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Notizie Radicali - 6 settembre 1977
Il PCI ha scelto: dall'opposizione al regime!
Servizi segreti, nomine pubbliche, processo di Catanzaro

SOMMARIO: Alla Camera dei deputati è stata approvata la legge di riforma dei servizi segreti. I comunisti si sono allineati con i democristiani su un testo legislativo che modifica solo marginalmente la struttura dei servizi segreti e i controlli sulla loro attività. L'esecutivo rimane arbitro del segreto di stato anche di fronte a gravi vicende giudiziarie e responsabilità penali. I controlli parlamentari sono inefficaci. I socialisti esprimono riserve e critiche da cui non traggono al momento del voto le conseguenze. L'opposizione del gruppo radicale si è espressa con una serie di emendamenti alternativi che ricalcano le proposte contenute nella relazione comunista di minoranza sull'inchiesta parlamentare. Quelle proposte erano state stilate da Terracini, Spagnoli, Pecchioli. Nel passaggio dall'opposizione alla maggioranza il PCI se l'è dimenticate. Sono rimasti i deputati radicali a difenderle e sostenerle. Lo stesso è accaduto per la legge sulle nomine degli enti pubblici.)

(NOTIZIE RADICALI N. 186, 6 settembre 1977)

Modifiche inutili e dannose

Non saranno certamente i radicali a criticare per principio la modificazione della posizione di altre forze politiche. In particolare abbiamo sempre giudicato come prova di grande sensibilità politica la modificazione sostanziale delle posizioni del PCI, per esempio in tema di aborto, modificazioni, queste, determinate da grandi movimenti di lotta di base e popolari.

Ma evidentemente, per quanto attiene ai servizi segreti, non è comprensibile una modificazione di posizioni che non venga motivata, spiegata chiaramente sulla base di nuovi fatti obiettivi.

E' per questa ragione che abbiamo ascoltato gli interventi dei deputati comunisti (in particolare dell'on. Ricci), e seguito i resoconti dell'"Unità", in materia di "istruzione e ordinamento del Servizio per le informazioni e la sicurezza"; avevamo infatti la speranza di veder sciolta la contraddizione tra la posizione che il PCI assunse molto responsabilmente, tramite alcuni trai suoi esponenti (Terracini, Malagugini, Spagnolli), nel '70, nell'ambito della Commissione d'inchiesta sul tentato golpe del 1964, mai contraddette in questi anni, e l'attuale sostegno ad una legge che contraddice totalmente le precedenti posizioni.

Il comunista Ricci, com'era prevedibile non ha potuto riferirsi a movimenti di base o ad una opinione improvvisamente convinta della bontà dell'azione dei vari servizi segreti e decisa a lottare per un loro rafforzamento e moltiplicazione. Ricci ha fatto un breve accenno, invece, nel momento in cui doveva giustificare la costituzione del servizio di spionaggio interno alle dipendenze del Ministro di polizia, alla grave situazione dell'ordine pubblico che si è creata, sembrerebbe solo in questi ultimi giorni e settimane, a causa solo delle Brigate Rosse e degli autonomi, nel nostro paese.

Si tratta di affermazioni che non sono solo irresponsabili; testimoniano, infatti un ennesimo compromesso tra DC e PCI, dove i buoni propositi originari del PCI sono stati abbandonati in favore delle pretese arroganti della DC. E' quello sui servizi segreti un compromesso, un ennesimo errore e una valutazione miope del PCI, il cui conto non sarà solo questo partito a pagare, ma che sarà addebitato all'intera sinistra e al paese.

E non è possibile non considerare irresponsabile l'atteggiamento del PCI, che tende ad affidare la tutela della legalità repubblicana proprio a coloro (persone ed organismi) che in questi anni hanno costruito la strategia della tensione, hanno utilizzato gruppi di neo fascisti per operazioni di destabilizzazione politica, hanno infiltrato nei gruppi "rivoluzionari" i propri agenti, con lo scopo non già di controllarli e denunciarli, ma per utilizzarli proprio in funzione di provocazione politica.

Analogamente al caso della legge Reale e per la riforma carceraria, ancora un volta il PCI ha accettato di svendere tutto un patrimonio di lotte democratiche di questi anni in cambio di presunte modificazioni del quadro politico, della necessità di accordo, comunque e ad ogni costo, con la DC e il partito del malgoverno e della corruzione.

Così, nei progetti di legge in discussione alla Commissione speciale per l'istituzione e l'ordinamento dei servizi segreti, non viene affrontato il nodo principale della questione; cioè una precisa delimitazione dei compiti dei servizi segreti e dei loro poteri, nonché una specificazione qualitativa e quantitativa dei poteri dei vari organismi. Infine i poteri che vengono attribuiti al Presidente del Consiglio si pongono al di fuori di ogni legittimità costituzionale. Il Presidente del Consiglio, infatti, salvo una generica responsabilità politica nei confronti del Parlamento, è l'arbitro assoluto e incontrollato del "segreto di stato"; il Parlamento, supremo organo di controllo degli atti del governo, rimane quindi privato di ogni effettiva potestà di controllo e di decisione.

E' per questo che il gruppo radicale ha presentato una serie di emendamenti che tendono essenzialmente a raggiungere questi obiettivi:

1) Creazione del solo servizio segreto di controspionaggio militare.

2) Divieto di costituzione di servizi segreti interno che operino "extra legem" per finalità che sono costituzionalmente demandate agli organi giudiziari.

3) Obbligo del servizio di riferire al magistrato su ogni reato di cui venisse a conoscenza.

4) Precisa definizione del segreto di stato che deve attenere solo ad atti e informazioni "la cui diffusione sia idonea a recar danno alla sicurezza "esterna" dello stato democratico sempre che si tratti di segreti militari e di segreti diplomatici, relativi questi ultimi a trattative in corso.

5) Responsabilità politica del Presidente del Consiglio sull'attività del servizio.

6) Potere della magistratura di accedere anche ai segreti si stato quando questi appaiono rilevanti per il procedimento giudiziario anche in contrasto con l'opposizione del segreto stesso da parte del Presidente del Consiglio.

Non si tratta certo di novità: questi emendamenti riproducono esattamente le proposte del PCI degli scorsi anni; è questo un terreno di prova sul quale il paese e l'opinione pubblica potranno valutare, dalle motivazioni, se oggi ci troviamo di fronte ad un avanzamento della sinistra su temi di fondamentale importanza, o piuttosto davanti ad un irresponsabile arretramento che ancora una volta il paese dovrà pagare con stragi di legalità e di vite umane.

Ancora una falsa riforma

Due erano le riforme che costituivano ultimamente un importante banco di prova per il "nuovo corso" politico e dei nuovi rapporti instauratisi tra sinistre e DC: servizi segreti di sicurezza e nomine pubbliche.

Sia il primo che il secondo si sono concluse secondo l'ormai tradizionale modulo del trasformismo italiano. Il PCI, questo partito che aveva fatto della correttezza e del controllo delle nomine il suo cavallo di battaglia, ha finito, ancora una volta, per accettare un compromesso con la DC consistente nel varare false riforme che in realtà nulla riformano.

Per quanto riguarda le nomine, il testo di legge che è stato approvato a fine luglio dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera e che passerà alla Camera per la ratifica è stato ridotto dalla DC, con la complicità del PCI ad una larva, essendo stato trasformato e svuotato il significato e lo spirito della legge. Basta un esame sommario per rendersene conto: il primo articolo, originariamente consentiva un controllo parlamentare sulle nomine di presidenti di enti pubblici da parte del Governo; ora si è trasformato in una "richiesta" da parte di quest'ultimo a sua discrezione. Inoltre altre pastoie vengono frapposte per impedire un reale controllo all'operato dell'esecutivo, come gli impossibili limiti di tempo che vengono imposti ai parlamentari, tali da rendere praticamente impossibili un qualsiasi tipo di controllo pubblico. Anche per quanto riguarda l'organo parlamentare che dovrebbe attuare il controllo, ha finito per prevalere la volontà della DC, PCI, PSI, PRI, partiti con la proposta di un un

ico organismo di controllo interparlamentare, hanno finito per cedere alle pressioni democristiane, per cui ora il controllo parlamentare viene esercitato da due commissioni, una per la Camera e una per il Senato, che lavorano divise ed esprimono i loro pareri una dopo l'altra. Esattamente il contrario dei principi ispiratori che animavano originariamente la legge.

I membri comunisti alla Commissione Affari Costituzionali, Vetere, Malagugini e Caruso giustificano questi indecorosi compromessi affermando che comunque si tratta di un primo passo importante perché le nomine vengano finalmente sottoposte a criteri di utilità ed efficienza. Sia quello che sia, una cosa comunque è certa; la DC non è affatto intenzionata ad abbandonare i metodi della lottizzazione selvaggia, in nome dell'efficienza e del buon governo. Quel 90 per cento di presidenti di Casse di Risparmio tutti DC e le cui nomine non sono state certo fatte in nome dell'efficienza; il comportamento della DC in sede di commissione ce lo confermano e non saranno sicuramente i piccoli cabotaggi, i compromessi e le intese ad imporre un'inversione di rotta.

Il PCI, in particolare, timoroso di turbare gli equilibri raggiunti con la DC e gli altri partiti dell'"arco costituzionale", ha grosse responsabilità: infatti ha ceduto sulla disciplina delle nomine degli Enti Pubblici, in cambio di un formale controllo sulle Partecipazioni Statali.

Occorre riconoscere il pregio al PRI, per una volta, di essere stato l'unico, nel piatto e squallido conformismo della vita politica e parlamentare italiana, ad aver mostrato un segno di reazione e un comportamento coerente con le proprie denunce ed impostazione. Un significato particolare assumono le dimissioni del repubblicano Battaglia da relatore della legge sulle nomine, dopo aver constatato l'avvenuto compromesso tra DC e PCI.

Per i partiti di sinistra, invece si ripete la stessa storia di sempre, quella che ha contrassegnato la storia di più di 10 anni di centro sinistra. Le ragioni del potere e l'imperativo categorico di conservare gli equilibri politici raggiunti scavalcano le ragioni e le esigenze del diritto e della moralità pubblica, del controllo democratico, della buona amministrazione e di un sano imprenditorialismo aziendale.

Manovre sulla strage

"Qui lo scandalo non è tollerabile", ha scritto nel 1970 Alessandro Natta, capogruppo del PCI alla Camera dei deputati. Si riferiva ai pesanti interrogativi che, affiorati da tempo, ancora restano insoluti, su quelli che sono gli esecutori materiali, gli ispiratori e i mandanti di quella serie di vicende sconvolgenti iniziate il 12 dicembre del '69, con la strage alla Banca dell'Agricoltura a Milano; vicende che sono state l'occasione e il pretesto per una bestiale campagna d'odio e d'intimidazione e, in prospettiva, una manovra che tendeva a spostare a destra tutta la situazione italiana.

Passati otto anni dalla strage, mentre il processo e tutt'ora in corso, almeno nei fatti, il PCI sembra sempre più disposto a tollerarlo, quello scandalo.

La manovra è chiara: gli avvocati comunisti membri del collegio di difesa degli anarchici imputati (Valpreda, Gargamelli, Mander, vogliono a tutti i costi la condanna di Franco Freda e Giovanni Ventura, gli altri imputati neofascisti per la strage. Per ottenere questa condanna sono disposti a lasciarsi scappare i veri responsabili e i registri della strategia della tensione, cioè i politici, i vertici e gli apparati dello stato, i servizi segreti che non solo hanno favorito, ma hanno anche esplicitamente promosso quella lunga spirale di provocazioni.

Non è altrimenti spiegabile l'atteggiamento che hanno tenuto il generale Gian Adelio Maletti, e gli avvocati Calvi, Tarsitano e Alecci; le domande sembravano concordate, "forse per far un piacere a Giulio Andreotti, che di Maletti è sempre stato il gran protettore", ha detto Pietro Valpreda. Non si tratta di un'affermazione paradossale come può sembrare; rispecchia invece abbastanza fedelmente la situazione venutasi a creare a Catanzaro. I giornalisti stessi che hanno seguito il processo, sono per lo più delusi per i balletti, tra gli avvocati che fingevano di rivolgere domande brutali e un generale che scimmiotta la parte di quello che si lascia sfuggire grosse e sensazionali rivelazioni.

Gli stessi anarchici non sono affatto contenti di come marciano le cose; se i giornalisti presenti al processo parlano di "strano minuetto nebuloso ed irritante", Valpreda denuncia esplicito: "Se ci sono state in aula delle non domande e delle non battaglie, c'è stato insomma un addormentamento di quella che era un tempo la linea d'attacco, vuol dire che a un certo punto determinati fattori politici di vertice hanno prevalso sulle altre considerazioni e che qualcosa è cambiato, passando sopra le nostre forze".

In sostanza questo è accaduto: gli avvocati della sinistra dell'astensione e dell'emergenza di sono limitati a considerare il generale Maletti come un "testimone". Mentre la sua veste è quella di "imputato".

Per giustificare un simile comportamento una sola può essere la spiegazione: ed è che gli avvocati comunisti, che nel '69 avevano assunto le difese degli anarchici, militano in un partito che ha rinunciato al suo ruolo di opposizione al Governo, ed anzi con esso ha stipulato un accordo programmatico. Non è quindi azzardato affermare che l'atteggiamento remissivo nei confronti dei responsabili della strage di piazza Fontana e dei loro protettori è da mettere in relazione con la situazione politica che si è venuta a creare. E non è neppure inverosimile un accordo tra DC e PCI anche per quanto riguarda il processo di Catanzaro. Sollevare il nodo politico del 1969, far scoppiare questo bubbone per molti versi ancora presente e vivo nella vita nazionale, può significare sconvolgere gli equilibri, per molti versi fragili, che si stanno consolidando tra DC e PCI. E' quindi interesse di tutti, che certe verità scomode non emergano e che siano puniti sono alcuni ascari e sicari della strategia della tensione.

Sul piatto degli accordi di vertice e di potere ci si accinge a sacrificare quindi i 16 morti di piazza Fontana, i tre anni di galera di Valpreda e compagni; si rinuncia a far luce sulle connivenze e le complicità degli apparati e dei vertici dello stato con gli autori di questi dieci anni di stragi e di attentati e provocazioni.

Lenin, e Gramsci poi, dissero che la verità è rivoluzionaria. Per quanto riguarda il processo di Piazza Fontana, il PCI e gli avvocati Calvi, Tarsitano e Alecci ci stanno insegnando che invece "la verità non è sempre rivoluzionaria" è una frase che riportiamo dal "Contesto" di Leonardo Sciascia. E per tanti versi questo PCI si sta comportando come quello di "Cadaveri eccellenti".

 
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