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Archivio Partito radicale
Teodori Massimo, Ignazi Piero, Panebianco Angelo - 1 ottobre 1977
I NUOVI RADICALI: (5) Con i diritti civili l'opposizione al regime
di Massimo Teodori, Piero Ignazi, Angelo Panebianco

SOMMARIO: L'interpretazione storica del Partito Radicale fondata sulla ricostruzione delle diverse fasi della vicenda radicale dal 1955 al 1977.

INDICE GENERALE

"Premessa degli autori"

Parte prima

STORIA DEL PARTITO RADICALE

I Dai Vecchi ai nuovi radicali

1 Il primo Partito Radicale (1955-1962)

2 Il centro-sinistra e l'ottimismo tecnocratico del benessere

3 Le nuove opposizioni in Europa

4 L'eredità del movimento goliardico

5 La sinistra radicale

"Note"

II La solitudine di una minoranza

1 La faticosa ripresa del nuovo gruppo

2 L'»Agenzia Radicale e le sue battaglie: Eni, assistenza, scuola

3 Unità e autonomia: si configura il conflitto con la vecchia sinistra

4 I radicali di fronte alle proposte di unificazione della sinistra

5 L'isolamento di una cultura politica diversa. Verso il congresso di rifondazione (1964-1967)

"Note"

III La campagna per il divorzio

1 La nascita e lo sviluppo del movimento divorzista con la Lid

2 Il movimento popolare e l'azione di pressione sul parlamento

3 Dal divorzio al referendum

4 I radicali nel movimento divorzista: significato politico generale

"Note"

IV Un partito alla ricerca di se stesso. Dal congresso di rifondazione (1967) a quello di rilancio (1972)

1 Attraverso il sessantotto

2 Le nuove iniziative: giustizia, sessualità, Concordato, liberazione della donna

3 Con antimilitarismo e obiezione di coscienza una caratterizzata presenza militante

4 I radicali e il sistema politico dalle elezioni del '68 a quelle del '72

5 Le difficoltà del partito verso il Congresso di rilancio (Torino 1972)

"Note"

V Con i diritti civili l'opposizione al regime

1 Dopo il rilancio, si moltiplicano le iniziative con un partito assai fragile

2 Gli otto referendum e il referendum sul divorzio

3 L'estate calda del 1974: la battaglia per l'informazione porta Pannella in Tv

4 I radicali di fronte alla »questione socialista

"Note"

VI Per una rivoluzione democratica

1 Azione diretta e azione popolare per l'aborto

2 Ancora sui diritti civili prende forma il partito federale. La carta delle libertà

3 Con le elezioni del 20 giugno 1976, i radicali in Parlamento

"Note"

VII Nel paese e nel Parlamento

1 Una minoranza in Parlamento

2 Il progetto referendario come progetto alternativo

3 Il conflitto tra comunisti e radicali

4 I motivi di vent'anni di storia radicale

"Note"

Parte seconda

ELETTORATO, MILITANTI, MOVIMENTO: UNA INTERPRETAZIONE SOCIOLOGICA

I I militanti radicali: composizione sociale e atteggiamenti politici

1 Premessa

2 La composizione sociale

3 I radicali e il Partito

4 Atteggiamenti politici generali

5 Il profilo socio-politico

6 Conclusioni

"Note"

II Il voto radicale nelle elezioni del 20 giugno 1976

1 Le caratteristiche generali del voto

2 Un consenso elettorale urbano

3 Un voto d'opinione

4 Le preferenze: la concentrazione su Pannella

5 Analisi di un caso: la Toscana

6 Considerazioni conclusive

"Note"

III Dalla società corporativa ai movimenti collettivi: natura e ruolo del Partito Radicale

1 Partito politico, gruppo di pressione, movimento: l'atipicità del Pr

2 Norme, strutture, carisma: le contraddizioni

3 Aggregazioni degli interessi, controllo sociale e movimenti spontanei

4 Sistema politico e società corporativa

5 Dalla contrattazione al conflitto

"Note"

APPENDICI

I Statuto del Partito Radicale

II Gli organi centrali del Pr

III Cronistoria delle principali vicende dei movimenti federati e delle leghe

IV Fonti e orientamento bibliografico

("I NUOVI RADICALI", Storia e sociologia di un movimento politico - Massimo Teodori, Piero Ignazi, Angelo Panebianco - Arnoldo Mondadori Editore, ottobre 1977)

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V CON I DIRITTI CIVILI L'OPPOSIZIONE AL REGIME

1. "Dopo il rilancio, si moltiplicano le iniziative con un partito assai fragile"

Al congresso di Torino del novembre 1972 in cui il Pr era stato rilanciato superando la soglia del migliaio di iscritti, erano stati sanciti gli elementi di analisi e di strategia che avrebbero costituito la base della pratica radicale degli anni successivi. Si riteneva che ormai in Italia esistesse una situazione di vero e proprio "regime", dalle caratteristiche corporative: »Il blocco storico attualmente vincente si è formato, si è costituito in regime, unendo ceti e interessi variamente legati alla configurazione classista, di sfruttamento, violenta, dell'"ordine" sociale. La tutela della logica prioritaria del profitto, delle rendite parassitarie, delle economie di rapina, di colonizzazione di aree di gruppi sociali, non è certo ostacolata ma favorita dalla cosiddetta pubblicizzazione dell'economia: la linea di sviluppo fra il corporativismo fascista e quello democristiano non a caso ha potuto svolgersi perfino attraverso le stesse sigle, dall'Iri a quelle mutualistiche e previdenziali, alla miriade di e

nti parassitari e corporativi, attraverso gli stessi tipi di gestori dei vari corpi dello stato e della chiesa, dalla polizia alla magistratura, dall'esercito al consiglio di stato, dalla corte dei conti alla conferenza episcopale, agli "ordini" e "società immobiliari" e "finanziarie", "religiose" dinanzi alla legge, mercantili e capitalistiche nella realtà dei fatti . (1) I riflessi del nuovo »ordine erano tali da ridurre nella società i margini del confronto politico e del gioco democratico: »L'atomizzazione corporativa, la frantumazione sociale, l'alienazione di massa, l'incentivazione dei settori e delle strutture di rapina consumistica, il massacro del territorio e del "tempo libero", della salute pubblica e dell'onestà e della lealtà di ogni istituzione, struttura e servizio statuale,... la corruzione dilagante,... il caos e le crisi,... sono l'espressione necessaria e rigorosa degli interessi e dell'attività delle forze clerico-democristiane e clerico-fasciste .

Al centro del nuovo assetto del paese, con il suo carattere »interclassista, autoritario, clericale, violento e corrotto , si trovava la Democrazia Cristiana, nella quale »appaiono nella loro unità e identità i due tradizionali volti del potere politico italiano, quello statuale e quello ecclesiastico... insediata sempre più solidamente, così come lo fu negli anni il Partito Nazionale Fascista . La drastica identificazione tra la Dc degli anni settanta e il Pnf degli anni trenta si basava, per i radicali, sull'analisi strutturale dell'intreccio di potere tra politica, economia, burocrazia e finanza; sulla cristallizzazione del sistema politico senza più opposizioni considerantesi alternative di governo e di potere: e sulla restrizione delle possibilità di espressione del dissenso e delle minoranze: »Le stesse liturgie democratiche sono divenute scandalosamente sleali e qualificano come dei rinnegati delle stesse grandi idealità borghesi coloro che le usano e dichiarano di difenderle e di crederci. Non v'è pi

ù ombra di vera democrazia e di tensione laica nemmeno nelle stesse organizzazioni socialiste e liberali: lo scontro di classe, oggi, passa sempre più dentro e non solo attraverso i partiti di tradizione operaia e proletaria . (2)

Per resistere e opporsi a una simile situazione degenerativa della democrazia italiana e trovare momenti di unità dal basso tra le forze »democratiche, autenticamente socialiste, comuniste e liberali gobettiane , si indicava la politica dei diritti civili: »Questo regime ha paura della libertà, dei diritti civili, della pace, della democrazia autentica, della civiltà. Per questo l'antiautoritarismo, l'antimilitarismo, l'anticapitalismo sono banditi e perseguitati... Per questo tutte le forze politiche tradizionali, anche di sinistra, sono neoconcordatarie, corporative, interclassiste nella loro concreta politica d'ogni giorno . (3) La strategia referendaria rappresentava di conseguenza il concreto strumento politico in grado, ad un tempo, di operare nel paese e di attivare uno scontro nelle istituzioni introducendo, con la forza del meccanismo costituzionale, la linea dei diritti civili nella sinistra e nella società, l'unica ritenuta davvero alternativa alla disgregazione corporativa.

I radicali pertanto - e questo era il centro consapevole delle deliberazioni del congresso di Torino - o riuscivano a impostare e realizzare un'azione alternativa al corso politico predominante, imponendo »la resistenza e il contrattacco , e qualificando con i diritti civili le »forze del dissenso, le forze libertarie di classe , oppure il regime avrebbe definitivamente affermato il suo potere e il suo carattere oppressivo per un intero periodo storico.

In base a tali presupposti, durante il 1973 si moltiplicarono nel Pr le lotte per l'affermazione di particolari diritti civili, accentuandone il necessario scontro con le istituzioni. La resistenza a mutar leggi, a trasformare comportamenti statuali o amministrativi, e ad instaurare prassi più democratiche, era il motivo per cui l'azione radicale - di tipo diretto, di proposizione legislativa mediata, o di semplice pressione nella pubblica opinione - diveniva inevitabilmente conflittuale con le diverse istituzioni, quella legislativa, quella giudiziaria o quella militare.

In primo luogo in questo periodo i radicali si occuparono della difesa del divorzio. Il referendum chiesto nel 1971, che non si era tenuto nel 1972 per le elezioni politiche e che non poteva essere indetto nel 1973 per disposizioni di legge, incombeva sulla vita politica. Come si è già detto, per tutto il 1973, i radicali, insieme ai divorzisti della Lid [vedi cap. III], esercitarono una continua pressione sulle forze parlamentari laiche e della sinistra affinché non fosse presentata una legge di revisione peggiorativa e di compromesso che sarebbe servita per evitare la prova referendaria, come era nelle intenzioni dei più, e in particolare del Pci.

Anche per la droga i radicali presero direttamente iniziative, aprendo all'inizio dello stesso anno una pubblica campagna con una lettera aperta al »Messaggero , (4) seguita da un pubblico dibattito durato alcune settimane. Da alcuni anni quella della droga era divenuta, anche in Italia, una questione di largo interesse sociale, sia per la diffusione del fenomeno, sia per gli effetti dell'applicazione indiscriminata della legge allora vigente di cui facevano le spese giovani incarcerati a migliaia. La parola d'ordine radicale, »contro la droga di stato e per la liberalizzazione delle droghe leggere , tendeva a sottrarre al »fermo di droga esercitato a largo raggio, migliaia di giovani di cui si voleva colpire non tanto l'uso della droga leggera quanto, attraverso di essa, l'atteggiamento dissenziente dai valori dominanti. (5)

In positivo i radicali proponevano l'approvazione di una nuova legge che, basandosi sulle acquisizioni scientifiche, sui meccanismi psicologici e di mercato, distinguesse la droga leggera da quella pesante e separasse le responsabilità del semplice fumatore da quelle dei trafficanti, instaurando contestualmente adeguati rimedi per i tossicomani senza criminalizzarli. »Più di cento secoli di galera diceva la lettera inviata al »Messaggero »comminati in cinque anni: per niente... Seimila persone, in maggior parte giovani, hanno accumulato pene per almeno diecimila anni di detenzione... . (6)

La campagna si basava sull'analisi puntuale della nuova legge proposta dal consiglio dei ministri, giudicata in maniera fortemente negativa, (7) sullo smascheramento dell'uso dell'informazione antidroga da parte della stampa benpensante e della polizia, strumentale alla diffusione di un'atmosfera di caccia alle streghe, (con la denuncia da parte del segretario del Pr, insieme a Stampa Alternativa ed altri, per propagazione di notizie false e tendenziose dell'assessore della sanità al Comune di Roma), (8) e sull'approfondimento degli aspetti scientifici, psicologici e giuridici della questione. La necessità di una posizione articolata e realistica rispondeva anche all'urgenza di far fronte alla crescente diffusione dell'eroina, denunciata più volte e decisamente dai radicali come il vero pericolo del momento. Allo studio ed alla proposizione di soluzioni fu dedicato il convegno "Libertà e Droga", organizzato nel giugno 1973 dal Pr insieme a Stampa Alternativa con la qualificata partecipazione come relatori di

Daniele Bovet, Adriano Buzzati-Traverso, Giancarlo Arnao, Guido Blumir e Luigi Cancrini. (9)

La campagna di quella stagione che contribuì a non far andare avanti la legge repressiva allora proposta sarebbe poi stata ripresa in seguito. Nella lettera al quotidiano romano Pannella aveva preannunciato, se necessario, la disobbedienza civile: »Ora basta, per questo gli esponenti radicali fumeranno pubblicamente hascisc . (10) Un atto che il leader radicale realizzò il 2 luglio 1975 (con il conseguente arresto) provocando l'accelerazione dei lavori parlamentari fino all'approvazione di una nuova legge nel dicembre dello stesso anno.

Il tema della liberazione sessuale aveva già meritato l'attenzione dei radicali con i convegni e gli incontri della seconda metà degli anni sessanta. Quando nell'aprile 1972 si costituì il gruppo del Fuori (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano) sulla contestazione delle tesi del convegno della Società italiana di sessuologia di Sanremo, sembrò naturale che un movimento politico che si definiva di »liberazione sessuale trovasse punti di convergenza con chi, come i radicali, tendeva a immettere nella politica questioni attinenti alla sfera personale e a sostenere i diritti delle diversità e del poter essere, in ogni campo, minoranza.

Così, durante tre anni di attività i vari gruppi Fuori, costituitisi nelle maggiori città italiane, finirono non solo per trovarsi accanto ai radicali, ma a trovare nelle loro sedi i punti naturali di riferimento, da un lato assorbendo i più generali temi libertari, e dall'altro sensibilizzando a loro volta i militanti radicali negli specifici problemi di oppressione della minoranza sessuale.

Mentre per gli altri gruppi nati intorno a un singolo tema, l'innesto radicale si configurava nell'individuazione di specifici obiettivi da raggiungere traducibili in proposte di riforma legislativa, per gli omosessuali l'attività propria e quella nel partito, si configurava più come un processo di rivoluzione culturale e di campagna di dissacrazione di atteggiamenti e comportamenti che non come azione per mutare specifiche istituzioni o leggi materiali. »Il segno più specifico dell'inizio del movimento dichiarava su »Notizie Radicali Angelo Pezzana, ideatore, mente direttiva e animatore del Fuori alla fine del 1974 »è stata la riscoperta-costruzione del ghetto, cioè la possibilità di raggiungere una propria identità in quanto omosessuali, identità che ci era stata negata dal nostro appartenere a una condizione minoritaria... L'omosessualità perdeva la sua connotazione personale e diventava un fattore politico, non più nascosto, ma vissuto in un confronto diretto con gli altri. (11) Così mentre il Pr all

argava le proprie presenze e influenze, esso si trasformava anche al proprio interno, al contatto con specifiche realtà come quella degli omosessuali; e, nel caso specifico, finiva per offrire nel modo di presentarsi un'immagine dissacrata di se stesso e quindi un esempio per il tipo di società che intendeva proporre al paese e alla sinistra.

Anche per l'obiezione di coscienza, nonostante la legge approvata alla fine del 1972, lo scontro con le istituzioni militari proseguiva. Non si interrompevano, anzi si intensificavano i processi e le condanne agli obiettori, tra cui quello al segretario della Loc, Roberto Cicciomessere, condannato nell'aprile 1973 dal tribunale militare di La Spezia a molti mesi di carcere. La Loc pertanto doveva affrontare una tale situazione e, al tempo stesso, porsi come obiettivo la rapida modifica della legge con la creazione di un effettivo servizio civile smilitarizzato, autogestito e con la possibilità per gli obiettori di scegliere gli enti presso cui prestare servizio. (12)

Ancora una volta attraverso una molteplicità di atti nelle piazze, nelle aule giudiziarie e nelle sedi legislative, l'azione radicale in sostegno a quella degli obiettori provava quanto difficile fosse la trasformazione di leggi, di norme e di comportamenti, e verificava, proprio sull'obiezione di coscienza, la dura resistenza delle istituzioni all'introduzione di prassi democratiche.

Tutte queste azioni, insieme agli innumerevoli processi dovuti alla disobbedienza a leggi ritenute ingiuste, stavano a testimoniare come il Pr, pur rifondato e trasformato a Torino, restava sempre un'estrema minoranza ai margini del sistema politico e operante sul terreno extraparlamentare. Il partito aveva raggiunto nel novembre 1972 i 1300 iscritti (con altri 1100 sostenitori), potendo contare qualche mese dopo su 13 (gennaio 1973) e poi 21 sedi (marzo 1973). Il suo bilancio di circa 15 milioni del 1972 passava a circa 33 milioni nel 1973 e a circa 60 milioni nel 1974. Era passato dal monogruppo romano a un embrione di costellazioni di gruppi diffusi nel paese, per lo più al centro-nord. La crescita aveva dilatato, moltiplicandole, le specifiche iniziative, tutte segni del comune denominatore della politica dei diritti civili, ma senza essere ancora affluenti di un progetto unitario e a larga portata. Sullo sfondo rimaneva la meta del progetto referendario su cui si misurava a distanza la capacità di allar

gamento politico e mobilitativo del partito.

Nel luglio 1973 veniva convocato a Roma un congresso straordinario per lanciare operativamente la campagna referendaria e per costruire un fronte di gruppi politici e di personalità democratiche come base di partenza del progetto referendario. Qualche mese dopo, in settembre, iniziava le pubblicazioni un quotidiano radicale, »Liberazione , che aveva appunto lo scopo di preparare il terreno e sostenere lo sforzo politico e organizzativo della raccolta delle firme da iniziarsi a primavera 1974.

I radicali si dibattevano intorno a un nodo centrale: come creare le condizioni per avviare un progetto di così larga portata come il pacchetto di referendum stabilito dal congresso di Torino. Si trattava di proporre al paese, contemporaneamente, ben otto referendum abrogativi. Nonostante l'allargamento quantitativo, le energie del Pr restavano assai scarse e insufficienti a far fronte ai propositi.

Giulio Ercolessi, che diveniva il segretario nazionale al congresso di Verona del novembre 1973 (non solo con i suoi 20 anni, giovanissimo, ma anche il primo "homo novus" rispetto al gruppo storico dei nuovi radicali che assumeva responsabilità nazionali), scriveva che malgrado l'esistenza delle possibilità di affermazione e crescita del movimento laico e libertario, i radicali non erano in grado di »svilupparle con un partito reso ancor più labile e inesistente degli anni passati (non è dir poco) dal progressivo esaurimento delle energie del gruppo ``storico '' romano . (13)

Pannella dal canto suo annunziava allo stesso congresso le dimissioni dal Pr così motivandole: »Se questo è il momento dello scontro, allora questo è il momento, più d'ogni altro, di andare alla lotta con rigore e fiducia nelle nostre idee; di andarci in formazione libertaria, cioè senza leaders, senza tendenze all'accentramento, senza conferimenti di carismi, senza bandiere, senza nomi, senza simboli, che non siano unicamente funzionali e tecnici rispetto alle lotte . (14) Quell'atto del leader storico dei nuovi radicali poteva essere interpretato secondo un duplice e congiunto significato, confermato poi da altri atti successivi. Da un lato egli intendeva permettere e favorire la crescita di un gruppo dirigente dotato di autonomia di iniziativa, e dall'altro dilatare la sfera di intervento della politica laica e libertaria operando, per quel che lo riguardava in prima persona, svincolato dai limiti che riteneva angusti del Pr, attraverso la creazione di altre aggregazioni di energie intorno alla propria pe

rsona, come appunto stava facendo con il quotidiano »Liberazione : (15) un'iniziativa editoriale che tuttavia non riusci ad andare oltre qualche mese di vita per la non riuscita della relativa campagna di autofinanziamento.

Ma sia l'obiettivo del partito di essere adeguato alle circostanze, sia l'obiettivo di Pannella di animare un più vasto movimento intorno al progetto degli otto referendum non furono conseguiti nei primi sei mesi del 1974. I radicali avevano voluto il referendum sul divorzio, ma ne risultarono sostanzialmente esclusi dalla campagna elettorale. L'esito di quella prova popolare aveva rappresentato la conferma delle ipotesi radicali assicurando un successo di portata storica alla loro politica, ma il tentativo di innestare su quella prova l'iniziativa più vasta del pacchetto referendario non riuscì. Il Partito Radicale, in quanto tale, non beneficiò della favorevole risposta del paese a ciò che con così forte determinazione aveva voluto - lo scontro tra due schieramenti - né in termini di acquisizione di maggiori energie politiche, né con il rafforzamento delle proprie organizzazioni. Pertanto, all'indomani del 12 maggio 1974, proprio i risultati del referendum contribuivano a sospingere il Pr verso l'isolament

o, nel momento in cui era apparsa evidente la pericolosità della politica radicale per gli equilibri instaurati tra le forze politiche.

Anche all'interno del partito si determinò uno stato di crisi, dovuto all'isolamento esterno e, di conseguenza, ai dissensi interni e alle inadeguatezze organizzative. Coloro che avevano considerato il progetto degli otto referendum troppo rigidamente, come una questione di vita o di morte dell'intera presenza radicale e avevano preso alla lettera il nesso tra progetto radicale e speranze democratiche del paese, entrarono in crisi: Roberto Cicciomessere quasi abbandonava il partito per dedicarsi solo alla Loc, Giulio Ercolessi si disimpegnava dalla segreteria nazionale creando una vacanza nell'esecutivo. In questa situazione si inserì un'azione di Pannella che fece uso a fondo di tutte le risorse personali e di tutta la capacità politica di cui disponeva, con un digiuno a oltranza e con la mobilitazione intorno a esso.

2. "Gli otto referendum e il referendum sul divorzio"

La decisione di proporre otto referendum abrogativi era stata presa al congresso di Torino del 1972, poi precisata e resa operativa alle due successive assisi nazionali radicali durante il 1973. Due referendum riguardavano il concordato del 1929 tra Italia e Santa Sede, due la materia antimilitarista (codice militare di pace e ordinamento giudiziario militare), due la libertà di informazione (ordine dei giornalisti e legge sulla stampa), uno la libertà di antenna e, l'ultimo, i reati politici e sindacali di opinione contenuti nel codice penale alle norme riguardanti l'aborto.

Il progetto così formulato aveva per il Pr un complesso significato strategico. (16) Di fronte al perdurare di leggi di origine fascista che in un venticinquennio di vita democratica non erano state trasformate e, contemporaneamente, in presenza di nuove norme che il regime democristiano si era dato secondo ispirazioni corporative (ordine dei giornalisti, legge sulla stampa), i radicali intendevano proporre un complesso disegno riformatore che facesse leva sulle abrogazioni e quindi costringesse alla formulazione di nuove norme. I temi erano significativi di altrettante aree in cui ritenevano necessario espandere i diritti civili: i rapporti tra Stato e Chiesa, il complesso militare, l'informazione, la giustizia. La formula che accompagnava il pacchetto di proposte era di per sé eloquente delle intenzioni: »per una repubblica autenticamente costituzionale in opposizione agli inerti richiami alla Costituzione a cui non avevano fatto riscontro conseguenti iniziative legislative.

La strada del referendum, cioè del ricorso diretto al voto popolare, assumeva del resto un valore che trascendeva le singole proposte abrogative. Stava a significare l'indicazione di uno strumento partecipativo e deliberativo (pur se in negativo) attraverso cui cittadini provenienti da diversi orientamenti politici e ideologici potevano convergere e formare uno schieramento maggioritario. Non si trattava soltanto di una implicita opera critica e stimolatrice nei confronti dei partiti che non erano riusciti a mettere in moto efficaci processi riformatori, ma anche di un modo di espressione e quindi di aggregazione che potesse pronunziarsi con delle chiare opinioni fuori dai patteggiamenti e dagli equilibri che il giuoco partitico-parlamentare in un sistema pluralistico come quello italiano aveva espresso per lungo tempo.

I diritti civili dovevano essere il terreno adatto per nuove aggregazioni, destinate, secondo i radicali, a risultare maggioritarie e vincenti. Di qui anche l'altra dimensione strategica del referendum compendiata dalla formula »Per un'alternativa democratica di classe . Il voto polarizzato su due sole scelte, il »sì e il »no , avrebbe comportato necessariamente una bipolarizzazione dello scontro politico e cioè una spinta verso la ricomposizione degli schieramenti in una parte progressista ed in una parte conservatrice facente capo alla Dc, considerata la vera destra storica del paese.

Un'ultima intenzione radicale racchiusa nella strategia dei referendum riguardava la funzione che potevano avere le minoranze nel mettere in moto processi politici riguardanti l'intera popolazione senza racchiudersi nella politica minoritaria del piccolo gruppo. »Nella storia di questi decenni era scritto nel volumetto di presentazione degli "Otto referendum contro il regime" »in Italia non ci sono stati movimenti di popolo (di classe o di opinione) nati a sinistra oltre il sistema partitico e capaci di interpretare esigenze particolari di un determinato momento... Chi rifiuta ipotesi cosiddette leniniste delle avanguardie rivoluzionarie e chi non accetta il gioco inquinato che il sistema dei partiti offre, può solo contare su quei processi che minoranze dinamiche possono, salveminianamente, mettere in moto con l'ambizione e il possibile obiettivo di costruire movimenti di massa capaci di far fare i primi passi avanti nel paese e nelle istituzioni sulla via del rinnovamento democratico e magari tendenzialme

nte socialista . (17)

I radicali attribuivano agli otto referendum il compito di rompere gli equilibri statici del sistema politico, trasformandoli a vantaggio delle forze di sinistra. Nella realtà quell'effetto si verificò con lo svolgimento del referendum sul divorzio, indetto infine dopo che erano andati a vuoto tutti i tentativi effettuati tra l'ottobre 1973 e il febbraio 1974 per evitare la prova assai temuta.

Pertanto, nella primavera 1974, la proposizione del pacchetto per una repubblica autenticamente costituzionale si intrecciava con la campagna in difesa del divorzio; anzi quest'ultima, rappresentò il centro dello scontro politico nel paese, non solo per i radicali ma per tutte le altre forze politiche. Il responso del 13 maggio (quasi il 60 per cento contro l'abrogazione del divorzio), giunto per le stesse forze laiche e di sinistra alquanto insospettato, per lo meno nella misura della vittoria laica, dava esplicitamente ragione alle tesi radicali. Si confermava l'intuizione dell'esistenza di una larga maggioranza della popolazione in favore della specifica riforma, e si otteneva, proprio attraverso una prova referendaria in tema dei diritti civili, uno spostamento di voto dal campo moderato a quello progressista con un effetto anticonservatore e antidemocristiano che infrangeva con la prova popolare un venticinquennio di egemonia cattolica e democristiana. Si confermava anche la tesi radicale che il clerica

lismo non rappresentava più un diffuso sentimento popolare ma rimaneva come cemento della struttura di potere: la campagna referendaria non aveva portato nelle piazze la »guerra di religione tanto temuta, ma solo un civile confronto specifico e politico generale.

Era certamente vero che la vittoria era stata ottenuta per il massiccio impegno, al momento del voto, delle forze della sinistra storica e in particolare del Pci; ma dovevano ascriversi ai radicali due elementi politici che stavano all'origine del successo divorzista. L'aver dapprima imposto il divorzio come tema che aveva, nelle conseguenze, importanza politica anche generale; e aver poi esercitato pressione affinché la prova di forza voluta dai cattolici conservatori si risolvesse sul terreno del voto popolare e non già con il compromesso tra i partiti.

Si sarebbe in seguito visto nelle successive prove elettorali del 1975 e 1976, che il referendum aveva rappresentato il momento di rottura di equilibri tra le forze politiche pressoché immobili dal 1948, con un netto spostamento verso sinistra. E che probabilmente era stata proprio la forma di votazione a opzioni semplificate che aveva permesso un così radicale spostamento di consensi elettorali. Prendeva anche consistenza, dalla verifica della prova dei fatti, la tesi radicale secondo cui i diritti civili e la politica istituzionale potevano essere un terreno di aggregazione di uno schieramento maggioritario alternativo alla Dc più di quanto non potesse esserlo il terreno economico.

Se questi erano gli esiti del referendum e le valutazioni teoriche che se ne potevano dare, le forze della sinistra non ne dettero, con le scelte politiche d'ogni giorno che seguirono, un'interpretazione di segno radicale. Comunisti e socialisti si affrettarono a offrire alla Dc la possibilità di considerare quel 13 maggio una parentesi e quindi le permisero di ricomporre i vecchi rapporti di forza. I radicali si trovarono più che mai isolati e la raccolta delle firme per gli otto referendum che era stata intrapresa in marzo, poi sospesa durante la campagna per il divorzio, e ripresa senza troppa convinzione in giugno, fu definitivamente chiusa in settembre. Erano state raccolte circa 175.000 firme e l'insuccesso della campagna era attribuita dal comitato a un insieme di fattori: la censura della televisione, il disimpegno delle forze extraparlamentari (Lotta Continua, Pdup-Manifesto) che originariamente avevano aderito, l'ostilità dei partiti della sinistra e le difficoltà istituzionali: »Una grande occasio

ne democratica non è stata così colta recitava il comunicato finale del comitato. »L'insuccesso di oggi non è l'insuccesso del Partito Radicale ma di tutto lo schieramento democratico. L'indizione dei referendum avrebbe potuto costituire una insostituibile arma di pressione popolare per vincere le resistenze parlamentari che si oppongono alla realizzazione di queste riforme legislative . (18)

3. "L'estate calda del 1974:

la battaglia per l'informazione porta Pannella in Tv"

I risultati del 13 maggio avevano creato il presupposto per una maggiore e più larga credibilità delle battaglie radicali, ma sia la situazione politica per gli orientamenti delle maggiori forze della sinistra, sia le energie di cui disponeva il Pr, ostacolavano la realizzazione del progetto referendario e, più in generale, le possibilità di crescita della minoranza. In primo luogo si frapponeva la barriera dell'accesso alla radiotelevisione di stato, chiusa alle forze politiche non rappresentate in parlamento. Per conquistare un tale diritto il 15 aprile, un mese prima del referendum, un largo gruppo di militanti dava inizio a uno sciopero della fame a sostegno delle richieste avanzate da Lid e Pr al capo dello Stato, digiuno a cui si univa il 3 maggio Marco Pannella.

Passato il referendum permaneva la richiesta dell'accesso per le minoranze al fine di »restaurare la legalità repubblicana e, rimanendo queste senza riscontro, continuava il lungo digiuno di Pannella coadiuvato, per periodi più brevi da gruppi di radicali a Roma e in altre zone d'Italia. (19)

Con il passare delle settimane senza che l'obiettivo di una riconquista dell'informazione fosse raggiunto, l'azione di disobbedienza civile si intensificava e si drammatizzava aggiungendo, al primitivo obiettivo, un secondo, per l'ottenimento di una consultazione delle minoranze da parte del presidente della repubblica. L'azione che faceva centro sulla persona di Pannella si accompagnava del resto a una intensa mobilitazione politica intorno alle analisi di tutte quelle strozzature che caratterizzavano il regime nei confronti delle espressioni di libertà e dissenso delle minoranze.

In un documento approvato da Pr, Lid e movimenti per i diritti civili all'inizio di luglio si esprimeva con durezza e aggressività tali valutazioni: »L'opera di vero e proprio assassinio politico delle minoranze politiche e laiche,... attuata con la violazione sempre più palese dei diritti fondamentali del cittadino... appare ormai quasi compiuta con la deliberata e rapida violenza avviata da una sua definitiva acquisizione... Il dissenso organizzato, le diversità religiose, culturale, politica, sono ridotti all'illegalità, perseguitati anche giuridicamente discriminati, privati dei diritti costituzionali e respinti alla rivolta o alla clandestinità... L'assemblea dichiara di accettare la decisione dei compagni che conducono il digiuno collettivo di proseguirlo ad oltranza. Il regime mostra di volere un gioco al massacro, di preferire l'assassinio politico e personale, a qualsiasi resipiscenza o decisione di rispetto delle legalità e moralità democratica e costituzionale . (20)

A metà luglio il digiuno di Pannella, superati ormai i settanta giorni, diveniva, con la sua eccezionalità, un fatto che giornalisti, ambienti culturali e politici e gli stessi responsabili istituzionali non potevano più ignorare. Tra la stampa, il settimanale »Il Mondo pubblicava una grande intervista di Pier Paolo Pasolini a Pannella, (21) e subito dopo il »Corriere della Sera apriva un dibattito sul »caso proseguito per un mese; (22) settimanali e quotidiani riprendevano il dibattito e le notizie dedicando spazio agli avvenimenti. Il 18 luglio infine il presidente della repubblica riceveva a titolo personale il leader radicale per significargli la propria attenzione per il valore della sua azione, pur non riconoscendo il diritto di consultazione a rappresentanti di minoranze; e, contemporaneamente, lo stesso giorno Pannella apparve per la prima volta da solo in un intervento televisivo. (23)

»Il »caso si allargava e così aumentavano gli interventi: intellettuali come Moravia e Sciascia (24) prendevano posizione; Dom Franzoni scriveva una lettera; (25) personalità politiche (Lombardi, Terracini, Mancini, Parri, Branca) e culturali (Fortini, Elena Croce, Franco Rossi, Nicola Matteucci) scrivevano e partecipavano in qualche modo solidarizzando con l'azione intesa per i diritti civili.

Lo sciopero della fame, sospeso da Pannella il 18 luglio, riprese il 25 dello stesso mese per altri sedici giorni al fine di conseguire tutto un arco di obiettivi. Negli stessi giorni i militanti laici e libertari davano vita a Roma alle »dieci giornate contro le violenze per allargare il fronte di dibattito e di mobilitazione sugli stessi obiettivi: voto ai diciottenni e nuovo diritto di famiglia entro l'anno; dibattito immediato sull'aborto in Parlamento; riconoscimento dei diritti delle minoranze del presidente della repubblica; restaurazione di una informazione democratica alla Rai-Tv; restaurazione di un'onesta informazione sui diritti civili sulla stampa quotidiana, contro l'inquinamento del gioco democratico da parte dei padroni pubblici e privati; rispetto della legge di attuazione del diritto d'iniziativa di referendum popolari, per una legge che colpisca gli esportatori abusivi di capitale; contro l'avocazione parlamentare dei processi per corruzione dei prestiti. (26) Il venti settembre l'azione

per l'informazione aveva un seguito con una marcia sulla Rai e l'occupazione di alcuni edifici, con l'effetto di conquistare tre dibattiti televisivi di un quarto d'ora ciascuno per i movimenti per i diritti civili come risultato di una campagna di pressione durata sei mesi. (27)

Lo strumento (rivoluzionario-nonviolento) del digiuno nel rapporto con gli obiettivi (democratico-minimalisti) ne faceva il motivo di forza della battaglia. Le richieste erano tutte di tipo elementarmente democratico: il rispetto dei diritti delle minoranze; lo stimolo alle forze politiche a scuotersi dall'inerzia e a fare cose su cui si erano sempre, a gran maggioranza, dette d'accordo. Come precedentemente per l'obiezione di coscienza, il bersaglio non riguardava contenuti ma tempi: e come tale il digiuno non si configurava come antiparlamentare o anti-partiti, non era cioè un ricatto al parlamento, ma al contrario una sollecitazione a trovare l'energia per fare quel che essi avevano enunciato di volere, ma per cui non trovavano il tempo ed il rigore necessari. Certamente, il metodo era sovversivo di fronte alla »costituzione materiale democristiana fondata sul rinvio: ma si presentava come un contributo a vitalizzare parlamento e partiti, a metterli in sintonia con i sentimenti del paese. Questo, unito

alla drammaticità dei mezzi, allo scandalo per il fatto che per simili obiettivi fosse necessario un simile digiuno, ne faceva la forza esplosiva. Da ciò anche la forza personale e di gruppo radicale che, attraverso uno strumento apparentemente così individualistico, riuscì, anche in quella occasione, a stabilire un dialogo con le forze politiche, e in particolare con la più refrattaria ad accettare pressioni esterne, quella comunista.

La lunga, intensa, drammatica azione che si era svolta dal maggio al settembre 1974 aveva avuto come protagonista centrale Marco Pannella che era riuscito a mobilitare intorno a sé energie di militanti radicali: questi, a loro volta, avevano consentito al leader, con il loro lavoro, di moltiplicare iniziative, campagne di stampa, pressioni e azioni dirette. Quel rapporto tra i due elementi dell'equazione politica radicale - il capo che per eccezionale capacità di mobilitazione acquista caratteristiche carismatiche, e i militanti - si rafforzava in quella »estate calda proprio in ragione della reciproca necessità tra i due elementi e quindi della loro complementarità. Del resto la disobbedienza civile e il digiuno rappresentavano gli strumenti individuali (e quindi per ciò portati alle estreme conseguenze) per supplire alle inadeguatezze del corpo politico collettivo radicale nel far fronte alla situazione di isolamento, in presenza della volontà politica di proporre con forza la propria tematica di posizion

i di minoranza.

Il dibattito allora provocato riguardava al tempo stesso, gli obiettivi proposti dai radicali, i metodi della loro azione, l'individuo Pannella che li rappresentava e incarnava non solo simbolicamente. In tal modo la cultura politica dei nuovi radicali passava ad un primo vaglio dell'aperta discussione dopo oltre un decennio di vita marginale dovuta a ragioni di diversità ed estraneità dalle maggiori correnti politiche e politico-culturali egemoni della società civile e nella società politica italiana.

Pier Paolo Pasolini aprendo dalle colonne del »Corriere il dibattito sul »caso Pannella sottolineava alcuni aspetti della singolarità radicale: la nonviolenza morale e il rifiuto del potere come fatto di realismo politico nel contesto della situazione italiana (»i principi per così dire ``metapolitici'' dei radicali li hanno condotti a una prassi politica di un assoluto realismo ), nonché la comprensione lucida di cose e fatti dovuta all'applicazione di principi metapolitici che permettevano di superare pregiudizi e compromessi della vita politica, da cui derivava lo scandalo. (28)

La validità di questo aspetto di introduzione nella politica di elementi usualmente non appartenenti ad essa veniva contestata da un interlocutore, il repubblicano Adolfo Battaglia, che giudicava »utopici e non adeguati alla gravità del momento gli strumenti dell'azione di coscienza. Egli contrapponeva il realismo della politica al »realismo dell'azione esemplare: »lo sfacelo... [come se] i modi per superarlo... veramente consistessero nell'affrontare come temi politici, i temi dell'utopia libertaria, come se gli strumenti e i contenuti di essa potessero surrogare i canali e i contenuti imposti dalle realtà urgenti della storia del Paese . (29)

Pasolini, invece, proprio sulla base degli stessi elementi, insisteva sul respiro dell'azione radicale trattandosi di »un pensiero e una volontà di azione di portata storica e decisiva. Che coincidono cioè con la presa di coscienza di una nuova realtà del nostro Paese e di una nuova qualità di vita delle masse, che è finora sfuggita sia al potere sia all'opposizione . (30)

Wladimiro Dorigo, nello stesso dibattito, portava in evidenza che accanto a due filosofie della crisi e del suo superamento, quella per così dire tecnocratica e quella espressa da Pci, Psi e sindacati, ne esisteva una terza facente riferimento a »casi, vicende, temi di lotta e contraddizioni nuove sollevati dal basso che davano vita a un patrimonio ideale minoritario che »non può non sentirsi portatore e sollecitatore di valori autentici, elementari, insurrogabili non solo come valori ma come strumenti di libertà . E sulla base di questa emergente sensibilità collettiva egli sosteneva la ragion d'essere della posizione radicale non rassegnata a fare i conti con le altre filosofie della crisi: »E' qui commentava Dorigo »la radice della presunzione di Marco Pannella e dei suoi compagni libertari . (31)

Alle ragioni di comprensione del »nuovo radicale corrispondente anche a emergenti fattori oggettivi replicava, per il Pci, Maurizio Ferrara con due motivazioni tipiche del patrimonio ideologico comunista: la non centralità e urgenza per la vita nazionale degli specifici problemi dei diritti civili e il rifiuto di azioni e atti di minoranze come strumenti politici che non devono sostituirsi all'azione delle masse e dei partiti che le rappresentavano. (32)

Accanto ai temi dell'utopia e del realismo, della politica e non-politica, la polemica di quelle settimane si incentrava sulla base ideologica e sul patrimonio ideale dei radicali. I laici moderati sottolineavano la completa rottura dei nuovi radicali con la tradizione del precedente radicalismo degli anni cinquanta rigettando la nuova prassi radicale nel campo dello spontaneismo: »La componente libertaria scriveva Spadolini (33) »ha prevalso nettamente su quella liberale, sia pure liberale di sinistra che costituì il fermento vitale del movimento del ``Mondo''. I filoni della contestazione si sono nettamente sovrapposti a quelli di ripensamento democratico che favorì l'esordio del centro-sinistra . (34) Dallo stesso campo ideale di osservazione, Nicola Matteucci, più attento alle concrete azioni sviluppate, replicava che »il nucleo teorico della battaglia dei radicali è dato dalla difesa dei diritti civili, vecchi e nuovi... Questa è stata ed è una battaglia liberale, perché fa centro e perno sull'individu

o e sulla sovranità della sua coscienza... . (35)

Se intellettuali e politici passavano al vaglio la cultura politica radicale impegnando su di essa l'informazione stampata con l'analisi dei diversi elementi che la rendevano singolare, il messaggio direttamente politico, nei contenuti e nei modi originali di affrontare uomini e problemi, passava per la prima volta attraverso l'informazione televisiva. E ciò costituì il dato nuovo di rapporto tra politica radicale e la ricerca di un consenso su di essa. Dalle centinaia di migliaia di cittadini che erano entrati in contatto con questo o quell'episodio della vicenda radicale, si passò quell'estate attraverso l'accesso strappato da Pannella alla Rai-Tv per sé e per le minoranze in genere, alla comunicazione verso molti milioni.

Il partito e la politica radicale avevano fatto un ulteriore salto di qualità nella possibilità di azione nell'ambito di una condizione storica di minoranza. I radicali erano riusciti ad allargare l'area di conoscenza sui temi dei diritti civili al di là degli addetti ai lavori, e insieme con essi, avevano dato il senso della presenza di una forza politica, assai piccola sì ma con l'ambizione di impostare e condurre lotte generali per il paese.

4. "I radicali di fronte alla »questione socialista "

La forza politica con cui il Partito Radicale aveva da sempre avuto i maggiori rapporti era il Psi. Con i socialisti i radicali condividevano atteggiamenti in linea di principio, pur se erano divisi su gran parte delle scelte concrete riguardanti la politica di collaborazione con la Democrazia Cristiana e i coinvolgimenti di sottopotere che comportava. Socialisti erano stati per lo più i parlamentari che si erano attivamente interessati al divorzio, Concordato e ad altri diritti civili, pur se spesso da posizioni isolate nel loro stesso partito. Socialisti erano stati la maggior parte degli interlocutori di base che i radicali incontravano nelle loro azioni militanti dal momento che, su ogni iniziativa, quasi meccanicamente si verificava l'adesione di individui, gruppi o sezioni socialiste. Il Psi era stato il partito appoggiato nelle elezioni regionali del 1970 sulla base di impegni su alcuni temi qualificanti: quasi costantemente l'interpretazione o la mediazione nel parlamento di azioni, richieste e inizi

ative del Pr facevano affidamento su socialisti. Il Psi, quindi, rappresentava la forza della sinistra storica più affine ai radicali per un doppio ordine di motivi: perché nei fatti sussisteva un filo continuo di rapporti affidati ai molti canali capillari della base o di singoli esponenti, anche quando quelli ufficiali si facevano difficili o impossibili; e perché i radicali non cessavano mai di richiamare la questione della propia appartenenza alla famiglia socialista, pur con i propri lineamenti libertari e i propri modi di azione. A ciò contribuivano anche le caratteristiche storiche del Psi che in Italia ne hanno fatto, dopo la fine del Partito d'Azione e dopo il periodo frontista, l'erede storico della »democrazia radicale (non per nulla gran parte dei vecchi radicali come già gli azionisti e Unità Popolare di Parri e Calamandrei erano finiti nel Psi).

L'attenzione del Pr per i socialisti si esplicava su tre diversi piani. I radicali si dimostravano attenti alle posizioni che il Psi assumeva nelle scelte politiche di ogni giorno e quindi erano portati a criticarle; cercavano d'altronde di offrire ai socialisti come momenti di incontro su una politica rinvigorita, iniziativa e temi di lotta; e infine, guardavano al modo in cui poteva svilupparsi un processo verso una rinnovata e unitaria forza socialista in cui dissolvere, e quindi potenziare, la propria esperienza minoritaria.

Al congresso radicale del 1972 la mozione conclusiva affermava la necessità di ripresa dell'iniziativa nell'area socialista: »E' compito di tutto il partito mobilitarsi perché questa corrente di associazione e di libera e nuova organizzazione dei laici, dei libertari, dei socialisti non si interrompa, ma prosegua e si ampli... . (36) Al congresso del luglio 1973 per impostare i referendum parteciparono gli onorevoli Vincenzo Balzamo e Fabrizio Cicchitto, e Giacomo Mancini aveva inviato un messaggio di saluto: una partecipazione che era interpretata come »un segno della possibilità di collaborazione esistente con ampi settori socialisti, e non solo di base . (37)

Quando uscì il quotidiano »Liberazione , esso seguì con assiduità le vicende socialiste, pur se le commentava criticamente a cominciare dal ritorno al governo nell'estate 1973 quando con il III governo Rumor fu rieditato un nuovo centro-sinistra. Il quotidiano titolava »Il Psi torna al calvario. Si ripropongono aggravate le condizioni del primo centro-sinistra. Il Psi sceglie di nuovo, per calcolo o illusione, la via del suo calvario o di qualche vice-presidenza. E' ora di tornare all'attacco del centro-sinistra . (38)

La polemica verso la scelta governativa del Psi (»La Dc ha già egemonizzato De Martino. Opponiamogli il socialismo ; (39) »Il Psi fluttua nel vuoto , (40) »Il Psi nella stretta neo-concordataria (41) si accompagnava ai continui, espliciti riconoscimenti del ruolo necessario di quella forza: »Il Psi continua a essere scriveva in ottobre »Liberazione »il partito centrale per qualsiasi speranza di alternativa o anche di mutamento. Il che, in definitiva, vuol dire che queste speranze sono davvero problematiche e difficili . (42) »La Prova Radicale pubblicava a sua volta uno speciale dossier su »Movimento socialista e alternativa con una lunga conversazione con Riccardo Lombardi a cura di Massimo Teodori e Gianfranco Spadaccia. (43) E, quando dopo il 12 maggio 1974 ebbe inizio la lunga lotta estiva con il digiuno collettivo, ancora una volta i radicali incontrarono alcuni socialisti del Psi come interlocutori. Pannella fu ricevuto dal segretario De Martino che pure era stato oggetto di critiche per la sua ge

stione acquiesciente; ed esponenti socialisti dichiaravano pubblicamente: »molte delle istanze proprie della battaglia politica dei radicali di Pannella in materia di diritti civili e di libertà sono comuni alle tradizioni e all'impegno attuali di lotta del Psi (44) e »al Psi va riconosciuto il merito di aver aperto il dialogo con il Pr e la Lid, riconoscendo la serietà degli obiettivi posti da Pannella e dai suoi compagni, indipendentemente dal giudizio di merito sui singoli problemi che in alcuni casi ci hanno trovato dissenzienti . (45)

Al di là di questi e altri episodi, era ben presente ai radicali la questione di fondo: la necessità di una grande forza socialista nel paese come presupposto per qualsiasi discorso di alternativa alla Dc. Tuttavia non era mai apparso nel Partito Radicale alcun segno che potesse porre la questione del rapporto radicali-socialisti in termini di tradizionale alleanza o confluenza. Era sempre stato chiaro e continuava ad esserlo, pur nei momenti di maggiore vicinanza su temi specifici, che una qualsiasi convergenza tra la forza minoritaria e il partito socialista non potesse che avvenire a partire dalle lotte comuni, cioè da momenti di aggregazione dal basso. Le positive esperienze del movimento sul divorzio erano state di questo tipo e la pratica referendaria nel 1974 indicavano le modalità di possibili processi unitari.

D'altronde, nella stagione postsessantottesca tutti i tentativi operati nell'area della nuova sinistra di costituire partiti nuovi con formule aggregative vecchie stavano fallendo. Dopo le elezioni del 1972 il Movimento Politico dei Lavoratori, (nato da un gruppetto di cattolici spostatisi a sinistra intorno all'ex presidente dell'Acli, Livio Labor) che rappresentava il tipico esempio di processo non basato su lotte specifiche, era scomparso confluendo in parte nel Psi. Lo stesso Psiup aveva decretato la propria fine tornando nei grandi alvei della sinistra storica, Pci e Psi. Manifesto, residui del Psiup e del Mpl, cercavano con difficoltà unificazioni nel Pdup ricalcando aggregazioni e separazioni che avevano ben poco rapporto con nuovi movimenti nel paese.

I radicali restavano estranei a queste vicende non solo e non tanto per la diversità politico-ideologica quanto per il fatto che il patrimonio più autentico del partito era costituto proprio dal modo di mettere in moto movimenti di lotta su specifici contenuti e obiettivi politici. Ed era su quel patrimonio che intendevano costruire eventuali processi aggregativi in direzione dei socialisti e non solo di essi.

Alla fine del 1974 erano i fatti esterni (il tramonto dell'inerte centro-sinistra in presenza della sopravvenuta crisi economica che si sovrapponeva a quella politica, morale e istituzionale) insieme ai fatti interni del partito che ponevano con urgenza la »questione socialista all'ordine del giorno del Partito Radicale. I radicali avevano condotto una serie di lotte specifiche ed erano ormai consapevoli che esse interpretavano esigenze presenti nel paese e che quindi, pur a costo di duri scontri con le istituzioni, erano possibili specifici e singoli successi. D'altro canto constatavano come il quadro politico complessivo si andasse sempre più configurando con caratteristiche concretamente se non formalmente non democratiche e quindi fosse d'obbligo spostare l'attenzione dalla somma delle singole lotte alla strategia alternativa rispetto alla quale il quadro delle forze politiche e il ruolo di quelle di sinistra assumeva un peso determinato. »La gravità della crisi generale del paese recitava il documento

ufficiale del congresso di Milano del novembre 1974 »è tuttavia tale che, se un'alternativa politica e programmatica di governo non è nelle presenti condizioni ancora realizzabile, essa non va tuttavia rinviata ad un lontano futuro ma deve essere preparata fin da ora. (46)

Al congresso era emersa con forza l'esigenza, da un lato, della costituzione di un organismo politico adeguato ai compiti che ormai l'opinione pubblica attribuiva ai radicali e, dall'altro, dell'urgenza di sviluppare il potenziale radicale verso la rifondazione socialista. A conclusione del congresso una tale duplice esigenza veniva esplicitamente raccolta con l'enunciazione nella mozione della »questione socialista come questione di fondo dell'alternativa.

Accadeva così che il partito, nel giro di qualche anno, mano a mano che si espandeva il suo campo di azione, allargava anche i suoi obiettivi: dall'indicazione di »un partito laico , vagamente formulata nel 1971 nei termini di contenuti e di lotta, si passava all'obiettivo preciso di una »nuova forza dei socialisti per conquistare il 20 % dell'elettorato. Disubbidienza civile e singole battaglie non erano più considerate sufficienti a creare le condizioni per la costruzione di una alternativa, »se non si crea, con queste lotte, e con una prospettiva politica generale, una componente socialista-libertaria che sia capace, riequilibrandola, di rafforzare l'intera sinistra italiana. Se la componente socialista e libertaria non riuscirà a conquistare e a rappresentare almeno il venti per cento dell'elettorato, affiancandosi e stabilendo un rapporto unitario con il Pci, le polemiche sul compromesso storico... rischiano per i laici e i socialisti di essere alibi della propria impotenza e dei propri fallimenti. E l

a costruzione di una grande forza socialista e libertaria è la condizione necessaria per una politica alternativa democratica e socialista . (47)

Che i radicali considerassero come possibile l'inizio di un processo di rifondazione socialista di cui potessero essere parte non era scritto solo nei documenti ufficiali del partito. Marco Pannella, proseguendo nella strada di una moltiplicazione di iniziative e movimenti che rompessero gli schemi angusti dei partiti, pur mantenendo sostanzialmente la guida dei radicali, dichiarava di voler agire da socialista (»ritengo che il mio posto di militante sia ormai quello del Psi... già da mesi ho annunciato questa mia valutazione ai compagni radicali, che la comprendono e la condividono ) e lanciava alcuni mesi dopo una sigla, il »Movimento socialista per i diritti e la libertà civili - Lega XIII Maggio che riassumeva nel nome le intenzioni politiche. Altri radicali (Massimo Teodori, Mercedes Bresso, Franco Sircana, Lorenzo Strik Lievers, Enzo Belli Nicoletti) insieme ai socialisti (Alberto Benzoni, Umberto Dragone, Gerardo Mombelli, Piero Bizzarri) e indipendenti (Giorgio Galli, Stefano Rodotà), costituivano

nel gennaio 1975 l'associazione »Azione e Ricerca per l'Alternativa (Ara), con l'obiettivo di far opera di ponte tra singoli e gruppi, complementare all'attività di partito, per la rifondazione socialista e per l'alternativa. (49)

"Note"

1 Mozione conclusiva del XI congresso del Pr, Torino, novembre 1972, in "Le lotte radicali attraverso i documenti congressuali e lo statuto", a cura del Pr, Roma, 1976, III ediz., p. 29.

2 "Ibidem", p. 30.

3 "Ibidem", p. 31.

4 Lettera di Marco Pannella al »Messaggero , 16 gennaio 1973, a cui fece seguito un dibattito alimentato da lettere pubblicate dal quotidiano fino alla fine di gennaio. Vedi anche lettera di Massimo Teodori, »Messaggero , 25 gennaio 1973.

5 Cfr. "La droga nera", a cura di Stampa alternativa, in »La Prova Radicale , anno II, n. 7-8-9, maggio-luglio 1973, pp. 106-111.

6 Lettere di M. Pannella, "cit".

7 Cfr. "Dossier Droga/2" a cura di Stampa alternativa, in »La Prova Radicale , anno II n. 5, marzo 1973, pp. 109-118, e »Notizie Radicali , a stampa, anno VII n. 2, 23 gennaio 1973.

8 Cfr. "La droga nera, cit".

9 Cfr. »Notizie Radicali a stampa, n. 176, anno VII n. 2, 23 gennaio 1973.

10 Lettera di Marco Pannella, "cit".

11 Angelo Pezzana, "Il Fuori e il Partito", »Notizie Radicali a stampa, n. 307, 10 ottobre 1974, p. 7.

12 Cfr. »Notizie Radicali , anno VII, n. 199-200, 20 giugno 1973.

13 Giulio Ercolessi, "Chiudere la baracca?", »Liberazione , anno I n. 32, 25 ottobre 1973.

14 "Il Pr ha deciso: otto referendum", »Liberazione , anno I n. 34, 9 novembre 1973.

15 Il quotidiano »Liberazione è pubblicato quotidianamente dall'8 settembre al 19 ottobre 1973, poi un ritmo bisettimanale fino al febbraio 1974. Diretto da Marco Pannella, dal novembre 1973 figura come condirettore Enzo Zeno.

16 "Otto referendum contro il regime, promossi dal Partito Radicale", a cura di Massimo Teodori, La nuova sinistra, edizioni Savelli, Roma, 1974.

17 Massimo Teodori, "Perché i referendum", in "Otto referendum", "cit.", p. 20.

18 "Come non è stata colta una grande occasione unitaria", »Notizie Radicali , a stampa, n. 307, 10 ottobre 1974, p. 5.

19 "Digiuno collettivo: comincia tutto il 15 aprile. In tre mesi oltre 100 militanti nonviolenti riprendono l'arma del digiuno", »Notizie Radicali , a stampa, n. 289, 23 luglio 1974.

20 "Manifesto per la difesa delle libertà civili", »Notizie Radicali , ciclostilato, 8 luglio 1973.

21 "Noi siamo pazzi di libertà": Pannella intervistato da Pasolini, »Il Mondo , 25 luglio 1976, Cfr. anche la replica: "Signori i pazzi siete voi" di M. Pannella »Il Mondo , 8 agosto 1974.

22 Pier Paolo Pasolini, "Apriamo un dibattito sul caso Pannella", »Corriere della Sera , 16 luglio 1974.

23 Testo stenografico dell'intervento televisivo in »L'Espresso n. 30, 28 luglio 1974.

24 Cfr. "Pro e contro", »L'Espresso , 28 luglio 1974.

25 Lettera aperta di Dom Franzoni a Marco Pannella, »Aut , anno III, n. 24, 28 luglio 1974, p. 13.

26 Cfr. »Notizie Radicali , a stampa, n. 289, 23 luglio 1974.

27 "XX settembre. Una breccia a Viale Mazzini", »Notizie Radicali n. 307, 10 ottobre 1974.

28 P.P. Pasolini, »Corriere della Sera , "cit".

29 Adolfo Battaglia, »Corriere della Sera , 20 luglio 1974.

30 P.P. Pasolini, »Corriere della Sera , "cit".

31 Wladimiro Dorigo, »Corriere della Sera , 10 agosto 1974.

32 Maurizio Ferrara, »Corriere della Sera , 18 luglio 1974.

33 Giovanni Spadolini, »Corriere della Sera , 25 luglio 1974.

34 "Ibidem".

35 Nicola Matteucci, "Una rabbia liberale", »Il Mondo , 18 luglio 1974.

36 "Le lotte radicali attraverso...", "cit.", p. 29.

37 "Ibidem", p. 34.

38 »Liberazione , 15 settembre 1973.

39 »Liberazione , 22 settembre 1973.

40 »Liberazione , 27 settembre 1973.

41 »Liberazione , 11 ottobre 1973.

42 »Liberazione , 11 ottobre 1973.

43 "Dossier: Movimento socialista e alternativa", »La Prova Radicale , anno II, n. 7-8-9, maggio-luglio, 1973 pp. 45-92.

44 Enrico Manca, »Aut , anno III n. 24, 28 luglio 1974.

45 Aldo Ajello, »Aut , anno III n. 24, 28 luglio 1974.

46 "Le lotte radicali attraverso...", "cit.", p. 39.

47 "Ibidem", p. 40.

48 Marco Pannella, "Scacco al regime", »Aut , anno III n. 24, 28 luglio 1974, p. 12.

49 L'Ara (»Azione e Ricerca per l'Alternativa , associazione politica), fondata nel gennaio 1975 da un gruppo di persone appartenenti al Pr e al Psi o impegnati in strutture sindacali e giornalistiche, aveva come obiettivi: a) il rinnovamento della forza socialista nella struttura organizzativa, nella capacità di elaborazione ideologica e programmatica e nella strategia; b) l'alternativa della sinistra alla Dc, in termini di forze sociali di contenuto programmatico e schieramento politico. Ha promosso una serie di iniziative: "Primo colloquio per l'alternativa" (aprile 1975); "Quale socialismo, quale Europa" (novembre 1975); "Alternativa e elementi di socialismo nelle comunità locali" (settembre 1975): " La sinistra e la strategia dei referendum" (ottobre 1975). Segretario generale era Massimo Teodori, tesoriere Piero Bizzarri.

 
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