Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
ven 01 nov. 2024
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Archivio Partito radicale
Melega Gianluigi - 20 settembre 1977
Compromesso storico: futuro e compiti della stampa libera
di Gianluigi Melega

SOMMARIO: In una democrazia la stampa libera deve svolgere il ruolo di controllo del potere. In Italia ciò è accaduto, ma da quando il PCI, partito di opposizione, ha affiancato il maggior partito di governo rimane alla stampa il compito di garantire l'alternativa attraverso un opposizione di massa.

(ARGOMENTI RADICALI, BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA, Agosto-Novembre 1977, n.3-4)

Credo che la funzione di una stampa libera, in una democrazia, sia quella di essere il cane da guardia del cittadino contro il potere. Se questa funzione non viene esercitata, la democrazia è in pericolo. Chi detiene il potere politico, economico, giurisdizionale, educativo, morale, finisce con l'agire senza controlli, con conseguenze nefaste per tutti.

Il compromesso storico tra PCI e DC ha creato una situazione del tutto nuova in Italia, anche per la stampa. Se i giornalisti non se ne renderanno conto, a mio parere essi saranno presto privati di ogni possibilità di azione politica e professionale.

Il fascismo era una dittatura; coerentemente, non permise l'esistenza né di partiti d'opposizione né di una stampa libera. Fu un eccesso di liberticidio: poiché l'interdipendenza tra queste due forze è evidente, basta bloccarne una perché anche l'altra perda il suo senso. A mio parere, oggi in Italia, senza che vi sia una dittatura, si sta creando, di fatto, una situazione del genere.

Nei trent'anni successivi al 1945 la stampa italiana ha svolto onorevolmente la propria funzione. Ci sono stati, naturalmente, anche errori e manchevolezze, ma il bilancio è stato di un gran lunga positivo. Dall'assassinio di Salvatore Giuliano alle trame nere, in ogni avvenimento di rilievo della storia italiana l'opera di giornalisti abili e scrupolosi ha lasciato il segno. E quando chi esercitava il potere ha creduto di poter battere impunemente strade proibite, quasi sempre ha trovato un cronista capace di fotografarlo con le dita nel vaso della marmellata.

Non sempre questo ha portato a condanne giudiziarie o a giubilazioni politiche. Da noi nessun Nixon si è dimesso tranne Zamberletti. Qualche volta, anzi, sono stati vergognosamente condannati non i malfattori, ma i denunciatori delle malefatte, come avvenne per Arrigo Benedetti e Manlio Cancogni quando per primi documentarono il sacco edilizio di Roma. Eppure, nonostante questi contraccolpi, la stampa libera ha potuto effettivamente incidere sul corso delle vicende italiane.

Per sua natura, tuttavia, la stampa non incide mai direttamente nella storia di un Paese. L'inchiesta di un cronista o il titolo di un giornale non hanno conseguenze dirette sugli avvenimenti o sul comportamento dei protagonisti dei fatti di cui si occupano. Il "quarto potere" è soltanto un potere di documentazione e di opinione, non di azione diretta.

Ecco perché la funzione di una stampa libera viene svuotata di sostanza se essa non si accompagna alla presenza attiva di forze politiche di opposizione (e, in subordine, di una magistratura non afflitta da assolutismo gerarchico).

Il cane da guardia

Il periodo di maggior vigoria democratica della stampa italiana è cominciato con "L'Europeo" e "L'Espresso" di Benedetti e con "Il Giorno" di Gaetano Baldacci. Per la scelta professionale, come nel primo caso, o per scelta politica, come nel secondo, quelle testate furono le prime (se si eccettuano ovviamente gli organi di partito) a svolgere sistematicamente, programmaticamente, la funzione del cane da guardia. Nel decennio tra il 1965 e il 1975 molte altre le seguirono, con diverse colorazioni politiche: basta pensare al ruolo di testate come "Panorama" di Lamberto Sechi e "Il Giornale" di Indro Montanelli, per valutare quanto è stata importante la parte giocata dalla stampa nell'evoluzione della democrazia italiana. E infine, sull'ultimo limite di una stagione felice, "La Repubblica" di Eugenio Scalfari.

Il lavoro di questi colleghi, e di tanti altri non citati, non avrebbe tuttavia avuto peso se non si fosse tradotto, all'indomani della pubblicazione, in un'azione politica ad opera delle forze politiche di opposizione.

In molte occasioni la correlazione non è stata immediata, o non è stata efficace quanto avrebbe dovuto, ma poco importava: ciò che contava era che i giornalisti liberi agivano sempre, professionalmente, con la certezza di quelle presenze politiche Essi sapevano, ogni qualvolta affrontavano un'inchiesta scottante, di poter mettere in movimento forze politiche che tanto più efficacemente li avrebbero appoggiati quanto più i loro scritti fossero stati documentati, precisi, professionalmente ineccepibili.

Questa possibilità di modificare indirettamente, attraverso i consensi politici suscitati col proprio lavoro, la realtà italiana, è stata in molti casi la molla che ha attirato alla professione di giornalista giovani non conformisti, insofferenti dei piccoli compromessi della vita di partito, portati a preferire, di fronte a problemi sociali complessi, gli aspetti della razionalità e della documentazione anziché la convenienza di parte o di bottega. Questa osmosi tra giornali e spiriti critici è stata certamente proficua per lo sviluppo in senso progressista della società italiana: non si sarebbe certo potuto pensare di vincere una battaglia come quella per il divorzio, tanto per fare un esempio, senza l'apporto di una stampa libera.

Ma ora qualcosa è cambiato. Il maggior partito di opposizione, il PCI, ha scelto di rinunciare a questa sua collocazione politica non per sostituirsi al maggior partito di governo, ma per affiancarsi ad esso nella gestione del potere. L'accordo di collaborazione dei sei partiti che appoggiano il governo Andreotti sancisce una nuova realtà: il potere è gestito insieme dai rappresentanti di oltre il 90 per cento degli italiani; all'opposizione di destra (tenuto conto della scissione nel MSI) resta circa il 5 per cento; all'opposizione di estrema sinistra e dei radicali circa il 3-4 per cento.

Questo quadro politico presenta tre importantissime differenze rispetto a un regime totalitario: 1) il potere è gestito da forze politiche eterogenee, portatrici di interessi diversi e poco omologabili; 2) è scomparsa l'opposizione di massa, ma non l'opposizione; 3) le garanzie costituzionali e legislative sono formalmente vigenti. A mio parere le battaglie politiche dei prossimi mesi rientreranno tutte nell'ambito di questi tre punti: le forze che esercitano il potere (e, se si vuole, i partiti che nell'attuale "regime" sperano di prevalere) cercheranno di superare queste differenze; le forze di opposizione agiranno in senso opposto. Già ci sono gli esempi. Per il primo punto, il tentativo di emarginazione silenziosa, da parte di DC e PCI, dei partiti laici minori nelle trattative a sei; per il secondo, il tentativo di criminalizzazione indiscriminata del dissenso e la sempre più accentuata virulenza degli attacchi comunisti ai radicali; per il terzo, le degenerazioni illegali nelle carceri speciali e le pr

oposte comuniste per limitare l'uso dei referendum o i tentativi di bloccare quelli per cui già si sono raccolte le firme.

La difesa delle testate

Che ruolo tocca, in questa situazione, al giornalista libero? In primo luogo, ci si dovrà impegnare molto meno distrattamente di prima nella difesa delle testate indipendenti esistenti, che sicuramente dovranno affrontare un periodo di preoccupanti difficoltà commerciali. Il venir meno dell'opposizione di massa non favorisce evidentemente la stampa non irreggimentata. Nel 1977 testate come "Panorama", "L'Espresso", "La Repubblica", hanno accusato un calo di vendita; altre come "Tempo illustrato" hanno addirittura dovuto chiudere. E' facile prevedere che altre isole "anomale" dell'informazione (per esempio, "Il Messaggero") verranno presto investite dal tifone di una "normalizzazione" di tipo praghese.

Per imbavagliare il cane da guardia, i partiti del potere punteranno soprattutto sulle sue difficoltà economiche. Tra queste ve ne saranno di reali e di artificiose: il giornalista libero dovrà battersi contro entrambe, se occorre pagando ancora di persona. Finora i giornalisti hanno goduto del doppio privilegio della libertà di parola e di un benessere economico superiore alla media degli italiani. La loro azione futura in difesa della sopravvivenza economica e politica delle testate indipendenti sarà tanto più efficace quanto meno la si potrà confondere con la difesa di privilegi individuali sul posto di lavoro e nella busta dello stipendio.

Che vuol dire questo? Vuol dire, per esempio, che quando il potere politico cercherà di impedire il libero esercizio della professione ai colleghi del "Messaggero", rinfacciando loro il deficit della testata, primo compito di quei colleghi dovrà essere quello di partecipare attivamente al riequilibrio economico del loro giornale, sottoponendosi per la loro parte ai sacrifici individuali necessari. E' una battaglia che è stata vinta dai colleghi e dai tipografi del "Telegrafo" (ora "Il Tirreno"), ed è probabile che si riproporrà in termini più o meno simili anche per altre testate italiane.

Se si perderà la battaglia preliminare per la salvaguardia dell'indipendenza economica della testata, sarà impossibile, data la situazione, affrontare le altre, politiche, che aspettano la stampa libera.

La scomparsa dell'opposizione di massa, infatti, ha trasferito alla stampa libera alcune gravi responsabilità che sono, di fatto, responsabilità politiche. La stampa libera non è un partito di opposizione e sarebbe un grave errore per essa identificarsi con l'una o l'altra delle forze politiche minori di opposizione (per esempio, i radicali, e l'estrema sinistra). Data la situazione attuale, tuttavia, essa è chiamata a svolgere un ruolo fondamentale per il mantenimento del quadro democratico.

Garantire le alternative

Suo primo compito sarà quello di garantire la possibilità di esercizio dell'opposizione da parte di qualsivoglia forza politica. Questo significa non negare spazio agli esponenti dell'opposizione, non censurare le notizie che li riguardano, battersi contro comportamenti del genere da parte degli organi dell'informazione di potere, ad esempio la RAI-TV. Questo, ripeto, non significa sposare le tesi dell'opposizione: significa soltanto garantire la dialettica democratica.

Un canone di comportamento c'è: sono la Costituzione e la legge. Se la stampa indipendente saprà difenderle dalle iniziative liberticide con cui si cercherà di distorcerle o eluderle, anche gli altri compiti che ormai le toccano potranno essere svolti.

Questi compiti possono essere riassunti in uno solo: favorire la costituzione di una nuova forza di opposizione di massa. E' evidente che se viene meno la possibilità di un'alternativa reale nella gestione del potere, i lineamenti di una democrazia sono irrimediabilmente deformati. Il compromesso storico ha creato appunto una situazione del genere. Tocca alla stampa democratica fare sì che ciò che oggi è consenso democratico di massa alla gestione del potere non si trasformi domani in un regime senza alternative.

 
Argomenti correlati:
compromesso storico
pci
alternativa
stampa questo documento invia questa pagina per mail