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Camera dei deputati - 30 giugno 1977
INQUIRENTE: Referendum per l'abrogazione di alcune disposizioni della Legge: 25 gennaio 1962, n. 20 - Norme sui procedimenti e giudizi di accusa

SOMMARIO: Scheda sul referendum abrogativo dell'Inquirente, promosso dal Partito radicale. Ordinanze della Corte di cassazione, ricorso dei promotori contro l'ordinanza della Corte di cassazione e sentenze della Corte costituzionale.

(IL REFERENDUM ABROGATIVO IN ITALIA: LE NORME, LE SENTENZE, LE PROPOSTE DI MODIFICA - CAMERA DEI DEPUTATI - QUADERNI DI DOCUMENTAZIONE DEL SERVIZIO STUDI, Roma 1981)

"30 giugno 1977": presentazione della richiesta

"6 dicembre 1977": ordinanza Ufficio centrale Cassazione che dichiara ammissibile la richiesta

"2 febbraio 1978": sentenza n. 16 Corte costituzionale che dichiara ammissibile la richiesta (pubblicata sopra a p. 300)

"Legge 10 maggio 1978, n. 170" »Nuove norme sui procedimenti di accusa di cui alla legge 25 gennaio 1962, n. 20

"25 maggio 1978": ordinanza Ufficio centrale Cassazione che dichiara non aver più corso le operazioni referendarie

"23 ottobre 1978": ricorso dei promotori per conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato

"8 gennaio 1979": ordinanza n. 2 Corte costituzionale che dichiara ammissibile il ricorso in sede di sommaria delibazione

"20 marzo 1980": sentenza n. 31 Corte costituzionale che dichiara inammissibile il ricorso in sede di giudizio definitivo

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Corte di cassazione - Ufficio centrale per il referendum

Ordinanza del 6 dicembre 1977

Sulla richiesta di "referendum" abrogativo degli articoli 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 11, comma primo, limitatamente alle parole: »alla Commissione inquirente o 12 limitatamente alle parole: »il quale ne informa immediatamente la Commissione inquirente ; 13, 14, comma primo, limitatamente alle parole: »la Commissione inquirente o ; 16, comma primo, limitatamente alle parole: »la Commissione inquirente o della legge 25 gennaio 1962, n. 20: »Norme sui procedimenti e giudizi di accusa .

Ritenuto in fatto e in diritto.

.....

"Si omette la prima parte di questa ordinanza e delle altre emanate nella stessa data che - con le ovvie modifiche derivanti dalla diversità dei dati di fatto citati - è del tutto simile alla prima parte dell'ordinanza sulla richiesta di" referendum "abrogativo della legge 22 maggio 1975, n. 152, pubblicata sopra per intero".

Considerato che il compito dell'Ufficio centrale si esaurisce tutto nella verifica della legittimità formale della proposta di "referendum", implicante il riscontro del rispetto dei limiti modali e temporali di questa;

- che pertanto, relativamente all'oggetto del "referendum", spetta a questo Ufficio constatare esclusivamente se l'atto considerato è una legge o un atto normativo avente forza di legge e se al riguardo è intervenuta abrogazione legislativa o sentenza di annullamento della Corte costituzionale;

- che è demandato invece alla Corte costituzionale il giudizio sull'ammissibilità del "referendum ratione materiae" e correlativamente l'individuazione dei limiti di questo giudizio;

- considerato che al riguardo non sono intervenuti né atti di abrogazione, né pronunce di annullamento (la sentenza di accoglimento n. 259 del 1974 si riferisce al comma secondo dell'articolo 11 laddove la proposta di "referendum" riguarda il comma primo del medesimo articolo).

Per questi motivi, letti gli articoli 75 Cost., 8, 9, 27 e 32 legge 25 maggio 1970, n. 352 e successive modificazioni;

l'Ufficio Centrale per il "referendum" dichiara legittima la richiesta di "referendum" popolare sul seguente quesito: »Volete voi l'abrogazione degli articoli 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 11, comma primo, limitatamente alle parole: »alla Commissione inquirente o ; 12 limitatamente alle parole: »il quale ne informa immediatamente la Commissione inquirente ; 13; 14, comma primo, limitatamente alle parole: »la Commissione inquirente o ; 16, comma primo, limitatamente alle parole: »la Commissione inquirente o della legge 25 gennaio 1962, n. 20: »Norme sui procedimenti e giudizi di accusa? .

Dichiara cessate le operazioni di sua competenza relative a questa fase del "referendum".

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Corte di cassazione - Ufficio centrale per il referendum

Ordinanza del 25 maggio 1978

Sulla richiesta di "referendum" abrogativo degli articoli 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 11 comma 1, limitatamente alle parole: »alla Commissione inquirente o , 12, limitatamente alle parole: »il quale ne informa immediatamente la Commissione inquirente , 13, 14 comma 1, limitatamente alle parole: »la Commissione inquirente o , 16 comma 1, limitatamente alle parole: »la Commissione inquirente o della legge 25 gennaio 1962 n. 20: »Norme sui procedimenti e giudizi di accusa .

Vista la precedente ordinanza dell'Ufficio in data 6 dicembre 1977 con la quale è stata riconosciuta la legittimità della richiesta di "referendum" popolare abrogativo, presentata il 30 giugno 1977, dai signori Calderisi Giuseppe, Bises Andrea, Cristofanelli Laura, Vigevano Paolo, Pietroletti Glauco, diretta a sottoporre a "referendum" gli articoli 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 11 comma 1, limitatamente alle parole: »alla Commissione inquirente o , 12, limitatamente alle parole: »il quale ne informa immediatamente la Commissione inquirente , 13, 14 comma 1, limitatamente alle parole: »la Commissione inquirente o , 16 comma 1, limitatamente alle parole: »la Commissione inquirente della legge 23 gennaio 1962 n. 20: »Norme sui procedimenti di accusa ;

vista la sentenza della Corte cost. 7 febbraio 1978 n. 16 che ha dichiarato ammissibile la relativa richiesta;

visto l'articolo 39 legge 25 maggio 1970 n. 352, nel testo risultante dalla sentenza della Corte cost. 17 maggio 1978 n. 68, che lo ha dichiarato costituzionalmente illegittimo »limitatamente alla parte in cui non prevede che se l'abrogazione degli atti o delle singole disposizioni cui si riferisce il "referendum" venga accompagnata da altra disciplina della stessa materia, senza modifica, né i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, il "referendum" si effettui sulle nuove disposizioni legislative ;

lette le deduzioni presentate dai promotori in data 23 maggio 1978 ed illustrate oralmente nella seduta odierna dagli avvocati Corrado De Martini e Mauro Mellini;

ritenuto che, posteriormente all'emanazione della precedente ordinanza, è stata promulgata la legge 10 maggio 1978 n. 170 (Nuove norme sui procedimenti di accusa di cui alla legge 25 gennaio 1962 n. 20), pubblicata sulla "Gazzetta Ufficiale" n. 131 del 13 maggio 1978 (ed entrata in vigore il giorno successivo);

che l'articolo 9 della suddetta legge n. 170 del 1978 ha espressamente abrogato gli articoli da 1 a 16 compreso della legge sottoposta a "referendum";

che, per effetto della sopravvenuta normativa, si è verificata l'ipotesi, contemplata dalla citata sentenza della Corte cost. n. 68 del 1978, di abrogazione sostitutiva;

che di tale abrogazione occorre valutare gli effetti sulle operazioni referendarie;

ritenuto che sono state sollevate, da parte dei promotori del "referendum" due distinte questioni di legittimità costituzionale riguardanti, l'una, la mancata previsione, nell'articolo 39 legge n. 352 del 1970, di limiti temporali all'esercizio del potere legislativo sulle materie oggetto di "referendum", quanto meno nel periodo successivo alla indizione dei comizi elettorali, e, l'altra, la incostituzionalità della legge 10 maggio 1978 n. 170, abrogativa di quella sottoposta a "referendum", in quanto mossa dall'intento di impedire l'espressione della sovranità popolare;

considerato che quest'Ufficio è legittimato a sollevare questioni di legittimità costituzionale;

che l'accesso alla Corte costituzionale comporta la previa delibazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza della sollevata questione, che sussiste la rilevanza, dovendosi il giudizio sulla cessazione o meno delle operazioni referendarie svolgere alla stregua del denunziato articolo 39, e potendo, in tesi, la eventuale incostituzionalità dell'intera legge abrogativa incidere sulla idoneità della stessa a produrre l'effetto da cui consegue la cessazione delle operazioni referendarie; che, però, entrambe le questioni sono manifestamente infondate; che, invero, quanto alla prima, la stessa Corte cost., nella sentenza n. 68 del 1978, ha affermato che »le Camere conservano la propria permanente potestà legislativa... (anche)... successivamente alla stessa indicazione di "referendum" abrogativo e, quanto alla seconda, la denunzia concerne un preteso eccesso di potere del legislatore, non riconducibile - sotto l'aspetto qui profilato - nell'ambito del giudizio di legittimità delle leggi;

che sono invece irrilevanti le altre questioni di legittimità costituzionale sollevate relativamente a singole disposizioni della citata legge n. 170 del 1978 in quanto, a differenza dalle precedenti, il loro eventuale accoglimento non influirebbe sull'effetto abrogativo prodotto dalla legge stessa;

considerato che la Corte costituzionale - dopo aver premesso che ogni vicenda abrogativa, comunque attuata, esclude che il "referendum" possa avere ad oggetto le disposizioni abrogate - ha precisato che, quando l'abrogazione sia accompagnata da altra disciplina della stessa materia, per stabilire i criteri di distinzione fra l'ipotesi in cui le operazioni referendarie non debbono avere più corso (in tutto o in parte) e quella in cui il "referendum" si trasferisce (o si estende) alle nuove disposizioni, occorre separare il caso della richiesta riguardante una legge (o atto equiparato) nella sua interezza o un organico insieme di disposizioni altrimenti individuate dal legislatore, da quello della proposta diretta soltanto alla abrogazione di disposizioni specifiche; che, alla stregua dei criteri ricavabili da detta sentenza, nel primo caso la cessazione totale delle operazioni referendarie consegue alla modificazione, comunque attuata, dei principi informatori della complessiva disciplina legislativa preesist

ente e la cessazione parziale alla non riconducibilità a quei principi delle singole disposizioni modificative (altrimenti il "referendum" si trasferisce o si estende alle nuove disposizioni e nel secondo caso il "referendum" non deve avere più corso quando siano stati modificati i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti;

considerato che, sulla base di tali criteri, la disciplina introdotta dalla legge 10 maggio 1978 n. 170, recante nuove norme sui procedimenti di accusa, comporta la totale cessazione delle operazioni referendarie riguardanti gli articoli sopra indicati della legge sottoposta a "referendum";

considerato che ricorre, invero, il primo dei casi sopra enucleati in quanto, pur essendo formalmente oggetto della richiesta singole disposizioni o locuzioni estrapolate da esse, tuttavia queste, nel loro insieme, costituiscono un complesso normativo sostanzialmente unitario, dirette come sono a dettare - nell'ambito dell'atto legislativo cui appartengono - la disciplina essenziale dei poteri e dei modi di funzionamento della Commissione prevista dall'articolo 12, legge cost. n. 1 del 1953;

che, pertanto, a prescindere dal confronto tra le singole previsioni occorre raffrontare i principi complessivamente ispiratori dell'una e dell'altra disciplina;

che la nuova regolamentazione, nella quale varie disposizioni della legge n. 20 del 1962 (ad esempio: artt. 8, 9, 12) non sono più riprodotte, è fondamentalmente caratterizzata, pur nella sopravvivenza di taluni contenuti normativi presenti nell'ordinamento abrogato (ad esempio, disciplina dei conflitti e, in parte, della pubblicità delle sedute), dal depotenziamento della Commissione, evidenziato, tra l'altro dalla parificazione alle Commissioni di inchiesta (art. 4, comma 4) e dalle ridotte attribuzioni in ordine alla libertà personale (per la richiesta convalida dell'ordine di arresto, art. 2, comma 2 e 3), alla durata delle indagini (ristretto in ben precisi limiti cronologici; art. 4, commi 2 e 3), alla loro estensione per ragioni di connessione (operante nei soli casi di cui ai nn. 1 e 2 dell'art. 43 c.p.p.: art. 5), alla opponibilità, sia pure limitata, del segreto di Stato (art. 4, commi 4 e 5), ed ai tipi di pronunce conclusive (tra le quali non sono più comprese quelle di proscioglimento);

che tale consistente riduzione dei poteri della Commissione costituisce di per sé una modificazione dei principi informatori della complessiva disciplina precedente, sufficiente, in base alla citata sentenza n. 68, a far cessare le operazioni referendarie;

che alla cessazione delle operazioni referendarie per effetto della legge n. 170 del 1978 non è di ostacolo la disposizione transitoria contenuta nell'articolo 10 della legge stessa; che, invero, essa non incide sulla disciplina generale ed astratta dettata dalla nuova legge, né sui principi ispiratori della stessa, essendo solo destinata a regolare, secondo una comune tecnica legislativa, il trattamento, in maniera parzialmente difforme dalla nuova regolamentazione, di taluni rapporti pendenti, concretamente individuabili in base al già avvenuto compimento di atti con rilevanza istruttoria;

che pertanto, complessivamente, la nuova disciplina si ispira a principi sostanzialmente diversi da quelli della precedente;

ritenuto che, in conclusione, le operazioni referendarie devono dichiararsi cessate.

Per questi motivi, l'Ufficio centrale per il "referendum"

dichiara che le operazioni, di cui alla richiesta di "referendum" popolare presentata il 30 giugno 1977, riguardante gli articoli 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 11 comma 1, limitatamente alle parole: »alla Commissione inquirente o , 12, limitatamente alle parole: »il quale ne informa immediatamente la Commissione inquirente , 13, 14 comma 1, limitatamente alle parole: »la Commissione inquirente o , 16 comma 1, limitatamente alle parole: »la Commissione inquirente o della legge 25 gennaio 1962 n. 20: »Norme sui procedimenti e giudizi di accusa , non hanno più corso.

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Ricorso dei promotori del referendum abrogativo alla Corte costituzionale contro l'ordinanza del 25 maggio 1978 dell'Ufficio centrale della Corte di cassazione

Ricorso del signor Giuseppe Calderisi, Andrea Bises, Glauco Pietroletti tutti domiciliati in Roma, ed elettivamente in Via della Scrofa 117, presso l'avvocato Corrado De Martini che li rappresenta ed assiste nella qualità di componenti e rappresentanti del Comitato Promotore del "Referendum" abrogativo della legge 25 gennaio 1962, n. 20 (limitatamente agli artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 11, 12, 13, 14, 16), quale rappresentante dei firmatari della relativa richiesta per conflitto di attribuzioni tra i poteri dello Stato a seguito dell'ordinanza dell'Ufficio Centrale per il "Referendum" - depositata nella Cancelleria della Corte suprema di cassazione il 25 maggio 1978 - con la quale l'Ufficio Centrale ha »dichiarato che le operazioni di cui alla richiesta di "referendum" popolare presentata il 30 giugno 1977, riguardante gli articoli 3 ,4, 5, 6, 7, 8, 9, 11 comma 1 limitatamente alle parole »il quale informa immediatamente la Commissione inquirente , 13, 14 comma 1, limitatamente alle parole »la Commissione in

quirente o della legge 25 gennaio 1962 n. 20 »Norme sui procedimenti e giudizi di accusa , non hanno più corso.

"Premessa". - E'noto alla Corte Ecc.ma che l'ordinanza del 25 maggio 1978 dell'Ufficio Centrale per il Referendum presso la Corte di cassazione è stato l'atto finale di una vicenda nella quale la stessa Corte costituzionale ha avuto occasione di intervenire più volte.

In data 30 giugno 1977 venivano presentate otto richieste di "referendum" (per l'abrogazione delle seguenti leggi: 97 articoli del codice penale; legge 22 maggio 1975 n. 152 recante disposizioni a tutela dell'ordine pubblico, n. 13 articoli della legge 25 gennaio 1962 n. 20 recante norme sui procedimenti e giudizi di accusa; r.d. 20 febbraio 1941 n. 303 c.p.m.p.; r.d. 9 settembre 1941 n. 1022 ordinamento giudiziario militare, legge 27 maggio 1929 n. 810 di esecuzione al trattato ed al Concordato tra l'Italia e la Santa Sede; legge 2 maggio 1974 n. 195 recante disposizioni sul finanziamento pubblico dei partiti; la legge 14 febbraio 1904 n. 36 recante disposizioni sui manicomi e sugli alienati.

Con ordinanze rese in data 6 dicembre 1977 l'Ufficio Centrale per il "referendum" dichiarava legittime le otto richieste di "referendum" come proposte, ad eccezione di quella riguardante la legge 22 maggio 1955 n. 152; il relativo quesito veniva infatti modificato nel senso di escludere dalla richiesta referendaria l'articolo 5 della legge, perché sostituito dall'articolo 2 legge 8 agosto 1977 n. 533.

Con sentenza resa in data 7 febbraio 1978 n. 16/78 la Corte costituzionale dichiarava ammissibili quattro delle otto richieste di "referendum": per l'esattezza quelle relative a 13 articoli della legge 25 gennaio 1962 n. 20, alla legge 2 maggio 1974 n. 195, alla legge 14 febbraio 1904 n. 36 ed alla legge 22 maggio 1975 n. 152 (con il quesito come modificato dall'Ufficio Centrale per il Referendum).

La Corte invece negava l'ammissibilità alle altre richieste. Affermava la Corte che l'articolo 7 Cost. fornisce una »copertura costituzionale ai Patti Lateranensi, ma anche alle norme di legge ordinaria che li hanno immessi nel nostro ordinamento (quale la legge 27 gennaio 1929 n. 810); sicché i Patti Lateranensi possono essere modificati solo per accettazione di entrambe le parti, mentre le norme di attuazione possono essere abrogate solo con lo strumento della legge costituzionale, ma non con quello della legge ordinaria (e quindi neppure con lo strumento del "referendum" abrogativo). E d'altra parte la stessa legge n. 810 del 1929 risulta non sottoponibile a "referendum" abrogativo in quanto legge di esecuzione di un trattato internazionale, come tale certamente ricompresa nel divieto di cui all'articolo 75 Cost.

Affermava inoltre la Corte che il r.d. 9 settembre 1941 n. 1022 risulta costituire un complesso di disposizioni legislative rette da un unico organico principio ispiratore; le disposizioni legislative fondamentali di tale disciplina (quale ad esempio l'art. 1) hanno un contenuto costituzionalmente vincolante, sicché il relativo nucleo normativo non può venire alterato o privato di efficacia senza che ne risultino lesi i corrispondenti specifici disposti costituzionali: donde la inammissibilità della relativa richiesta di abrogazione con lo strumento del "referendum".

Affermava infine la Corte nella stessa sentenza n. 16 del 1978 - che in questa parte è certamente rilevante anche ai fini del presente ricorso - che devono ritenere inammissibili le richieste formulate in modo tale che il relativo quesito da sottoporre al corpo elettorale contenga una pluralità di domande eterogenee, carenti di una matrice razionalmente unitaria; che infatti i quesiti posti agli elettori devono essere tali da esaltare e non da coartare la loro possibilità di scelta; che una richiesta riguardante molteplici complessi di questioni insuscettibili di essere ricondotte ad unità contraddice il principio democratico, incidendo di fatto sulla libertà del voto stesso in violazione degli articoli 1 e 48 Cost.; che la richiesta riguardante 97 articoli del c.p. concerne appunto una molteplicità di questioni, che è impossibile ricondurre ad unità, sicché un voto bloccato su tale insieme eterogeneo costringerebbe gli elettori a scelte che certo limitano o falsano la loro libertà di voto; e che pertanto ta

le richiesta appariva inammissibile.

In data 7 gennaio 1978 i signori Calderisi, Pallica e Pietroletti in nome o per conto del Comitato Promotore del Referendum abrogativo della legge 22 maggio 1975 n. 152, quale rappresentante dei firmatari della relativa richiesta proponevano ricorso innanzi questa Corte Ecc.ma per conflitto di attribuzioni in riferimento all'ordinanza dell'Ufficio Centrale 6 dicembre 1977 con la quale era stato modificato il quesito, escludendo dallo stesso l'articolo 5 legge 22 maggio 1975 n. 152.

Affermavano i ricorrenti che la »manipolazione del contenuto precessivo dell'articolo 5, operata dall'articolo 2 legge 8 agosto 1977 n. 533, non costituiva una sostanziale abrogazione di esso articolo 5, ma ne costituiva una mera sostituzione di carattere puramente formale, mentre ne aveva lasciati inalterati i contenuti.

Affermavano anche i ricorrenti che l'articolo 39 legge n. 352 del 1970 conferisce il potere all'Ufficio Centrale di dichiarare cessate le operazioni relative al "referendum" quando le disposizioni di legge oggetto del "referendum" stesso siano state abrogate, ma ciò solo nell'ipotesi di caducazione sostanziale del contenuto precettivo, e non anche nell'ipotesi di eliminazione formale, con contestuale reintroduzione delle stesse norme nell'ordinamento.

Ritenevano perciò i ricorrenti che l'Ufficio Centrale nel dare automatica applicazione all'articolo 39 legge n. 352 del 1970, anche in presenza di una mera sostituzione formale, e senza neppure sollevare questione di legittimità costituzionale dello stesso articolo 39 (così consentendo al Parlamento di aggirare una richiesta referendaria, con irrimediabile lesione degli interessi dei firmatari) avesse invaso la sfera di competenza costituzionale dei firmatari la richiesta referendaria e avesse violato il loro interesse costituzionalmente protetto a sottoporre a "referendum" tutti i contenuti normativi della legge n. 152 del 1975.

Con ordinanza n. 17 del 3 marzo 1978 la Corte costituzionale dichiarava, in sede di prima delibazione, l'ammissibilità del conflitto.

Nel corso del successivo giudizio, la Corte costituzionale, con ordinanza n. 14 del 12 aprile 1978 ha sollevato d'ufficio questione di legittimità costituzionale dell'articolo 39 legge 25 maggio 1970 n. 352, in riferimento all'articolo 75 Cost.

Con sentenza n. 68 del 17 maggio 1978 la Corte, nel decidere tale questione incidentale, affermava che la presentazione di una richiesta referendaria non paralizza la funzione legislativa del Parlamento che è potenzialmente inesauribile, sicché il Parlamento può come abrogare puramente e semplicemente le norme sottoposte a "referendum", così sostituirlo con altre e diverse.

Peraltro è da escludere che uno dei tipici mezzi di esercizio della sovranità popolare possa essere sottoposto a vicende risolutive che rimangono affidate alla piena ed insindacabile disponibilità del legislatore ordinario, cui verrebbe consentito di bloccare il "referendum" adottando una qualsiasi disciplina sostitutiva.

Pertanto - affermava la Corte - l'articolo 39 legge n. 352 del 1970, ove interpretato nel senso che qualsiasi abrogazione, anche se accompagnata da una sostituzione puramente formale, potesse dar luogo alla cessazione delle operazioni referendarie, deve ritenersi costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l'articolo 75 Cost.

La Corte si è pertanto posto il problema dei limiti entro cui può legittimamente verificarsi il blocco delle operazioni referendarie, individuandone la chiave di risoluzione nella »intenzione del legislatore - obiettivatasi nella nuova disciplina - si dimostra fondamentalmente diversa e peculiare, la nuova legislazione non è più ricollegabile alla precedente iniziativa referendaria e questa può essere bloccata, se invece »l'intenzione del legislatore rimane sostanzialmente identica, nonostante modifiche formali o di dettaglio, l'iniziativa referendaria non può essere bloccata, ed il "referendum" »si trasferisce alla legislazione sopravvenuta .

Con queste premesse, la Corte affermava che l'Ufficio Centrale per il "referendum", in caso di nuova sopraggiunta disciplina, è chiamato a valutare, ove sia stata sottoposta a "referendum" un'intera legge e la nuova disciplina la sostituisca integralmente, se i principi ispiratori della nuova legge siano mutati rispetto alla precedente - dichiarando cessate le operazioni referendarie soltanto in questa seconda ipotesi; ed ove la richiesta concerna singole disposizioni se i contenuti normativi essenziali delle nuove disposizioni siano o meno mutati - dichiarando cessate le operazioni soltanto in questo caso.

Sulla base di questa decisione, il giudizio per conflitto di attribuzioni è stato definito (con sentenza n. 69 del 23 maggio 1978) accogliendo il ricorso.

Ma la sentenza n. 68 del 1978 ha spiegato effetti ben al di là del caso specifico.

Ed infatti, il Parlamento nel frattempo aveva abrogato i 13 articoli della legge 25 gennaio 1962 n. 20, oggetto della richiesta referendaria con l'articolo 9 legge 10 maggio 1978 n. 170 »Norme sui procedimenti di accusa di cui alla legge 25 gennaio 1962 n. 20 , che contiene altresì una disciplina sostitutiva di tutte le norme abrogate.

Sicché l'Ufficio Centrale - chiamato, ai sensi dell'articolo 39 legge n. 352 del 1970, a valutare se le operazioni relative al "referendum" abrogativo delle disposizioni della legge 25 gennaio 1962 n. 20 dovessero esser dichiarate cessate in conseguenza di tale abrogazione - nel corso di tale giudizio si è formalmente richiamato al contenuto precettivo della sentenza n. 68 del 1978.

A giudizio dei ricorrenti, peraltro, l'Ufficio Centrale per il "referendum" ha male interpretato e peggio applicato i principi e le indicazioni che la Corte costituzionale ha dato con la citata sentenza in tal modo violando l'interesse costituzionalmente protetto dei firmatari della richiesta referendaria di sottoporre a "referendum" i tredici articoli della legge 25 gennaio 1962 n. 20 - o/e anche secondo le indicazioni della Corte costituzionale, le nuove disposizioni di cui alla legge 10 maggio 1978 n. 170.

Presupposti soggettivi. - Le pregresse vicende esimono dal diffondersi sui profili di ammissibilità del presente ricorso per conflitto di attribuzioni.

Sarà sufficiente richiamare a questo fine il precedente specifico dell'ordinanza n. 17 del 1978 della Corte costituzionale.

La legittimazione attiva dei ricorrenti appare fondata da un lato sul riconoscimento - effettuato dall'articolo 75 Cost. - che la frazione del corpo elettorale, non inferiore a 500.000 elettori, firmatari di una richiesta referendaria è titolare dell'esercizio di una pubblica funzione costituzionalmente rilevante e garantita; ossia che, quale »struttura organizzativa de, corpo elettorale titolare di un autonomo potere di volontà , è un soggetto di rilevanza costituzionale, dotato di autonoma competenza; dall'altro lato, dalla considerazione che la competenza a dichiarare la volontà di tale »potere spetta certamente ai promotori, come è reso evidente dal fatto che la legge n. 352 del 1970 attribuisce e riconosce ai promotori i poteri di iniziativa, intervento e difesa degli interessi dei sottoscrittori in relazione alla richiesta di "referendum" (cfr. artt. 28, 32, 33).

La legittimazione passiva dell'Ufficio Centrale per il Referendum appare fondata sull'assorbente considerazione che ad esso solo compete di decidere definitivamente sulla legittimità delle richieste (art. 32 legge n. 352 del 1970).

Presupposto oggettivo. - I ricorrenti lamentano che l'Ufficio Centrale per il "referendum" abbia illegittimamente dichiarate cessate le operazioni relative al "referendum" abrogativo di 13 articoli della legge 25 gennaio 1962 n. 20, in conseguenza dell'entrata in vigore della legge 10 maggio 1978 n. 170 male interpretando e peggio applicando - per i motivi che appresso indichiamo - l'articolo 39 legge 25 maggio 1970 n. 352 anche nella »lettura datagli dalla sentenza della Corte costituzionale n. 68 del 1978; e che in tal modo ha violato interesse costituzionalmente protetto dei promotori il "referendum", incidendo ed invadendo la sfera dei poteri a questi riservati.

"Oggetto e motivi". 1. L'Ufficio Centrale per il "referendum" nel dichiarato intento di adeguarsi e far propria l'interpretazione dell'articolo 39 legge n. 352 del 1970 dettata nella sentenza n. 68 del 1978 della Corte costituzionale, ha condotto preliminarmente l'indagine sulla natura e l'ambito delle modifiche introdotte alla precedente disciplina della legge 10 maggio 1978 n. 170, affermando che pur essendo oggetto della richiesta referendaria singole disposizioni legislative o locuzioni estrapolate di esse, queste tuttavia costituiscono un complesso normativo sostanzialmente unitario. Con la conseguenza che l'indagine sulla »innovatività della nuova disciplina rispetto alla precedente, ossia alla sua valenza sostanzialmente modificatrice andrebbe condotta sui principi ispiratori dell'una e dell'altra disciplina.

Senonché, tali affermazioni dell'Ufficio Centrale appaiono fondarsi su un equivoco ed un errore di prospettiva.

I tredici articoli della legge 25 gennaio 1962 n. 20 sono ben lungi dal dettare "l'intera" disciplina, e neppure la »disciplina essenziale dei poteri e dei modi di funzionamento della Commissione prevista dall'articolo 12 legge cost., n. 1 del 1953 .

Va infatti considerato che, a parte quest'ultima norma, e quelle contenute nelle leggi cost. 11 marzo 1953 n. 87 e 22 novembre 1967 n. 2, la materia dei procedimenti di accusa, ed in particolare il funzionamento della Commissione inquirente sono disciplinati: dal regolamento parlamentare per i procedimenti di accusa, approvato dalla Camera dei Deputati il 14 luglio 1961 e dal Senato della Repubblica il 20 luglio 1961; dal Regolamento della Camera dei Deputati, approvato il 18 febbraio 1971 ("Gazzetta Ufficiale" n. 52 del 1· marzo 1971); dalle Norme integrative per i giudizi di accusa innanzi la Corte costituzionale in "Gazzetta Ufficiale" n. 320 del 15 dicembre 1962; dalle Norme integrative per i giudizi di accusa innanzi la Corte costituzionale in "Gazzetta Ufficiale" n. 71 del 16 marzo 1956.

In questa congerie di norme, le disposizioni contenute nella legge 25 gennaio 1962 n. 20 costituiscono "soltanto una" delle fonti normative dei poteri e dei modi di funzionamento della Commissione; ma altre fonti vi sono, e di non secondaria importanza.

Tutto ciò appare evidentissimo in relazione agli istituti del proscioglimento e dell'archiviazione.

Il primo era regolato dal comma 5 dell'articolo 7 legge n. 20 del 1962, "ed anche" dall'articolo 20 del regolamento parlamentare. Orbene, l'articolo 7 legge n. 20 del 1962 è stato abrogato dalla legge n. 170 del 1978, che non contempla neppure l'ipotesi del proscioglimento; ma l'articolo 20 del regolamento è tuttora in vigore, non potendosi certo ritenere implicitamente abrogato stante la riserva di cui all'articolo 64 Cost. Con la conseguenza che è assai dubbio che la Commissione abbia perso il potere di prosciogliere.

L'archiviazione era regolata dall'articolo 7, comma 5, ed anche dagli articoli 17 e 18 del regolamento parlamentare. La legge n. 170 del 1978 ha abrogato l'articolo 7 legge n. 20 del 1962, reintroducendo peraltro l'archiviazione all'articolo 6; ma modalità ed efficacia di essa risultano tuttora disciplinati dal regolamento parlamentare (fra l'altro, in contrasto con l'art. 74 c.p.p.).

In questa situazione, l'affermazione dell'Ufficio Centrale, secondo cui i tredici articoli della legge n. 20 del 1962 sottoposti a "referendum" contenevano in disciplina essenziale della Commissione, appare esser il frutto di un grave errore di prospettiva; così come sembra potersi escludere che la legge n. 170 del 1978 contenga - essa almeno - una disciplina esaustiva dei poteri e dei modi di funzionamento della Commissione.

In realtà, l'Ufficio Centrale è caduto nell'errore di prospettiva di ritenere che più disposizioni normative concernenti lo stesso tema costituiscono per ciò solo un complesso normativo unitario.

Un'appena attenta riflessione sulla giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di ammissibilità delle richieste referendarie sarebbe stata sufficiente per evitare di cedere nell'errore di prospettiva e valutazione.

Con la sentenza n. 16 del 1978, infatti, la Corte costituzionale ha affermato che sono inammissibili le richieste referendarie e contenenti una pluralità di domande, carenti di una matrice razionalmente unitaria.

Ciò nonostante, con la successiva sentenza n. 68 del 1978, la Corte ha esplicitamente ammesso, con riguardo al problema dell'abrogazione con sostituzione della precedente disciplina, la legittimità di una richiesta referendaria riguardante più disposizioni specifiche (anziché un'intera legge).

Anche in questo caso può, anzi deve, riscontrarsi una matrice unitaria comune a tutte le disposizioni investite dalla richiesta referendaria, perché possa darsi ingresso alla richiesta referendaria; ma non per questo esse disposizioni costituiscono un complesso unitario ed organico ai fini delle valutazioni da compiere ai sensi dell'articolo 39 legge n. 352 del 1970.

L'Ufficio Centrale è invece caduto in questo tipo di equiparazione nel valutare la richiesta di "referendum" di alcune disposizioni della legge n. 20 del 1962 in relazione all'abrogazione con sostituzione operata dalla legge n. 170 del 1978: conducendo così il raffronto, ai sensi dell'articolo 39 legge n. 352 del 1970, tra i due complessi normativi, anziché tra i singoli contenuti precettivi.

Se avesse condotto il raffronto di questo ultimo modo - l'unico legittimo nella specie - non avrebbe potuto non riscontrare che il contenuto precettivo essenziale delle singole disposizioni della legge n. 170 del 1978 è pressoché identico a quello delle disposizioni investite dalla richiesta referendaria, come avevano rilevato i ricorrenti nella memoria depositata in quella sede: e non avrebbe conseguentemente dichiarate cessate le relative operazioni referendarie, trasferendole al contrario alla nuova disciplina.

2. L'Ufficio Centrale è poi caduto in un secondo e più grave errore di interpretazione e valutazione anche nella prospettiva di raffronto adottata.

Ammesso, infatti - ma non concesso - che il raffronto andasse condotto fra i principi ispiratori cui si informano rispettivamente le disposizioni della legge n. 20 del 1962 e la legge n. 170 del 1978, tale raffronto andava condotto per l'appunto sui principi ispiratori, o - secondo l'insegnamento della Corte costituzionale - sulla rispettiva »intenzione del legislatore .

Orbene, si legge nell'ordinanza 24 maggio 1978 che »la nuova disciplina (di cui alla legge n. 170 del 1978) ... è fondamentalmente caratterizzata, pur nella sopravvivenza di taluni contenuti normativi presenti nell'ordinamento abrogato, "dal depotenziamento della Commissione" ; ... »tale consistente "riduzione di poteri" della Commissione costituisce di per sé una modificazione dei principi informatori della complessiva disciplina precedente... .

In realtà, quindi, l'Ufficio non ha operato un raffronto tra le due rispettive "ratio legis", tra le »intenzioni del legislatore estrinsecatesi nelle due discipline; si è al contrario fermato "in limite", alla constatazione che la nuova legge ha ridotto i poteri della Commissione. Ma anche ammesso che l'osservazione sia esatta, va rilevato che - contrariamente a quanto afferma l'Ufficio Centrale - una riduzione dei poteri non costituisce affatto »di per sé una modificazione dei principi informatori. Quella potrà, tutt'al più, costituire una conseguenza di questa, o ne potrà costituire un indizio o al massimo una prova; ma il raffronto va condotto sui principi, sulle »intenzioni del legislatore , e non sulle ultime conseguenze degli stessi.

Riduzione dei poteri e depotenziamento sono fenomeni indifferenti rispetto all'individuazione dei principi ispiratori di una disciplina complessiva: essi possono realizzarsi anche se i principi ispiratori sono rimasti identici - che è per l'appunto, quanto alla specie è avvenuto.

Ammesso che la legge n. 170 del 1978 abbia effettivamente ridotto i poteri della Commissione (il che è dubbio anche in considerazione della sopravvivenza delle norme del Regolamento parlamentare), quel che è certo è che i principi ispiratori delle due discipline ne sono rimasti identici.

Ed infatti il principio informatore della disciplina contenuta nella legge n. 20 del 1962 è certamente da rinvenire nell'attribuzione alla Commissione parlamentare dei poteri, delle facoltà e dei compiti tipici della magistratura inquirente.

La disciplina della legge n. 20 del 1962 è infatti caratterizzata, oltreché dal nome (inquirente) - che è elemento ovviamente accidentale - dall'attribuzione alla Commissione, tra le altre, delle seguenti potestà:

a) potere di compiere atti istruttori, nelle forme previste dal c.p.p.;

b) potere di emettere provvedimenti di restrizione della libertà personale;

c) potere di emettere provvedimento di archiviazione;

d) potere di dichiarare la propria competenza ovvero la propria incompetenza;

e) potere di formulare l'accusa.

Tutte queste potestà sono tipiche e proprie degli organi della magistratura inquirente.

La conclusione è avvalorata e confermata dalla segretezza del procedimento del tutto analoga nello svolgimento alla segretezza dell'istruttore penale: e dal riconoscimento delle garanzie della difesa in favore dell'indiziato.

E' quindi evidente che la legge n. 20 del 1962 aveva creato un organo in tutto e per tutto omogeneo al pubblico ministero nel procedimento penale in; fase istruttoria: donde conseguiva - per la quasi totalità della dottrina - l'illegittimità costituzionale della disciplina per contrasto dell'articolo 12 legge cost. 11 marzo 1953 n. 1.

Orbene, secondo la nuova disciplina dettata dalla legge 10 maggio 1978 n. 170, la Commissione ha perso il nome di »inquirente , ma "ha conservato tutte le potestà" sopra enumerate sotto le lettere a), b), c), d), e) così come permane la segretezza del procedimento nonché la garanzia della difesa (salva una grave smagliatura).

Alcune di tali proprietà sono state riconosciute nella nuova disciplina in modo pressoché analogo; altre - come quella "sub a)" - ha ricevuto modificazioni sostanziali.

Le vere modificazioni sostanziali della disciplina in realtà concernono istituti in un qualche modo esultanti dallo schema tipico sopra delineato, o comunque tali da non alterare il senso profondo e complessivo della normativa; così l'eliminazione (ammesso che di eliminazione si tratti) dell'istituto del proscioglimento - che era chiaramente incostituzionale - e che comunque non rientra certo tra i poteri degli organi della magistratura inquirente; così il diverso regime della connessione che apporta certamente chiarezza e semplificazione ma non incide in alcun modo sulla somma e sulla natura dei poteri attribuiti alla Commissione (a parte la considerazione che la norma relativa della legge n. 20 del 1962 non è sottoposta nella sua intierezza a "referendum").

Non può invece essere considerata una modificazione sostanziale la fissazione di un termine (art. 4, comma 2 e 3), stante l'ampiezza del termine stesso, e la idoneità della norma ad alterare i principi ispiratori del sistema.

Alla luce di tutto quanto sopra, è evidente che l'Ufficio Centrale ha illegittimamente bloccato le operazioni referendarie; e che al contrario avrebbe dovuto dar corso al "referendum", trasferendolo sulla nuova normativa.

3. Vi è infine un ulteriore grave errore di interpretazione di valutazione, in cui è incorso l'Ufficio Centrale.

I ricorrenti nella memoria depositata, avevano richiamato l'attenzione dell'Ufficio sulla disposizione dell'articolo 10 legge n. 170 del 1978, secondo la quale le norme di cui agli articoli 4 e 5 stessa legge non si applicano ai procedimenti già in corso.

La norma, di formulazione infelicissima, ha l'unico scopo, come si evince dalla relazione, di assicurare che ai procedimenti in corso continuino ad applicarsi le vecchie norme, con palese violazione di tutti i principi sulla successione delle norme penali nel tempo.

Ma se così è, appare chiaro che le norme che si assumono abrogate (ai sensi dell'art. 9 legge n. 170 del 1978) sono in realtà tuttora in vigore. Con la conseguenza che in definitiva il procedimento di accusa, nella fase relativa all'attività della Commissione è "regolato da due complessi di norme": quelle di cui alla legge n. 20 del 1962 per i procedimenti in corso, e quelle di cui alla legge n. 170 del 1978 per i procedimenti futuri.

L'Ufficio Centrale si è liberato di questo problema affermando che l'articolo 10 »è destinato a regolare, secondo una comune tecnica legislativa, il trattamento, in maniera parzialmente difforme dalia nuova regolamentazione di taluni rapporti pendenti .

Ma il problema vero, nella specie, non è solo di individuare il contenuto precettivo dell'articolo 10, o di operare valutazioni sulla tecnica legislativa adottata: il punto è che una frazione del corpo elettorale ha esercitato il potere costituzionalmente garantito di richiedere l'abrogazione di alcune norme, che esse norme sono tuttora in vigore e regolano una serie di rapporti che sono impliciti di tali norme, l'iniziativa referendaria è stata bloccata e si è così sottratto al popolo il potere di esprimere e manifestare la propria sovranità.

Quand'anche, quindi, per assurdo, si dovesse ritenere che la legge n. 170 del 1978 è retta da principi ispiratori totalmente nuovi e diversi da quelli che anche numericamente rilevanti; che pur non essendovi abrogazione neppure sono sottesi alla legge n. 20 del 1962, non può negarsi che il "referendum" deve ugualmente aver luogo sulla legge n. 20 del 1962, per quanto questo è ancora in vigore.

Per questi motivi, il Comitato Promotore della richiesta di Referendum su tredici articoli della legge 25 gennaio 1962 n. 20, in persona e rappresentato come in atti;

chiede che la Ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del presente ricorso voglia dichiarare che all'Ufficio Centrale per il Referendum presso la Corte suprema di cassazione non è attribuito il potere di dichiarare cessate le operazioni di cui alla richiesta di "referendum" popolare riguardante tredici articoli della legge 25 gennaio 1962 n. 20, nei limiti e per i motivi sopra enunciati, e voglia conseguentemente annullare l'ordinanza dell'Ufficio Centrale per il Referendum depositata in data 25 maggio 1978.

Corte costituzionale

Ordinanza 8 gennaio 1979, n. 2

La Corte costituzionale ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da Giuseppe Calderisi, Andrea Bises, Glauco Pietroletti, in nome e per conto del »Comitato promotore del "referendum" abrogativo della legge 25 gennaio 1962, n. 20 , quale rappresentante dei firmatari della relativa richiesta, pervenuta in cancelleria il 23 ottobre 1978 ed iscritto al n. 15 del registro a.r. 1978, per conflitto di attribuzione sorto a seguito dell'ordinanza dell'Ufficio centrale per il "referendum" presso la Corte di cassazione, depositata nella cancelleria della Corte di cassazione il 25 maggio 1978, con la quale si dichiara che »le operazioni di cui alla richiesta di "referendum" popolare, presentata il 30 giugno 1977, riguardante gli articoli 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 e 11, comma primo, 12, limitatamente alle parole »il quale ne informa immediatamente la Commissione inquirente , 13, 14, comma primo, limitatamente alle parole »la Commissione inquirente o , 16, comma primo, limitatamente alle parole »la Commissi

one inquirente o della legge 25 gennaio 1962, n. 20 - »Norme sui procedimenti e giudizi di accusa - non hanno più corso.

Udito nella camera di consiglio del 20 novembre 1978 il Giudice relatore Antonio La Pergola.

Ritenuto che il Comitato promotore del "referendum" abrogativo della legge 25 gennaio 1962, n. 20 (limitatamente agli articoli 2, 3, 4, 6, 7, 8, 9, 11, 12, 13, 14, 16) ha, in rappresentanza dei firmatari della relativa richiesta, sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dell'Ufficio centrale per il "referendum" presso la Corte di cassazione deducendo, con ricorso in data 23 ottobre 1978 che, nel corso della procedura conseguente alla presentazione della suddetta richiesta di "referendum", il Parlamento ha con l'articolo 9 della legge 10 maggio 1978, n. 170 - »Norme sui procedimenti di accusa di cui alla legge 25 gennaio 1962, n. 20 - abrogato i tredici articoli della legge oggetto della richiesta referendaria, ed ha dettato altresì una disciplina sostitutiva di tutte le norme abrogate; che nella specie vengono presi in considerazione i criteri enunciati da questa Corte con le sentenze n. 68 e 69 del 1978: e precisamente, vertendo la richiesta di "referendum" su singole disposizioni di legge, che l'

Ufficio centrale per il "referendum" era tenuto prima di dichiarare cessate le relative operazioni ai sensi dell'articolo 39 della legge n. 352 del 1970, a valutare se la nuova disciplina lasciasse inalterato l'essenziale contenuto normativo dei precetti puntualmente indicati dai promotori nella loro richiesta, ed in questa evenienza a disporre che il "referendum" fosse trasferito alla normazione sopravvenuta; che l'Ufficio centrale per il "referendum" avrebbe erroneamente applicato l'articolo 39 della legge n. 352 del 1970 al caso in esame, ritenendo che la legge 10 maggio 1978 abbia sostanzialmente modificato la preesistente legislazione oggetto del quesito referendario, laddove, alla stregua dei canoni ermeneutici indicati nelle citate sentenze di questa Corte, esso avrebbe dovuto ritenere il contrario; che pertanto l'ordinanza dell'Ufficio centrale per il "referendum", depositata il 25 maggio 1978, avrebbe, col dichiarare cessate le operazioni referendarie, violato gli interessi costituzionalmente protet

ti dei promotori del "referendum", ed invaso la sfera a questi riservata.

Ritenuto che dai ricorrenti viene chiesto a questa Corte di dichiarare che all'Ufficio centrale per il "referendum" non è attribuito il potere di disporre la cessazione delle operazioni di cui alla richiesta di "referendum" riguardante gli articoli 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, comma primo, 12, limitatamente alle parole »il quale ne informa immediatamente la Commissione inquirente , 13, 14, comma primo, limitatamente alle parole »la Commissione inquirente o , 16, comma primo, limitatamente alle parole »la Commissione inquirente o della legge 25 gennaio 1962, n. 20 - »Norme sui procedimenti e giudizi di accusa - e di annullare conseguentemente l'ordinanza dell'Ufficio centrale per il "referendum" depositata in data 25 maggio 1978.

Considerato che a norma dell'articolo 37, terzo e quarto comma, della legge n. 87 del 1953, la Corte è in questa fase chiamata a deliberare senza contraddittorio se il ricorso sia ammissibile, in quanto esista »la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza , rimanendo impregiudicata, ove la pronuncia sia di ammissibilità, la facoltà delle parti di proporre nel corso ulteriore del giudizio, anche su questo punto, istanze ed eccezioni.

Che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, per determinare se vi sia materia di conflitto deve accertarsi unicamente, in via di prima deliberazione, la concorrenza dei requisiti di ordine soggettivo ed oggettivo prescritti dal primo comma dell'articolo 37 della legge n. 87 del 1953, e cioè se il conflitto sorga fra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono, e per la delimitazione della sfera di attribuzioni, determinata, per i vari poteri, da norme costituzionali.

Che, dal punto di vista soggettivo - come questa Corte ha in altre pronunzie affermato (ordinanza n. 17 e sentenza n. 69 del 1978) - la frazione del corpo elettorale, identificata dall'articolo 75 della Costituzione in almeno cinquecentomila elettori firmatari di una richiesta di "referendum" abrogativo, è, in virtù delle funzioni ad essa attribuite e garantite dalla Costituzione, assimilabile ad un potere dello Stato, e così legittimata a sollevare conflitto di attribuzione ai sensi dell'articolo 134 Cost. e 37 della legge 87 del 1953; che competenti a dichiarare in questa sede le volontà dei firmatari della richiesta devono considerarsi i promotori ed, in quanto sono anche promotori, i presentatori della richiesta stessa; che d'altra parte sussiste la legittimazione passiva dell'Ufficio centrale presso la Corte di cassazione, in quanto organo investito, in via esclusiva e definitiva, del potere sia di decidere sulla legittimità delle richieste di "referendum" abrogativo, sia di disporre la cessazione delle

relative operazioni, nei limiti previsti, secondo la sentenza n. 68 del 1978, nell'articolo 39 della legge 352 del 1970.

Che, sotto il profilo oggettivo, il conflitto sollevato attiene alla sfera di applicazione dell'istituto del "referendum" abrogativo configurato dal testo costituzionale, essendo stato dedotto dai ricorrenti che l'Ufficio centrale per il "referendum" non aveva il potere di disporre la cessazione delle operazioni relativa al "referendum" abrogativo degli articoli 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, comma primo, 12, limitatamente alle parole »il quale ne informa immediatamente la Commissione inquirente , 13, 14, comma primo, limitatamente alle parole »la Commissione inquirente o , 16 comma primo, limitatamente alle parole »la Commissione inquirente o della legge 25 gennaio 1962, n. 20 - »Norme sui procedimenti e giudizi di accusa : e ciò sull'assunto che ai promotori del "referendum" è garantita la funzione di provocare lo svolgimento della consultazione popolare anche con riguardo alle norme sopravvenute nelle more della procedura, le quali non modifichino l'essenziale contenuto normativo dei singoli precetti indic

ati nella richiesta referendaria.

Per questi motivi la Corte costituzionale

riservato ogni definitivo giudizio circa l'ammissibilità e circa il merito del ricorso;

dichiara ammissibile, ai sensi dell'articolo 37 della legge n. 87 del 1953, il ricorso per conflitto di attribuzione di cui in epigrafe.

Dispone:

a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione al Comitato ricorrente, nelle persone di tutti i suoi componenti come indicato in ricorso, della presente ordinanza;

b) che, a cura del Comitato ricorrente il ricorso e la presente ordinanza siano notificati all'Ufficio centrale per il "referendum" presso la Corte di cassazione, entro giorni 20 dalla data di ricevimento della comunicazione di cui sopra.

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Corte costituzionale

Sentenza 20 marzo 1980, n. 31

La Corte costituzionale ha pronunciato la seguente sentenza sul ricorso proposto da Calderisi Giuseppe, Bises Andrea e Pietroletti Glauco, in nome e per conto del Comitato promotore del "referendum" abrogativo della legge 25 gennaio 1962, n. 20 (limitatamente agli artt. 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e a parte degli artt. 11, 12, 13, 14 e 16), ricorso depositato in Cancelleria il 31 gennaio 1979 ed iscritto al n. 4 del registro 1979, per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dell'ordinanza 24 maggio 1978, dell'Ufficio centrale per il "referendum" presso la Corte di cassazione, che ha dichiarato non aver più corso le operazioni di cui alla richiesta di "referendum" popolare presentato il 30 giugno 1977, riguardante i suddetti articoli della legge n. 20 del 1962.

Vista l'ordinanza n. 2 dell'8 gennaio 1979, con la quale questa Corte ha dichiarato ammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione di cui sopra;

udito nell'udienza pubblica del 6 aprile 1979 il Giudice relatore Antonio La Pergola;

uditi gli avvocati Corrado De Martini e Mauro Mellini per Calderisi Giuseppe, Bises Andrea e Pietroletti Glauco.

"Ritenuto in fatto":

1. - Col ricorso in epigrafe Giuseppe Calderisi, Andrea Bises e Glauco Pietroletti, tre dei promotori del "referendum" abrogativo della legge 25 gennaio 1962, n. 20 (limitatamente agli artt. 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 11, 12, 13, 14, 16) hanno in rappresentanza dei firmatari della relativa richiesta, sollevato conflitto di attribuzione fra i poteri dello Stato in riferimento all'ordinanza dell'Ufficio centrale per il "referendum", depositata presso la cancelleria della Corte di cassazione, con la quale l'Ufficio centrale disponeva la cessazione delle operazioni connesse con detta richiesta.

2. - La suddetta richiesta di "referendum" era stata presentata il 30 giugno 1977; successivamente l'Ufficio centrale, con ordinanza in data 6 dicembre 1977 e questa Corte con sentenza n. 16 del 1978 ne dichiaravano - rispettivamente, ai sensi dell'articolo 32 della legge n. 352 del 1970 e 33 della stessa legge e dell'articolo 2 l. cost. 11 marzo 1953 n. 1 - la legittimità e l'ammissibilità.

3. - Nelle more della procedura, venivano presentate altre otto richieste di "referendum" abrogativo; di esse tutte, l'Ufficio centrale dichiarava successivamente la legittimità, con la sola eccezione della richiesta riguardante l'articolo 5 legge 22 maggio 1975, che veniva escluso dal "referendum", in quanto costituito dall'articolo 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533. Dal canto suo, con sentenza n. 16 del 1978, la Corte dichiarava ammissibili quattro delle otto richieste referendarie sopra menzionate, incluse quelle concernenti la legge 152 del 1975. Dal quesito referendario rimaneva tuttavia eccettuato l'articolo 5 di quest'ultima legge, come aveva disposto la citata ordinanza dell'Ufficio centrale. In riferimento a tale ordinanza, i promotori del "referendum" abrogativo della legge n. 152 del 1975, proponevano quindi, il 7 gennaio 1978, ricorso per conflitto di attribuzione fra i poteri dello Stato; il conflitto era da questa Corte dichiarato ammissibile con ordinanza n. 17 del 1978. Nel corso del giudiz

io così instaurato, la Corte sollevava d'ufficio, con ordinanza n. 44 del 1978, questione di legittimità costituzionale dell'articolo 39 della legge n. 352 del 1970, per possibile contrasto con l'articolo 75 Cost.; la questione veniva successivamente decisa con sentenza n. 68 del 1978. Tale pronunzia dichiara l'illegittimità dell'articolo 39, in quanto esso dispone che l'abrogazione delle leggi, degli atti legislativi, o delle singole disposizioni, a cui si riferisce il "referendum", implichi in ogni caso la cessazione delle relative operazioni. Nella stessa decisione sono enunciati i criteri discretivi che soccorrono l'Ufficio centrale nell'applicare il disposto della norma in questione; criteri che il legislatore aveva, appunto, mancato di stabilire. Lo svolgimento della consultazione popolare resta necessariamente precluso - è stato affermato in quel giudizio - soltanto quando le norme contemplate dalla richiesta referendaria siano state espressamente abrogate, e l'abrogazione non venga accompagnata da al

tra disciplina della stessa materia. Diversamente, l'Ufficio centrale è tenuto ad accertare, prima di dichiarare cessate le operazioni in corso, che la nuova normativa abbia modificato i principi ispiratori della legge, dell'atto avente forza di legge, (comunque, dell'intero ed organico corpo) della disciplina preesistente, ovvero gli essenziali contenuti normativi dei singoli precetti, dei quali sia stata richiesta l'abrogazione popolare. Dove non ricorrano siffatti estremi, si rende necessaria una diversa soluzione. I principi costituzionali - è stato al riguardo precisato - esigono da un canto che l'abrogazione non possa non dispiegare i suoi effetti, dall'altro che non vada frustrata l'iniziativa assunta dai promotori del "referendum" con riguardo alla legislazione preesistente. L'Ufficio centrale dovrà, allora, trasferire dalla normazione anteriore a quella sopravvenuta il quesito referendario che è sottoposto agli elettori.

Il conflitto di attribuzione instaurato dai promotori del "referendum" veniva conseguentemente deciso con sentenza n. 69 del 1978: l'Ufficio centrale, ha statuito la Corte, non è costituzionalmente investito del potere di disporre la cessazione delle operazioni referendarie senza prima aver accertato, secondo i criteri sopra descritti, se le leggi, gli atti legislativi o le singole disposizioni, cui il "referendum" si riferisce, risultino o no sostanzialmente modificati dalla normazione "medio tempore" intervenuta.

4 - Nel ricorso introduttivo del presente giudizio, i promotori del "referendum" deducono che l'Ufficio centrale ha erroneamente applicato alla specie i canoni ermeneutici enunciati nelle suddette pronunzie della Corte. L'organo decidente avrebbe, altresì, trascurato che gli articoli 10 e 11 della legge 10 maggio 1978, n. 170 »Nuove norme sui procedimenti di accusa di cui alla legge 25 gennaio 1962, n. 20 , mantengono ancora in vigore - con riguardo ai procedimenti presso la Commissione inquirente, per i quali siano già stati compiuti atti aventi rilevanza istruttoria - le norme della legge n. 20 del 1962, che formavano oggetto della richiesta di "referendum": con il risultato che, nei confronti di tali ultime norme, la nuova disciplina non avrebbe prodotto quell'effetto abrogativo al quale l'ulteriore effetto preclusivo della consultazione referendaria è logicamente subordinato. All'erroneo procedimento interpretativo così denunziato sarebbe conseguita la decisione impugnata col ricorso per asserita invasio

ne della sfera garantita ai promotori del "referendum". Il conflitto di attribuzione sorgerebbe dunque, con riguardo alla sfera di applicazione dell'istituto del "referendum", fra la frazione del corpo elettorale che ha promosso la consultazione elettorale e l'Ufficio centrale, che ha disposto la cessazione delle relative operazioni.

5. - In successive memorie, e all'udienza pubblica del 6 aprile 1979, la difesa dei promotori del "referendum" ha insistito nelle conclusioni già prese, per dedurre l'ammissibilità e la fondatezza del ricorso. I ricorrenti eccepiscono altresì in via pregiudiziale l'incostituzionalità, vuoi dell'intera legge n. 170 del 1978, per presunto contrasto con gli articoli 1, comma secondo, e 75 Cost., vuoi - in riferimento, oltre che ai citati precetti, all'articolo 48 Cost. - dell'articolo 3 legge n. 352 del 1970. L'una e l'altra questione di legittimità costituzionale sono prospettate sul presupposto che, una volta indetto il "referendum", il potete di abrogare o modificare le norme, investite dalla relativa richiesta, sia sottratto al monopolio del parlamento e restituito al popolo: al quale, si dice, sarebbe così garantito il concreto e diretto esercizio della sovranità che ad esso costituzionalmente appartiene, non importa se in contrasto con gli orientamenti espressi dalla maggioranza parlamentare. La potestà a

ltrimenti devoluta all'organo legislativo incontrerebbe qui un limite di ordine temporale; la legge n. 170 del 1978 - in quanto emanata in ispreto a tal limite, dopo che il "referendum" sulle norme da essa poste era stato indetto, e allo scopo prevalente di precluderne lo svolgimento - risulterebbe viziata da eccesso di potere e frode alla Costituzione. Nel merito, si afferma che l'Ufficio centrale avrebbe condotto le indagini ad esso riservate assumendo erroneamente che le disposizioni della legge n. 20 del 1962, oggetto della richiesta referendaria, esaurissero la disciplina dei poteri e del funzionamento della Commissione inquirente, e andassero, quindi, poste a raffronto con le sopravvenienti norme della legge n. 170 del 1978 sotto il profilo dei rispettivi principi ispiratori. L'organo decidente avrebbe comunque errato nell'applicazione del criterio prescelto, ritenendo di poter ricostruire detti principi in base alla pura e semplice ricognizione quantitativa delle attribuzioni affidate alla Commissione

nella vecchia legge e nella nuova, senza indagarne la natura e senza risalire agli intenti perseguiti dal legislatore nel configurarle. Si osserva altresì dai ricorrenti che gli articoli 10 e 11 della legge n. 170 del 1978, con l'eccettuare dal nuovo regime i procedimenti in corso per i quali siano stati compiuti atti di rilevanza istruttoria, implicherebbe un'ingiustificata discriminazione nel trattamento di chi è soggetto all'attività inquirente della Commissione, e perciò la violazione dell'articolo 3 della Costituzione. Alla Corte viene pertanto chiesto di: »in via preliminare ritenere la illegittimità costituzionale della legge 10 maggio 1978, n. 170 perché viziata per eccesso di potere, frode costituzionale, e comunque per contrasto con gli articoli 1, secondo comma, e 75 Cost.; nel merito, dichiarare che all'Ufficio centrale per il "referendum" presso la Corte di cassazione non è attribuito il potere di disporre la cessazione delle operazioni del "referendum" abrogativo riguardante gli articoli 3, 4,

5, 6, 7, 8, 9, 11 parte, 13, 14 parte, 16 parte della legge 25 gennaio 1962, n. 20, dichiarando al tempo stesso - previa declaratoria di illegittimità costituzionale degli articoli 10 e 11 legge 10 maggio 1978, n. 170 per contrasto con l'articolo 3 Costituzione - che la richiesta di "referendum" va trasferita agli articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 della legge 10 maggio 1978, n. 170; ovvero, in subordine, dichiarando che la richiesta di "referendum" va estesa anche agli articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 della legge 10 maggio 1978, n. 170; in ogni caso, annullando conseguentemente l'ordinanza dell'Ufficio centrale in data 25 maggio 1978 (impugnata con il ricorso).

"Considerato in diritto":

1. - Con il ricorso in epigrafe tre dei promotori del "referendum" per l'abrogazione della legge 25 gennaio 1962, n. 20 (limitatamente agli artt. 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 11 parte, 12 parte, 13 parte, 14 parte, 16 parte) hanno, in rappresentanza dei sottoscrittori della relativa richiesta, sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dell'Ufficio centrale per il "referendum" presso la Corte di cassazione. I ricorrenti impugnano l'ordinanza con la quale quell'Ufficio ex articolo 39 della legge n. 352 del 1970, aveva disposto la cessazione delle operazioni connesse con detta richiesta. Con ordinanza n. 2 del 1979, la Corte ha ritenuto la concorrenza dei requisiti prescritti dal primo comma dell'articolo 37 della legge n. 87 del 1953 perché possa aversi conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato. Tale pronunzia è stata resa, tuttavia, in linea di prima e sommaria delibazione, riservato ogni definitivo giudizio circa l'ammissibilità ed il merito del ricorso.

Rimane, dunque, anzitutto da accertare - definitivamente, in questa sede - se il ricorso in esame sia ammissibile. Si assume dai ricorrenti che il conflitto riguardi la sfera di applicazione dell'istituto del "referendum", configurato dal testo costituzionale, ed insorga fra la frazione del corpo elettorale, la quale ha nel nostro caso promosso il "referendum" e l'Ufficio centrale che ha, dal canto suo, disposto la cessazione delle relative operazioni; si deduce infatti che detto organo ha con l'ordinanza impugnata invaso la sfera garantita ai promotori del "referendum", e leso il loro interesse, costituzionalmente protetto, allo svolgimento della consultazione popolare; si chiede pertanto alla Corte di dichiarare che all'Ufficio centrale non è attribuito il potere di disporre la cessazione delle operazioni referendarie, e di annullare in conseguenza l'ordinanza impugnata con il ricorso. La Corte ritiene di doversi fermare a considerare il prospettato conflitto sotto il profilo afferente al possibile oggetto

della controversia.

2. - Per prima cosa, giova richiamare - in quanto esso viene in rilievo, nella specie, com'è di seguito spiegato - il sistema delle disposizioni emanate con la legge 25 maggio 1970 n. 352 (»Norme sui "referendum" previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo ). Ai sensi dell'articolo 32 della legge citata, l'Ufficio centrale esamina tutte le richieste referendarie »allo scopo di accertare che siano conformi alle norme di legge : cioè alle norme, poste con legge ordinaria, che governano la procedura conseguente all'iniziativa del "referendum" abrogativo; il successivo giudizio sull'ammissibilità è invece riservato alla cognizione di questa Corte (ai sensi dell'art. 2 l. cost. 11 marzo 1953, n. 1, e dell'art. 33 della legge n. 352), ed esige che la richiesta referendaria, una volta dichiarata legittima dall'Ufficio centrale, sia esaminata alla stregua della Costituzione, ed in particolare della norma (art. 75, comma secondo, Cost.), la quale individua le categorie di leggi, o di atti av

enti forza di legge, eccettuate dal regime dell'abrogazione popolare. Nel citato articolo 32 sono poi puntualmente previste le attribuzioni dell'Ufficio centrale nel corso della procedura: esso si pronunzia, in ogni caso, con ordinanza, comunicata e notificata a norma dell'articolo 13 della stessa legge n. 352. I presentatori della richiesta referendaria, o i delegati o i rappresentanti dei promotori (cfr. artt. 9, comma primo, 19, comma secondo, della legge n. 352) hanno facoltà di produrre memorie o deduzioni. Dopo di che, l'Ufficio centrale decide in via definitiva, "ex" articolo 32, ultimo comma, sulla legittimità di tutte le richieste depositate.

3. - Si colloca nel quadro della disciplina sopra descritta anche il potere, attribuito all'Ufficio centrale "ex" articolo 39 della legge n. 352.

»Se prima della data di svolgimento del "referendum" - dispone testualmente il citato articolo - »la legge, o l'atto avente forza di legge, o le singole disposizioni di esse, cui il "referendum" si riferisce, siano state abrogate, l'Ufficio centrale per il "referendum" costituito presso la Corte di cassazione dichiara che le operazioni relative non hanno più corso . Di questa disposizione, com'e detto in narrativa, la Corte ha - con sentenza n. 68 del 1978 e nei limiti ivi precisati - dichiarato l'illegittimità costituzionale. Nella stessa pronunzia sono enunciati i criteri che qui soccorrono all'Ufficio centrale nel decidere, ma che il legislatore aveva omesso di adottare. Le operazioni referendarie devono essere in ogni caso fatte cessare - ha in proposito avvertito, a Corte - quando le norme, alle quali esse si riferiscono, siano state rimosse col solo mezzo tecnico dell'abrogazione espressa. Dove l'abrogazione sia invece accompagnata da nuova disciplina, sostitutiva delle norme inizialmente contemplate

dalla richiesta referendaria, l'Ufficio centrale decide diversamente, secondo i casi deve disporre la cessazione delle operazioni, se accerta che la più recente disciplina abbia modificato i principi essenziali dell'intero atto legislativo (comunque, dell'organico corpo normativo), ovvero gli essenziali contenuti normativi dei singoli precetti, dei quali sia stata richiesta l'abrogazione popolare; altrimenti, esso deve disporre che il "referendum" abbia luogo, trasferendo tuttavia il quesito, sul quale sono chiamati a pronunziarsi gli elettori, dalle norme poste in precedenza alle altre che le hanno sostituite (ma non ne hanno, qui, modificato principi ispiratori o singoli precetti). In quest'ultima evenienza, è stato infatti ritenuto, il successivo atto del legislatore produce pur sempre il caratteristico effetto dell'abrogazione: non produce, però, l'ulteriore effetto, che vulnererebbe il disposto dell'articolo 75 Cost., di impedire lo svolgimento della consultazione popolare già promossa con riguardo alla

legislazione preesistente.

Ora, senza una simile pronunzia, il disposto dell'articolo 39 avrebbe - indistintamente in ogni sopravvenienza del fenomeno abrogativo da esso considerato - implicato una corrispondente compressione della sfera di attuazione di un fondamentale istituto del nostro ordinamento, qual è il "referendum" La Corte ha stabilito come il congegno di detta norma debba operare, e ne ha rimesso l'applicazione al motivato apprezzamento dell'Ufficio centrale. Ciò - e bene ricordare - proprio al fine di assicurare il rispetto della volontà manifestata dalla frazione del corpo elettorale che ha promosso la consultazione referendaria, e in tutto l'ambito in cui le attribuzioni a questa riconosciute risultano costituzionalmente protette. Ad analoga esigenza risponde, poi, il requisito, enucleato con la citata decisione dal sistema della legge n. 352 che l'Ufficio centrale decida "ex" articolo 39 solo dopo aver sentito chi avanti ad esso rappresenta i promotori del "referendum": per questa via è estesa al nostro caso la garanzi

a procedurale, che troviamo sancita nell'articolo 32 della stessa legge.

Le considerazioni testé esposte trovano, ancora, accoglimento e sviluppo nella sentenza n. 69 del 1978, che dirime un precedente conflitto di attribuzione sollevato dai promotori di altri "referendum" abrogativo nei confronti dell'Ufficio centrale. Il potere che l'articolo 39 configura - è stato affermato in quel giudizio - spetta all'Ufficio centrale, se ed in quanto esso abbia previamente accertato, secondo la sentenza n. 68 del 1978, che ricorrono gli estremi per disporre la cessazione del 1978, che ricorrono gli estremi per disporre la cessazione delle operazioni in corso, ed abbia escluso per converso che il "referendum" vada trasferito dalle norme preesistenti alle nuove. Esaurite le indagini ad esso in proposito riservate, l'Ufficio centrale è d'altra parte investito del potere, come previsto dalla legge, in piena conformità dei principi costituzionali. Il che conferma che questa sua attribuzione, così configurata, sorge necessariamente entro i limiti posti a salvaguardia della sfera riconosciuta ai p

romotori del "referendum".

4 - Delle precedenti sentenze della Corte occorre tener conto nell'esame della specie. I ricorrenti lamentano infatti che l'Ufficio centrale ha erroneamente applicato al caso attuale i canoni ermeneutici in esse indicati. Le norme investite dalla richiesta di "referendum", si afferma, non contengono la compiuta, e nemmeno l'essenziale disciplina dei poteri e delle attività procedurali della Commissione inquirente, essendo la materia disciplinata anche in altre sedi normative. L'organo decidente - si soggiunge - avrebbe quindi, nel seguire prescrizioni di questa Corte, dovuto condurre il suo esame sui contenuti normativi dei singoli disposti, e non, come esso ha invece fatto, sui principi che ispirano rispettivamente la legge n. 20 del 1962 e la legge n. 170 del 1978, intervenuta nelle more della procedura referendaria. Comunque, l'Ufficio centrale avrebbe adoperato uno scorretto metodo di valutazione, ritenendo di poter dedurre tali principi dalla semplice ricognizione quantitativa delle competenze affidate

alla Commissione nell'una e nell'altra normativa, senza indagare la complessiva fisionomia dell'organo, la quale sarebbe rimasta fondamentalmente inalterata nella legge n. 170 del 1978. L'Ufficio centrale non avrebbe poi considerato che gli articoli 10 e 11 di quest'ultima legge - con riferimento ai procedimenti di accusa in corso, per i quali siano stati compiuti atti di rilevanza istruttoria - lascia in vigore le norme già poste dalla legge n. 20 del 1962: con il risultato, si deduce, di sottrarle a quell'effetto abrogativo, che giustificherebbe l'ulteriore effetto impeditivo della consultazione referendaria.

All'interpretazione denunziata come erronea sarebbe infine conseguita la decisione che, col precludere il ricorso alle urne, si assume abbia invaso la sfera, e leso l'interesse dei ricorrenti.

Ma con tutto ciò non si contesta - anzi, si presuppone - che l'Ufficio centrale abbia adempiuto alle indagini, dalle quali ogni sua decisione "ex" articolo 39 deve essere preceduta, ed abbia motivato in conseguenza l'ordinanza impugnata con il ricorso. Non si contesta, nemmeno, che prima di decidere esso abbia sentito i promotori del "referendum". Pacificamente, dunque, sussistono i presupposti, in presenza dei quali l'attribuzione del potere qui considerato si concreta, in capo all'Ufficio centrale, precisamente come esige la sentenza n. 69 del 1978. L'attribuzione ha il suo pieno titolo giustificativo proprio in quel che risulta dalle stesse deduzioni dei ricorrenti: l'Ufficio centrale ha valutato la disciplina sopravvenuta in rapporto alle norme che formavano oggetto della richiesta di "referendum"; siffatta indagine - si deve aggiungere - è evidentemente servita a stabilire non soltanto se fra l'una e l'altra normativa vi fosse corrispondenza di principi ispiratori, ma, anche - e in primo luogo - se rico

rresse l'ipotesi della abrogazione configurata dall'articolo 39, e con quali effetti temporali. Così atteggiandosi la specie, va allora escluso che la controversia prospettata alla Corte verta sulla titolarità - sull'appartenenza all'Ufficio centrale, appunto - del potere di disporre la cessazione delle operazioni referendarie; potere che, peraltro, come si è detto, ha sicuro fondamento nella Costituzione.

Resta il fatto che i ricorrenti denunziano comunque l'invasione della propria sfera, e censurano, a questo riguardo, il modo come l'Ufficio centrale avrebbe deciso. Ma vale in proposito un duplice e concorrente ordine di osservazioni.

Da un lato, siamo di fronte a un potere che si è nella specie esplicato in base ai criteri appositamente stabiliti dalla Corte per tutelare la sfera dei promotori: e che pertanto, ai fini del presente giudizio, questa stessa sfera non può invadere, o ledere altrimenti.

D'altro lato, entro la sfera delle proprie attribuzioni, l'Ufficio centrale è investito di un potere decisorio, e così decide, anche nel nostro caso, con le garanzie procedurali e nelle forme, che si connettono con la sua qualifica di organo decidente. Ad esso, in quanto tale, è dunque garantita una funzione, le cui modalità di esercizio non spetta alla Corte sindacare. Una volta che, come nella specie, si radichi il potere, riconosciuto all'Ufficio centrale, di decidere "ex" articolo 39, la decisione nel merito, che a detto organo è riservata in via esclusiva e definitiva, non può essere censurata in questa sede. Né si può trascurare che nella specifica materia di cui ci occupiamo vige la distinzione, rilevata anche in altre pronunzie (sentenze n. 251 del 1975 e 16 del 1978), fra i compiti, rispettivamente attribuiti alla Corte e all'Ufficio centrale, di accertare la conformità delle richieste referendarie, nell'un caso ad un parametro costituzionale, nell'altro alle norme della legge ordinaria. Ora, anche

le indagini affidate all'Ufficio centrale in sede di applicazione dell'articolo 39 involgono - come necessaria operazione dell'interprete, retta dai criteri sopra visti - sia il coordinamento sia la valutazione comparativa di norme, che si succedono nel tempo, sempre sul piano della legge ordinaria e delle fonti normative a questa equiparate: tale, però, non è la sfera in cui la Corte è abilitata ad intervenire, essa è l'altra, autonoma e particolare, del controllo di costituzionalità, che si esercita col giudizio di ammissibilità, ed è la sola, del resto, riservata alla Corte secondo il vigente ordinamento del "referendum".

La conclusione raggiunta vale a maggior ragione - anche alla luce di precedenti pronunzie (sentenza n. 289 del 1974) - se si voglia ritenere che il presente giudizio sia stato promosso attribuendo all'Ufficio centrale natura di organo giurisdizionale in senso stretto, con le conseguenze che scaturirebbero da una simile prospettazione del conflitto. Difetta comunque, per le ragioni già dette, la materia propria di un conflitto di attribuzione, di cui la Corte possa conoscere: con il che resta assorbito ogni altro rilievo in ordine all'ammissibilità del ricorso.

Per questi motivi la Corte costituzionale

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione indicato in epigrafe.

 
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