le punte più alte di seguito nelle grandi città e una scarsa presenza nelle campagne. Il 64,7% dei soggetti intervistati proviene infatti da città superiori ai 150.000 abitanti. ("Tabella 1")

TABELLA 1: Ripartizione geografica dei congressisti per dimensione delle località di provenienza

Grandi città (oltre 150.000 abitanti) 64,7%

Medie città (da 45.000 a 150.000 abitanti) 17,7%

Comuni tra i 15.000 e i 45.000 abitanti 10,3%

Comuni tra i 5.000 e i 15.000 abitanti 4,7%

Comuni al di sotto dei 5.000 abitanti 2,4%

Il campione conferma quindi ciò che già si sapeva sulla organizzazione del PR: che la "presenza radicale" decresce progressivamente nel passaggio dalle grandi alle medie e piccole città fino ai piccoli comuni. Se rammentiamo che la distribuzione dei suffragi radicali alle elezioni politiche del 20 giugno ha avuto un andamento pressoché identico, possiamo concludere che anche per il PR risulta confermato un fenomeno generalmente valido per la maggior parte dei movimenti e dei partiti, cioè l'alta correlazione fra presenza del partito e seguito elettorale.

più interessante è il risultato ottenuto dalla domanda sui "motivi" che hanno spinto i soggetti intervistati a militare o ad avvicinarsi al PR. L'interpretazione è in questo caso parzialmente complicata dal fatto che si consentiva all'intervistato di dare più di una risposta (fino a un massimo di tre). Appare comunque chiaro che gli intervistati ritengono, a grande maggioranza, che gli obiettivi politici generali del partito hanno contato molto di più di singole tematiche nel determinare la loro scelta politica. Infatti "la lotta per i diritti civili" ottiene il 74,8% dei consensi, "l'organizzazione libertaria e antiburocratica" il 56,1 %, il "metodo non violento" il 51%, "l'alternativa di sinistra", infine, il 43% (queste percentuali, ovviamente, si riferiscono alla somma delle diverse risposte date da ogni singolo intervistato alla domanda). All'opposto, un tema particolare, (femminismo, emarginazione, anticlericalismo ecc.), ottiene complessivamente soltanto il 26% (ancora una volta sommando le 2 o 3 risp

oste date da ciascun intervistato). "La qualità della leadership", infine, registra la più bassa percentuale di consensi in assoluto (14%). Poiché il riferimento al "carisma" era in questo ultimo caso trasparente, questo risultato significa che pochissimi ritengono o sono disposti ad ammettere che l'appello "carismatico" di Pannella ha influenzato la loro scelta di militare nel PR. Queste risposte sono interessanti anche perché la domanda era chiaramente "proiettiva": si cercava di stabilire non soltanto quali erano le ragioni della scelta ma anche quelle della permanenza "attuale" nel PR. L'altissima percentuale ottenuta, ad esempio, da "la lotta per i diritti civili" contro quella relativamente bassa delle singole tematiche, sembra indicare che, indipendentemente dagli interessi dei militanti per questo o quel tema (sui quali si veda il rapporto precedente), la strategia complessiva del PR è ritenuta trascendere, per importanza e valore politico, ciascuna singola problematica: una scelta "ideologica" gener

ale, quindi, più che un interesse "pragmatico" per specifici obiettivi sembra accomunare la maggioranza dei militanti radicali. Proprio perché la domanda era proiettiva nel senso sopra specificato, inoltre, anche l'alta percentuale di risposte che indicano, fra i motivi di iscrizione, "l'organizzazione libertaria e antiburocratica" è un risultato interessante se confrontato con le risposte che ora considereremo sulla socializzazione politica familiare e, soprattutto, sui problemi della organizzazione interna del PR.

I radicali intervistati provengono, a grande maggioranza, da famiglie nelle quali si discute, e molto, di politica. Gli atteggiamenti verso la politica della famiglia di origine sono, nel nostro caso, di cruciale importanza, se si ricordano le caratteristiche generazionali e occupazionali del campione (l'età media molto giovane e l'elevata presenza di studenti, quindi di soggetti che, presumibilmente, a grande maggioranza, vivono o si sono appena staccati dalla famiglia di origine).

Alla domanda sull'impegno politico del padre, il 27% lo definisce "non interessato" alla politica, il 38% "interessato ma non direttamente impegnato", il 12% simpatizzante per un partito specifico, il 23%, infine, iscritto a un partito politico. Nel complesso, quindi, un continuum ove la politicizzazione del padre è alta anche se si distribuisce dal livello del semplice "interesse" fino a quello della militanza vera e propria.

Naturalmente, oltre al dato quantitativo, contano, e molto, la qualità e la direzione dell'orientamento politico: una netta maggioranza, il 63,5%, definisce gli atteggiamenti politici della famiglia di origine conservatori o reazionari, soltanto il 35% li definisce "di sinistra" con varie sfumature dalla sinistra moderata al PCI ("Tabella 2").

Completa il quadro dell'ambiente familiare, la domanda sui rapporti genitori-figli: il 34% li ritiene "autoritari", il 27% "paternalistici", il 25% "tolleranti" e, infine, soltanto il 14% "permissivi". Anche in questo caso, la tendenza è chiara: una quota maggioritaria giudica il "clima" familiare più o meno autoritario.

TABELLA 2: Atteggiamenti politici della famiglia di origine

Conservatori-reazionari 63,5%

Sinistra moderata 4%

PSI 14%

PCI 8%

La maggior parte dei radicali, quindi, proviene da famiglie "politicizzate" e politicizzate "a destra", famiglie, infine, in larga misura contrassegnate da rapporti autoritari. Senza correre il rischio di cadere in spiegazioni di comportamento "psicologistiche" nel senso più deteriore, sembra possibile affermare che queste caratteristiche della famiglia sono probabilmente una molla fra le più importanti nel determinare la scelta politica radicale: l'"immagine" del PR come partito "libertario" e "antiautoritario", come conferma anche l'alta percentuale di coloro che indicano nella "organizzazione libertaria e antiburocratica" uno dei principali motivi di avvicinamento al PR, esercita una potente attrattiva su soggetti che così reagiscono alla socializzazione conservatrice-autoritaria subita nella famiglia di origine. Naturalmente, questa ipotesi va accolta con i necessari distinguo e le dovute riserve. Ad esempio può valere soprattutto per i giovani (che sono però la stragrande maggioranza), meno per i più ad

ulti nella cui determinazione dell'orientamento politico incidono anche molti stimoli di diversa natura e provenienza. Vale, inoltre, anche per i più giovani, il fatto che altri fattori, dalle letture alle influenze della cerchia di amici a quelle della scuola ecc., in sostanza l'esposizione a "messaggi" concorrenziali e antitetici rispetto agli atteggiamenti familiari, possono influenzare la maturazione di una scelta politica. E queste sono informazioni di cui non disponiamo. Scontando tutto ciò, l'ipotesi comunque tiene: la percezione di compiere una scelta antiautoritaria, in aperta rivolta rispetto ai modelli culturali prevalenti in famiglia, sembra essere un potente stimolo psicologico alla militanza radicale.

Passiamo ora a esaminare i risultati di un'altra domanda di diverso tenore, quella in cui si chiedeva agli intervistati di indicare quale disegno strategico il partito dovesse in futuro privilegiare ("Tabella 3").

Non sorprende naturalmente che la maggioranza relativa indichi nella costituente di un nuovo partito socialista la scelta strategica da privilegiare. Non sorprende sia perché è questo un tema da anni indicato come prioritario dal gruppo dirigente del partito, sia perché è in linea con gli atteggiamenti filosocialisti, di cui si è riferito nel precedente numero di questa rivista, della maggior parte degli intervistati. Sorprende semmai che "soltanto" il 41,2% indichi questo obiettivo e che la "distanza" in percentuale fra le preferenze per le tre soluzioni (41,2; 29,7; 23) sia tutto sommato abbastanza bassa.

TABELLA 3: Indicazioni di scelta strategica del partito

1) Lo sviluppo delle lotte radicali si deve accompagnare ad un'azione per la costituente di un nuovo partito socialista rivolta principalmente ai militanti del PSI e dell'area socialista 41,2%

2) Allo sviluppo delle lotte radicali deve corrispondere esclusivamente il rafforzamento del PR e la sua crescita 29,7%

3) Lo sviluppo delle lotte radicali deve trovare un punto d'incontro con le altre formazioni extraparlamentari e della nuova sinistra 23,0%

Il risultato è tanto più sorprendente se si pensa che la seconda soluzione, quella che, per comodità, definiamo "patriottarda", era formulata in modo tale da scoraggiare una risposta affermativa da parte di chi non fosse più che intensamente orientato verso il patriottismo di partito: in queste condizioni il 29,7% è una percentuale molto alta che indica la presenza di settori consistenti che reagiscono all'"isolamento" del PR chiedendo, come prospettiva strategica, uno sviluppo autonomo del partito. Poiché, come risulta tanto dalle domande sulla vicinanza-lontananza degli altri partiti politici quanto dal comportamento elettorale, i "filosocialisti" sono molti di più del 41%, è da ritenere che l'insoddisfazione diffusa per gli atteggiamenti del PSI verso i radicali durante la campagna elettorale e nel periodo precedente il Congresso di Napoli, oltre al rinvio "sine die" del rinnovamento socialista quale si è manifestato nella operazione del Midas, abbiano inciso sul risultato. L'alta percentuale di coloro ch

e indicano nell'incontro con le formazioni della nuova sinistra la strategia da privilegiare si può spiegare infine ricordando la presenza, in quote consistenti, di atteggiamenti politici generali simpatetici rispetto ai temi e alle organizzazioni della nuova sinistra.

Un ultimo blocco di domande che avevamo tralasciato nel rapporto precedente riguardava i problemi della organizzazione interna al PR. Nel questionario si chiedeva di dichiarare il proprio accordo o il proprio disaccordo con un certo numero di affermazioni sull'eccesso di spontaneismo, sulla necessità di una maggiore organizzazione ecc. Nella costruzione di queste domande eravamo partiti da una ipotesi specifica; che fosse possibile distinguere, in modo abbastanza netto, fra due tipi di militante, quello che ritiene che il PR sia oggi troppo disorganizzato e quello che, all'opposto, teme che una maggiore organizzazione non sia conciliabile con il mantenimento del carattere libertario del partito. Avevamo definito, rispettivamente, "organizzatore" e "spontaneista" questi due "tipi ideali" di militante ritenendo che questi fossero in definitiva gli atteggiamenti più diffusi e che si trattasse di stabilire quale dei due fosse prevalente. Purtroppo, come si vedrà fra breve, l'andamento delle risposte non aiuta a

individuare atteggiamenti univoci: la maggioranza degli intervistati risponde in modo contraddittorio, cioè a volte dà una risposta "spontaneista" e a volte una risposta di segno contrario.

In questi casi si può generalmente scegliere fra due spiegazioni: si può attribuire il risultato alla cattiva formulazione delle domande oppure agli atteggiamenti confusi e contraddittori degli intervistati. L'analisi delle risposte ci fa ritenere che "entrambi" questi fattori abbiano operato nel determinare il risultato. Abbiamo, per esempio, individuato tre domande (fra le sette che riguardavano questo argomento) decisamente mal formulate, quindi generatrici di equivoco. In secondo luogo, sempre per quanto attiene alle nostre responsabilità, ci siamo accorti di non avere sufficientemente distinto fra "organizzazione" e "burocratizzazione" il che deve avere spinto anche molti fra coloro che probabilmente ricadono nel tipo ideale "organizzatore" a dare risposte contraddittorie. Che ci fossero delle difficoltà inerenti alla formulazione delle domande è provato dal fatto che questo blocco di domande è quello che registra in assoluto il maggior numero di commenti (una sessantina circa) e che la schiacciante mag

gioranza dei commenti è di questo tenore: "E' necessaria più organizzazione ma non bisogna confondere l'organizzazione (che è un fatto positivo) con la burocratizzazione (che è invece un fatto negativo)".

Detto questo, va aggiunto che i risultati, come vedremo, dimostrano anche in modo inequivocabile che una larga maggioranza degli intervistati ha idee non troppo chiare su questi cruciali problemi per la vita del partito: questa è la probabile conseguenza della assenza, fino ad oggi, di una discussione sistematica e approfondita sui problemi della organizzazione.

Vediamo ora, più analiticamente, i risultati. Per individuare i due "tipi ideali" indicati avevamo costruito un "indice di coerenza" fondato sul presupposto che una risposta positiva a una domanda dovesse comportare una risposta negativa a una domanda di tenore opposto. Nella costruzione dell'indice avevamo ovviamente scartato le tre domande manifestamente mal formulate. Ebbene, i risultati sono, a dir poco, scoraggianti: soltanto il 6% del totale ricade in uno dei due tipi ideali mentre il 19% si colloca in una posizione intermedia e ben il 75% dà risposte assolutamente contraddittorie.

Con questi risultati era evidente che bisognava procedere in tutt'altro modo per capire quali fossero le "reali" posizioni degli intervistati. Abbiamo quindi ripiegato sulla analisi delle singole risposte. Ecco i risultati per la prima coppia di domande:

- Il PR è troppo disorganizzato. La sua stessa attuale crescita impone un salto di qualità sul piano organizzativo

D'accordo: 54%

In disaccordo: 42%

- Il PR, anche al suo attuale livello di organizzazione, riesce a mantenere un efficace coordinamento nei suoi nuovi settori di intervento politico.

D'accordo: 64%

In disaccordo: 32%

Fin qui niente di strano: il confronto fra le risposte alle due domande sembra consentire di formulare questa ipotesi: esistono effettivamente due gruppi parzialmente contrapposti di "organizzatori" e di "spontaneisti". Senonché, come indica la distribuzione delle risposte alla seconda domanda, anche una larga parte di coloro che sono definibili come "organizzatori" (in base ai risultati della prima domanda) ritiene tutto sommato accettabile l'attuale livello di organizzazione. Esisterebbero quindi due gruppi, l'uno decisamente insoddisfatto e un terzo gruppo composto da organizzatori "tiepidi" che ritiene auspicabile ma "non" indispensabile una maggiore organizzazione.

Questa ipotesi risulta però quanto meno indebolita dall'esame della successiva coppia di domande:

- Una maggiore organizzazione, burocratizzando il PR, priverebbe di quello spontaneismo e di quella libertà di movimento che stanno alla base dei suoi successi politici

D'accordo: 68%

In disaccordo: 28%

- Un partito troppo disorganizzato compromette la possibilità di una azione politica incisiva

D'accordo: 61%

In disaccordo: 34%

Si noterà che le due domande sono contrapposte e che l'accordo con la prima richiederebbe il disaccordo con la seconda e viceversa. In definitiva ci si doveva aspettare, a rigor di logica, che a un 68% di accordo con la prima affermazione corrispondesse una cifra se non identica almeno simile di disaccordo con la seconda. Invece, avviene esattamente il contrario.

Registriamo infine le risposte all'ultima domanda di questo gruppo: il 61% si dichiara "in disaccordo" con l'affermazione secondo cui: "Il PR ha un carattere troppo carismatico e quindi

risulta compromessa la possibilità di crescita di una classe dirigente e di una organizzazione adeguata", soltanto il 28%

dichiara d'accordo mentre l'11% non risponde (ed è questa la più alta percentuale di "astenuti" rispetto a tutto questo blocco di domande).

Poiché è noto che la presenza di tratti carismatici della "leadership" è, generalmente, uno dei principali ostacoli allo sviluppo delle organizzazioni, il tipo di risposte ottenute sembra essere un altro indice di una difficoltà, che riguarda la maggioranza degli intervistati, di collegare organicamente i principali fenomeni relativi ai problemi della organizzazione.

Atteggiamenti politici e composizione sociale: alcune precisazioni

2. Vediamo ora i risultati di alcuni incroci che consentono di formulare, rispetto al quadro delineato nel numero precedente di questa rivista, alcune precisazioni tanto per quanto riguarda gli atteggiamenti politici generali dei soggetti intervistati che per l'identificazione della loro provenienza sociale.

Ricordiamo che il blocco di domande sull'alternativa di sinistra aveva, in prima approssimazione, consentito di individuare due atteggiamenti prevalenti che abbiamo definito rispettivamente "radicaldemocratico" e "socialista". Avevamo però anche aggiunto che a parer nostro non si trattava di una contrapposizione fra blocchi, di una vera e propria frattura interna al partito, ma di semplici linee di tendenza. Rammentiamo che delle quattro possibili risposte indicate nel questionario l'intervistato poteva sceglierne una o due e che di queste una coppia era stata costruita in modo da rappresentare l'ipotesi "radicaldemocratica", l'altra coppia l'ipotesi "socialista" ("Tabella 4").

L'analisi cui abbiamo successivamente sottoposto questo blocco di domande dimostra che non esiste una forte concentrazione di consensi rispettivamente sull'una o sull'altra coppia. Le due risposte che indicano l'ipotesi "radicaldemocratica" allo stato "puro"sono scelte congiuntamente soltanto dall'11% degli intervistati e l'ipotesi "socialista" dal 4%.

Invece, la più alta concentrazione di consensi va alla coppia formata tanto da una scelta dell'uno che dell'altro campo ("tabella 5").

Non esistono quindi due blocchi contrapposti di militanti "radicaldemocratici" allo stato puro e di "socialisti". Come è invece nelle tradizioni del Partito Radicale, per una larga parte degli intervistati, atteggiamenti e motivazioni "liberali" si intrecciano a atteggiamenti e motivazioni "socialiste".

D'altra parte, il più alto consenso è raccolto dalle due scelte che, pur appartenendo a campi diversi, sono tra loro le più vicine, mentre è molto bassa la percentuale di coloro che accoppiano le due soluzioni ideologicamente più lontane. I due atteggiamenti che abbiamo individuato quindi esistono ma tendono allo intreccio e alla sovrapposizione nelle zone confinanti.

TABELLA 4: Quattro posizioni sull'alternativa di sinistra

- Oggi in Italia il perseguimento

di una alternativa di sinistra

è l'unico modo per creare un

sistema di rotazione democratico

al governo ipotesi "radicaldemocratica"

- L'alternativa di sinistra

consentirà uno sviluppo socio-

economico più egualitario

------------------------------------------------------------

- L'alternativa di sinistra potrà

mettere in moto un processo di

transizione al socialismo ipotesi "socialista"

- L'alternativa di sinistra è il

solo modo di dare tutto il potere

alla classe lavoratrice

TABELLA 5: Coppia di risposte sull'alternativa di sinistra scelta dal 23% degli intervistati

- L'alternativa di sinistra consentirà uno sviluppo socio-economico più egualitario

- L'alternativa di sinistra potrà mettere in moto un processo di transizione al socialismo

Analoghi risultati emergono dall'analisi delle domande sui motivi di opposizione al compromesso storico: anche qui si registra un intreccio fra motivazioni in senso lato liberali e socialiste. La coppia di risposte più scelta (dal 30% degli intervistati) è infatti quella indicata in ("Tabella 6").

TABELLA 6: Coppia di risposte sul compromesso storico scelta dal 30% degli intervistati

- L'accordo fra i due più grandi partiti non lascerebbe spazio alle voci critiche

- Nessun passo nella direzione del socialismo può avvenire con la Dc al governo

La domanda sul modello di società da imitare, come si ricorderà, aveva messo in luce l'esistenza di una principale linea di divisione tra coloro che indicavano la Svezia (29%) e coloro che non ritenevano esistere, fra le società contemporanee, modelli da imitare (21,5%). A una notevole distanza, la Cina veniva scelta dallo 11%. Ora siamo in grado di affermare che la scelta di "nessun modello" è la spia di una posizione politica di molto più radicale opposizione all'ordine sociale esistente rispetto alla scelta di qualche tipo di società (Cina compresa). Infatti la quasi totalità, cioè l'87,2%, fra coloro che scelgono "nessun modello" indica nella "transizione al socialismo" il motivo per cui va perseguita l'alternativa di sinistra. Chi invece sceglie "Svezia" o anche "Cina" non fa, a maggioranza, una scelta altrettanto netta nella domanda sulla alternativa: la distribuzione delle preferenze è in questi casi correlata in proporzioni pressoché identiche tanto con la scelta "radicaldemocratica" che con la scelt

a "socialista". Questa ipotesi risulta ulteriormente rafforzata dall'incrocio fra la scelta del modello e il comportamento elettorale. Confrontando le risposte "Svezia" e "nessun modello" si nota che tanto per le elezioni politiche del 1972 quanto per le regionali del '75 è molto più alta la correlazione fra "Svezia" e voto al PCI di quanto non lo sia per "nessun modello": chi sceglie "nessun modello" ha cioè minore tendenza a votare comunista. Per le regionali del '75, inoltre, la scelta "nessun modello" è fortemente correlata con il voto per Democrazia Proletaria ("Tabella 7 e 8").

Concludiamo con alcune nuove informazioni sulla composizione sociale del partito. Si ricorderà che, nella precedente analisi, avevamo creduto di poter individuare una composizione sociale del PR largamente anomala rispetto alle altre formazioni di sinistra: assenza di operai, relativa "compressione" della fascia intermedia e la presenza di due blocchi di uguale consistenza, uno di provenienza medio-alto borghese, l'altro proletaria e sottoproletaria.

TABELLA 7: Incrocio fra scelta del modello e voto delle elezioni politiche del 1972 (Camera)

PSI % PCI % Manifesto %

Svezia 37,3 24,1 12,0

Cina 33,3 21,2 21,2

nessun modello 35,4 18,5 11,0

TABELLA 8: Incrocio fra scelta del modello e voto alle elezioni regionali del 1975

PSI % PCI % Democrazia proletaria %

Svezia 38,0 35,0 9,0

Cina 32,6 28,0 35,0

nessun modello 42,7 15,6 27,1

In attesa di costruire un indice complessivo della posizione sociale dei soggetti abbiamo svolto un certo numero di operazioni di incrocio i cui risultati sembrano confermare la nostra ipotesi iniziale. Confrontando, ad esempio, i dati sui soggetti con un alto livello di istruzione, laurea o frequenza universitaria, con il livello di istruzione paterna appare verificato il fenomeno della polarizzazione verso gli estremi "alto" e "basso" della sociale: tra queste categorie di soggetti, una netta maggioranza ha infatti un padre laureato oppure, all'opposto, con bassa istruzione ("Tabella 9").

TABELLA 9: Confronto fra i soggetti con alto livello di istruzione e i livelli di istruzione paterna

soggetti con frequenza - padre analfabeta o con

universitaria: licenza elementare 29%

- padre con licenza di

scuola media 9%

- padre diplomato 21%

- padre laureato 37%

soggetti laureati: - padre analfabeta o con

licenza elementare 22%

- padre con licenza di

scuola media 10%

- padre diplomato 11%

- padre laureato 38%

Un risultato analogo si ottiene dall'incrocio fra la professione degli intervistati e il titolo di studio del padre ("Tabella 10").

TABELLA 10: Incrocio fra la professione degli intervistati e il titolo di studio del padre

studenti - padre analfabeta o con

(33,2% del totale): licenza elementare 16%

- padre laureato 50%

impiegati

(7,4% del totale): 41%

23%

professori di scuola media o - padre analfabeta o con

superiore (10,9% del totale): licenza elementare 26%

- padre laureato 37%

Un ultimo aspetto da considerare, a questo proposito, riguarda il confronto fra la percezione delle proprie attuali condizioni economiche e le condizioni economiche della famiglia di origine. E' un punto importante perché consente di individuare con sufficiente sicurezza le eventuali modificazioni di status. Se l'ipotesi prospettata sulle caratteristiche della composizione sociale era corretta, si doveva registrare l'esistenza di una quota consistente di soggetti che hanno sperimentato processi di mobilità sociale sia ascendente (attraverso la scolarizzazione) che discendente.

I dati raccolti suonano a ulteriore conferma di quella ipotesi. Infatti, anche se la maggioranza (il 55%) non ritiene le proprie condizioni economiche né migliori né peggiori rispetto a quelle della famiglia di origine, il 45% ritiene che siano avvenuti dei cambiamenti: anche se non maggioritaria è quindi molto ampia la quota presente nel campione coinvolta in processi di mobilità sociale. Questa quota si scompone, a sua volta, in un 25% che ha migliorato la propria posizione e in un 20% che ha invece subito un peggioramento delle proprie condizioni economiche.

Più analiticamente, per quanto riguarda il primo gruppo, il 57,8% dei soggetti che definiscono "discrete" le proprie attuali condizioni economiche provengono da una famiglia di condizioni "disagiate", l'8% degli "agiati" da una famiglia "disagiata", ancora il 16% degli "agiati" da famiglia in condizioni "discrete". Nel gruppo coinvolto in un processo di mobilità "ascendente", quindi, il dato più vistoso riguarda coloro che da una condizione di origine "disagiata"sono passati a condizioni attuali "discrete". Se teniamo conto del fatto che fra coloro che indicano con "disagiate" le proprie attuali condizioni il 48% definisce disagiate "anche" le condizioni della famiglia di origine, vediamo confermata l'ipotesi formulata nel rapporto precedente: la fascia dei soggetti che manifestano una bassa origine sociale si divide, a sua volta, in due blocchi, dei quali uno è rimasto fermo sulle posizioni dei padri o addirittura è stato sospinto verso condizioni di ancora maggiore emarginazione, mentre l'altro è salito su

lla scala sociale attraverso i canali dell'istruzione.

Per quanto riguarda, infine, il gruppo interessato da processi di mobilità "discendente", il confronto mette in luce l'esistenza di marcati fenomeni di declassamento economico: infatti, è una quota molto alta, per la precisione il 40% di coloro che definiscono discrete le loro attuali condizioni a provenire da famiglia "agiata"; molto più basso ma comunque di un certo peso (15%) il caso di soggetti in condizioni "disagiate" con famiglia in condizioni "discrete". Infine, il 9% fra coloro che definiscono "disagiate" le loro attuali condizioni hanno fatto un vero e proprio "salto di classe" dal momento che provengono da una famiglia di condizioni "agiate".

 
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