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Bresso Mercedes - 20 settembre 1977
I socialisti francesi alla prova
di Mercedes Bresso

SOMMARIO: Il Partito Socialista francese si è posto come partito di maggioranza relativa attraverso uno svecchiamento dei programmi tradizionali. Tematiche libertarie autogestionarie. Dibattiti e "querelles" all'interno della sinistra. E' necessario un diverso approccio ai problemi della crisi economica, delle libertà, dell'ineguaglianza, dei dislivelli salariali.

(ARGOMENTI RADICALI, BIMESTRALE POLITICO PER L'ALTERNATIVA, Agosto-Novembre 1977, n.3-4)

Il Partito Socialista francese, nel tentativo di presentarsi come (e di trasformarsi in) partito di governo, sta perdendo alcune delle sue caratteristiche essenziali (quelle, per intenderci, che ne avevano fatto un partito "diverso" dalle socialdemocrazie nordiche e dai partiti comunisti occidentali più o meno rispettosi dei punti cardine dell'ortodossia marxista)?

E' una domanda che si pongono oggi certamente in Francia molti elettori socialisti, ma che interessa anche coloro che in altri paesi avevano fatto dell'esperienza del PS un punto di riferimento politico.

Il sorpasso elettorale del Partito Comunista era avvenuto sull'onda di posizioni politiche dinamiche che svecchiavano i programmi tradizionali, adattandoli alla realtà di un paese in cui le canoniche divisioni di classe si erano sfumate e in cui le ineguaglianze e l'oppressione assumevano forme nuove e più sfuggenti e, nello stesso tempo, recuperavano il patrimonio della più pura tradizione socialista. Si ponevano infatti al centro del dibattito politico i problemi della qualità della vita e della autogestione di tutte le strutture in cui si svolge la vita collettiva (dal luogo di lavoro alle strutture assistenziali, ai centri di potere locale). In tal modo il Partito Socialista aveva potuto presentarsi all'elettorato come il rappresentante di un diverso modo di intendere la critica di una società capitalista fondata su una crescita continua, che non attenua, tuttavia, le ineguaglianze e che propone palliativi di consumi superflui alle esigenze e ai bisogni reali della gente (dal modo di lavorare alla durata

del lavoro, dall'abitare al recuperare un rapporto soddisfacente coll'ambiente in cui si vive).

La tesi secondo cui i paesi detti "socialisti" riproponevano in realtà modelli di società autoritarie, in cui la vita della popolazione era sottoposta agli stessi modi di direzione dall'alto, di espropriazione di ogni diritto all'autodeterminazione di perdita di contatto col proprio territorio, presenti nelle società capitaliste, rispondeva alle preoccupazioni di quanti, insoddisfatti di queste, erano tuttavia preoccupati che governo delle sinistre significasse una insopportabile burocratizzazione della società francese secondo il modello dei paesi dell'est (pur in assenza degli eccessi autoritari).

L'accentuazione delle tematiche libertarie ed autogestionarie era stata certamente uno degli elementi che più avevano contribuito a creare quell'immagine "nuova" che aveva consentito alla vecchia SFIO di risorgere dal baratro politico e numerico in cui era caduta (con meno del 10% dei voti) e di aggregare intorno a sé forze politiche minoritarie estremamente interessanti come il PSU e i giovani militanti reduci dalle esperienze sessantottesche.

Una forte carica ideale, unita ad una capacità di analisi della realtà politica francese (che usciva dai triti schemi della sinistra ortodossa, proponendo un "progetto di società" capace di integrare le spinte emergenti dalla società civile) erano le caratteristiche che permettevano al Partito Socialista di essere politicamente egemone, malgrado il tradizionale maggiore peso elettorale del PCF e la sua più forte struttura organizzativa.

Le prime avvisaglie di un mutamento o meglio di una diversa accentuazione di temi, si ebbero nel Congresso del PSF di Nantes della primavera scorsa. La durezza con cui Mitterrand precluse l'ingresso nella direzione del partito dei rappresentanti del CERES (la minoranza di sinistra che aveva grandemente contribuito all'elaborazione delle nuove tematiche ma che si era resa colpevole forse di "cedimenti unitari" nei confronti del PCF alle ultime elezioni amministrative) e l'accentuazione dei temi economici negli interventi dei grandi "leaders", contribuivano a creare l'impressione di un partito che si preparava a divenire forza di governo; e che tendeva perciò a presentare una direzione politica univoca e apparentemente immune da contraddizioni.

Che dopo i risultati delle elezioni amministrative, che avevano fatto del PSF il partito di maggioranza relativa e fatto prevedere una maggioranza delle sinistre nelle elezioni politiche del marzo 1978, fosse necessaria una riflessione sul come trasformare il programma comune e, più in generale, il proprio progetto politico in programma di governo, cifrato in termini di costi e scadenze, era un dato di fatto. L'impressione che si ricava dal dibattito in corso sull'attualizzazione del programma comune, nonché dai numerosi interventi giornalistici e radiotelevisivi dei probabili "ministri" di un futuro governo Mitterrand, è però quella di un ritorno a vecchie "querelles", piuttosto che quella di uno sforzo di traduzione concreta delle speranze che il PS e l'unione delle sinistre avevano suscitato.

La sensazione dominante che si ricava dal defatigante dibattito che oppone socialisti, comunisti e radicali di sinistra è quella di un partito che "gioca in difesa", solo preoccupato di rintuzzare alcune prese di posizione chiaramente demagogiche dei comunisti, ma scarsamente attivo e vecchio a livello propositivo. La polemica tocca temi di grande importanza quali il ruolo e il peso delle nazionalizzazioni nel governo delle sinistre, la misura della riduzione del ventaglio salariale e dei redditi, il ruolo da dare alla "force de frappe". Tuttavia, questi temi come sono posti dal PCF sanno di stantio, di concezione burocratica e centralista del socialismo, di demagogia occorre considerare che le sinistre andranno al potere in un momento di crisi economica (e soprattutto occupazionale) grave, e che una ondata di misure di questo tipo potrebbe provocare, in un clima politico teso, un'impennata del tasso di inflazione e una crisi di sfiducia che porterebbe al fallimento il nuovo governo e forse anche a nuove ele

zioni (non dimentichiamo che presidente sarebbe ancora Giscard).

Tutti sanno inoltre quanto fallimentari sino state dal punto di vista economico (e politico) nazionalizzazioni quali quella dell'energia elettrica in Italia su cui la sinistra faceva tanto conto all'inizio del centro-sinistra.

Gli argomenti in favore di un approccio diverso al problema, in linea con le nuove istanze emergenti nelle società industriali avanzate che pongono l'accento sul modo di produzione, sull'organizzazione del lavoro e sul tipo di crescita economico-sociale da portare avanti piuttosto che sulla proprietà privata (cioè di grandi burocrazie private) o pubblica (cioè di grandi burocrazie statali) dei mezzi di produzione, non mancano e il PS non ha esitato in altre occasioni a farsene portavoce. Perché se, come Attali sostiene, il socialismo è anzitutto un progetto di società, i socialisti non hanno il coraggio di dire che le nazionalizzazioni, così come sono concepite, sono marginali per la sinistra (e potrebbero anche essere fatali se dimostrassero che con la sinistra al potere non si lavora meglio, né si guadagna di più)?

Allora, forse, sarebbe meglio puntare, in campo economico, su di una estrema duttilità, affrontando in termini sperimentali il problema di nazionalizzazioni non centralistiche e burocratiche e puntando molto nei primi "cento giorni" della nuova coalizione sui temi di libertà.

Lo dicevamo, come radicali, durante la nostra campagna elettorale: una sinistra che va al potere deve anzitutto dimostrare di essere sensibile ai temi delle libertà che più sarà accusata di voler limitare. Oltretutto la presa del potere in tempi di crisi (ma potrebbe essere altrimenti?) impedisce di sperare in misure economiche capaci di raddrizzare prontamente la situazione. Sarebbe probabilmente più onesto (e meglio compreso) dire fin da oggi ai francesi che governo delle sinistre significherebbe panico per le classi privilegiate che detengono il potere economico e quindi, almeno all'inizio, fughe di capitali e ripercussioni sulla produzione e sull'occupazione. Che, quindi, le ipotesi di miglioramenti economici, di riduzioni delle ineguaglianze e dei dislivelli salariali non sono per domani, ma che, invece, per domani saranno innanzitutto quei provvedimenti senza costo che aumentano la libertà e l'autonomia di tutti e particolarmente di quella grande maggioranza di emarginati (le donne, gli anziani, i giov

ani, i diversi).

Per domani potrebbero essere anche sperimentazioni audaci nel campo del lavoro. Non è vero che la crescita economica, rilanciata dall'espansione della massa salariale, come dice Michel Rocard, potrà permettere di eliminare la disoccupazione. In questo i suoi avversati governativi hanno buon gioco nel ricordargli i precedenti portoghesi o cileni. E' vero invece che la capacità produttiva e le risorse francesi potrebbero consentire a tutti un lavoro in condizioni produttive diverse. E già molti ricercatori si muovono in questa direzione: meno ore di lavoro, diversa durata dei prodotti e loro standardizzazione più forte, incremento del lavoro libero non remunerato per la produzione del superfluo, riduzione del consumo di energia, recupero delle risorse locali, eliminazione del lavoro ripetitivo, utilizzazione della leva ex-militare per i lavori meno gradevoli che nessuno deve essere obbligato a fare per tutta la vita. Anche questo non è per domani, ma rappresenterebbe una prospettiva seria, socialista, non buro

cratica da contrapporre alla volontà di applicare (oltretutto in precarie condizioni politiche) i "sacri testi" testardamente sostenuta dai comunisti. Un modo ancora una volta egemone di condurre il dibattito che costringerebbe i comunisti (e la maggioranza attuale) a confrontarsi su proposte socialiste e alternative. Spazio che invece rischia di essere coperto, coalizzando forze non indifferenti, dai nuovi movimenti ecologici che stanno a poco a poco rilevando quello spazio di proposta politica "diversa" che era stato essenziale nel consentire al PS di diventare il primo partito del paese.

 
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