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Neppi Modona Guido, Scalfari Eugenio, Rodota' Stefano, Galli Giorgio, Ferrari Giuseppe, Colonna Flavio, Armaroli Paolo, Pasquino Gianfranco, Cozza Michele - 10 ottobre 1977
Una prima vittoria: si apre il dibattito

SOMMARIO: Una rassegna stampa dei maggiori quotidiani italiani sulla proposta del partito comunista di modificare la legge istitutiva del referendum. In seguito alle denunce del PR si è aperto un dibattito sull'istituto del referendum e i progetti, come quello del PCI, che ne ipotizzano la modifica. Intervengono giuristi e costituzionalisti di ogni orientamento: da Rodotà a Armaroli, da Galli a Ferrari. Gli articoli di Scalfari su la "Repubblica". Presa di posizione dell'"Avanti". Le repliche dell'Unità e di Paese Sera. La cortina del silenzio è stata spezzata: è la prima conquista.

(NOTIZIE RADICALI N 220, 10 ottobre 1977)

La Repubblica

Tra Pannella e i comunisti

di Guido Neppi Modona

(...) Pannella ha attribuito gravi intenzioni "liberticide" alla proposta di legge del PCI di modificare la legge che disciplina il referendum, ha parlato di "distruzione silenziosa della Costituzione e della democrazia" e di un "vero e proprio colpo si stato". Frasi esagitate, giudizi eccessivi. (...) Ora il disegno di legge del PCI mira in primo luogo a creare dei collegamenti tra l'attività parlamentare e la diretta iniziativa popolare. coordinare il referendum con l'attività parlamentare significa aggiungere all'originaria e principale funzione dell'istituto, che è appunto il ricorso alla diretta volontà del popolo per contrastare le scelte o le inerzie del parlamento, un ruolo di stimolo nei confronti del legislatore, sì da mettere in grado di adeguarsi a dare attenzione alla volontà popolare... Non vedo quali rischi e quali attentati alla volontà popolare vi siano nel concedere sei mesi di tempo in più al Parlamento, per abrogare e modificare, tanto per rimanere sul tema concreto, l'attuale disciplina

sull'aborto, evitando così i costi e le inevitabili tensioni del referendum. Se infatti il Parlamento non si attiva nel senso prescritto, il meccanismo del referendum riprende il suo corso senza incontrare più alcun ostacolo... Da respingere invece tutte le parti del disegno di legge che non s'innestano nella logica di dare al Parlamento la possibilità di farsi interprete della diretta volontà popolare. Tale è ad esempio la norma che vieta di depositare la richiesta di referendum prima che siano trascorsi tre anni dall'entrata in vigore della legge di cui si chiede l'abrogazione. In questo caso la richiesta di referendum si pone in antitesi irrimediabilmente con l'operato del Parlamento e non si vede per quale motivo il paese debba attendere tre anni prima di liberarsi di una legge sgradita. Anche l'eventuale proposta di aumentare di mezzo milione a un milione le firme necessarie per promuovere il referendum avrebbe un significato inutilmente vessatorio nei confronti della manifestazione diretta della volont

à popolare...

("La "Repubblica", 3 settembre 1977")

Panorama

Paura del referendum

di Stefano Rodotà

(...) "Due sono i punti chiave della proposta comunista. Primo: il presidente della repubblica, sentiti i presidenti delle Camere, potrebbe far slittare all'anno successivo il referendum nel caso il Parlamento stia esaminando provvedimenti legislativi riguardanti proprio le materie per cui è stato chiesto il voto popolare. Secondo: il referendum non potrebbe svolgere una volta che il Parlamento avesse sospeso l'efficacia della legge contro cui era rivolto... La proposta di affidare alle Camere questo particolarissimo potere, mi sembra comunque inaccettabile. Che senso ha "sospendere l'efficacia" di una legge? Se questa serve, non può essere cancellata, neppure per un momento; se non è più adeguata, il parlamento deve abrogarla o cambiarla. La sospensione finisce per essere soltanto un espediente per evitare che il referendum abbia il suo corso regolare. Un espediente che modificherebbe il sistema costituzionale: il referendum abrogativo, infatti è l'unico strumento di "democrazia diretta" per controllare l'a

ttività del massimo organo di "democrazia rappresentativa". Questo meccanismo gravemente alterato se si consentisse al parlamento, sospendendo una legge, di sottrarsi sia pure temporaneamente al controllo popolare... Ma c'è un altro aspetto pericoloso nella proposta comunista. Se fosse approvata la sua norma si applicherebbero agli otto referendum già regolarmente chiesti dai radicali. Non voglio qui discutere se, in un caso del genere, siano ammissibili leggi retroattive e se sia tecnicamente definibile retroattiva la disciplina proposta del PCI. E' certo però che si tratterebbe di un cambiamento delle regole del gioco a partita iniziata. Un modo di procedere costituzionalmente discutibile, che darebbe la sensazione sgradevole di una sopraffazione del più forte a danno del più debole".

("Panorama", 13 settembre 1977")

Paese Sera

Golpe istituzionale? Ma non scherziamo

di Flavio Colonna

"(...) "La proposta, quando e come verrà approvata, regolerà in maniera diversa i futuri referendum. Gli otto in corso non c'entrano... Il referendum è un'arma a doppio taglio. Può essere usata contro una brutta legge, ma anche contro un provvedimento valido com'è, appunto quello sul divorzio. Ciò non vuol dire che il referendum dev'essere abolito. La proposta del PCI non tende a questo, ma solo a frenare l'abuso o l'uso indiscriminato che finirebbe per essere contrario allo spirito stesso della Costituzione... Le firme per chiedere un referendum passano da 500.000 a un milione. Considerata l'espansione del corpo elettorale dal '46 ad oggi la proporzione fra elettori e firme non subisce variazioni di un grande rilievo. Siamo sempre intorno ad un quarantesimo del corpo elettorale, senza contare che le condizioni per la raccolta delle firme sono oggi di gran lunga migliorate che 30 anni fa.

2) Nel conteggio dei voti devono giocare anche le astensioni: esempio: se su cento aventi diritto al voto se ne astengono sessanta si arriva alla conclusione che bastano appena 21 voti (la metà più uno dei quaranta votanti, quindi una piccola minoranza), per decidere le sorti di una legge. Il PCI propone che per vincere il referendum occorra la metà degli aventi diritto al voto, più uno, quindi nel nostro esempio, 51 voti su cento.

3) Per chiedere un referendum abrogativo bisogna che la legge in questione sia in vigore da almeno tre anni affinché gli elettori abbiano elementi di giudizio basato sull'esperienza pratica e non sulle supposizioni. Del divorzio, per esempio si disse che avrebbe sfasciato le famiglie. Solo l'esperienza poteva dire, come ha detto, che era una balla, destinata a suscitare un voto emotivo senza riferimenti ai fatti. 4) Il referendum può essere respinto - dicono le norme attuali - quando si sospenda l'efficacia della legge incriminata. C'è un'insidia. L'efficacia della legge può essere pretestuosamente sospesa, giusto per sospendere il referendum; poi può essere ripristinata magari cambiando solo una virgola. La proposta del PCI - a maggiore garanzia di chi promuove i referendum - dice che le modifiche devono essere sostanziali e non di pura forma. Queste proposte sono nella logica del nostro sistema costituzionale, basato sulla rappresentanza parlamentare".

("Paese Sera", intervista 18 settembre 1977)

La Repubblica

I comunisti e il referendum

di Eugenio Scalfari

(...) "Ci si avvia, pur tra molti contrasti e resistenze verso un'ipotesi di "grossa coalizione", tra DC e PCI. Non v'è dubbio che una maggioranza parlamentare che raccogliesse il 70 per cento dei voti rischierebbe di soffocare la voce delle minoranze e di sottomettere ancor di più di quanto non avvenga la società civile alle macchine dei partiti. Se dunque l'istituto del referendum era prezioso prima, lo sarà doppiamente in una situazione in cui l'opposizione per un lungo periodo avrà cessato di funzionare o resterà affidata a piccoli gruppi all'interno del Parlamento. Il ricorso al referendum viene normalmente praticato da associazioni e gruppi minoritari, poiché chi detiene ed ha libero accesso alle stanze del Palazzo, non ha certo bisogno di battere quella difficile strada per ottenere l'abrogazione di una norma di legge. Infatti non s'è mai visto finora che al referendum ricorressero i grandi partiti, i quali, tutt'al più vi sono stati alla fine coinvolti loro malgrado. Se dunque il referendum è lo stru

mento delle minoranze, le norme che lo disciplinano, già di per sé notevolmente severe, risultano severissime e ben lo sanno quei comitati che di tanto in tanto si sono cimentati alla raccolta delle firme, alla loro autentificazione a tutte le procedure e spese inerenti. Rendere ancora più pesanti tali norme altro non può significare dunque che vietare alle minoranze (che sono poi le uniche forze interessate a promuoverlo) il ricorso al referendum. Cioè, significa, di fatto abrogare il referendum".

("La Repubblica", 21 settembre 1977")

La Repubblica

Chi ha paura dei referendum

(...) 1) Si esaurisce il sistema costituzionale italiano nella democrazia rappresentativa o la si corregge con la presenza di altri elementi? Il referendum abrogativo, alcuni poteri autonomi del Capo dello Stato, l'esistenza della Corte costituzionale non costituiscono importanti correttivi alla democrazia rappresentativa pura? E non è dunque sbagliato (come propone il progetto di legge comunista) voler a tutti i costi armonizzare il referendum con la volontà della maggioranza parlamentare, laddove la Costituzione l'ha istituito proprio per integrare e al limite capovolgere i deliberati di quella maggioranza?

2) La democrazia rappresentativa, quale ha operato in questo trent'anni in Italia, merita l'incondizionata fiducia che i comunisti sembrano voler accordarle, dopo che in passato ne hanno disegnato con vigore i difetti, le lacune e gli inadempimenti costituzionali?

3) Nell'ipotesi verosimile di una "grossa coalizione", quale sarebbe di fatto il compromesso storico voluto dal Pci, non diventa ancor più prezioso il referendum a difesa delle minoranze?

4) Le norme proposte dal Pci non rendono più difficile il ricorso a tale istituto proprio da arte dei gruppi minoritari?

A queste domande l'"Unità" deve rispondere se vuole portare avanti un dialogo costruttivo su questo tema. Se non vuole, è inutile poi fare appelli alla necessità di discutere e di confrontarsi.

("Repubblica 27 settembre 1977")

L'Unità

Il referendum e la Costituzione

(...) Se si guarda, infatti, alle finalità specifiche del referendum abrogativo, crediamo si possa convenire che esso è diretto da una parte a mantenere un rapporto organico, specie per la più significativa scelta legislativa, tra l'attività del Parlamento e gli orientamenti del corpo sociale (ed elettorale), per consentire, al primo di tener conto e rimanere aderente alla volontà popolare, e a questa di intervenire e correggere le scelte che non approva e non condivide. Dall'altra, però, esso è diretto ad accrescere e potenziare la capacità di intervento dei cittadini perché vi sia maggiore consapevolezza e conoscenza possibile nella richiesta di referendum e nel voto relativo, intorno ai contenuti e alle scelte che si vogliono compiere.

Tanto è vero che già la raccolta delle adesioni per la richiesta di referendum rappresenta un importante momento di mobilitazione e di sensibilizzazione popolare di cui il Parlamento, nei limiti in cui lo ritiene, può tener conto per correggere, o modificare, o abrogare leggi su cui si sia aperto un dibattito tra le forze politiche e l'opinione pubblica.

Ora, proprio sotto questo profilo, e così entriamo in alcuni temi specifici, la proposta di sospendere l'effettuazione del referendum per sei mesi quando il Parlamento abbia al proprio esame appunto la modifica sostanziale o l'abrogazione della legge in questione rappresenta un limite al diritto dei promotori del referendum o non piuttosto una valorizzazione della loro iniziativa, dandole un esplicito significato di stimolo critico verso l'azione delle Camere? (...)

("Unità 24 settembre 1977")

La Repubblica

Referendum e Parlamento

di Stefano Rodotà

(...) L'esperienza dimostra, da una parte, che iniziative referendarie e azione parlamentare possono utilmente integrarsi. Con il voto sul divorzio è stata data una base ad una legge che le Camere avevano approvato con una maggioranza risicata. E, se avremo una buona legge sull'aborto, lo dovremo alla pressione esercitata raccogliendo 700.000 firme contro le norme del codice Rocco.

D'altra parte, la via referendaria si è rivelata capace proprio di aggregare domande diffuse nella società e che non avevano trovato sbocco sufficiente nei canali politici tradizionali. Il referendum, quindi serve anche a mantenere nel quadro istituzionale richieste che, altrimenti, avrebbero come unico sbocco la protesta violenta.

Limitando le possibilità di un ricorso al referendum, questa feconda dinamica istituzionale sarebbe compromessa. Un rischio, questo, ben più immediato di quello che si correrebbe se all'avvento di una larghissima coalizione di governo, che deprimerebbe le possibilità di opposizione parlamentare, si aggiungesse pure una riduzione delle occasioni di intervento diretto dei cittadini.

("Repubblica 28 settembre 1977)

Paese Sera

Referendum pro e contro

di Giuseppe Ferrari

(...) che c'è il vero nelle rampogne che vengono rivolte alla proposta comunista di modifica della legge di attuazione del referendum? Quale punto della suddetta proposta merita tanta emozione e riprovazione, ed accuse sempre più aspre, più insistenti, più diffuse e, soprattutto, sempre più pesante, quali sono quelle di insensibilità democratica, di tentativo di soppressione di uno dei cardini della Costituzione, e persino di golpe istituzionale? (...)

C'è dell'altro, naturalmente, nel progetto di legge. C'è la proposta di sospensione del referendum nella ipotesi, piuttosto nebulosa e comunque anomala, di sospensione dell'efficacia della legge abroganda; c'è altresì la proposta di facoltizzare il Capo dello Stato a ritardare per sei mesi l'indizione del referendum el caso in cui le Camere stiano esaminando un progetto di legge nella stessa materia; c'è infine la proposta di attribuire all'Ufficio centrale per il referendum, che poi è la Cassazione, la potestà di decidere che la consultazione popolare non deve più avere corso, qualora la legge abroganda sia stata abrogata o anche sostanzialmente modificata.

Qui, effettivamente, qualcosa non va, perché non si tratta più di innocenti ritocchi migliorativi. Il referendum sul divorzio fu fatto slittare di due anni, anziché uno, grazie ad una interpretazione, che solitamente viene bollata come grettamente formalistica, delle norme sui termini degli adempimenti. E con simile precedente e simili esegeti, sei mesi diventerebbero almeno due anni. Ma, soprattutto, non è di facile deglutizione la proposta che l'Ufficio centrale, organo non costituzionale, ed addirittura incostituzionale per le funzioni giurisdizionali deferitegli, possa bloccare, persino d'ufficio o a richiesta anche di un solo parlamentare, l'esercizio della sovranità popolare. Tanto più che la sua decisione viene espressamente dichiarata impugnabile dinanzi alla sezioni unitarie della Cassazione solo ove dia via libera al referendum, non nell'ipotesi opposta.

Eppure, tutto considerato, ed a parte la fantasiosa eventualità della sospensione di una legge, la sola modifica sicuramente incostituzionale è l'ultima, quella che fa dell'Ufficio centrale un giudice speciale, oltre che singolare della composizione, e che pertanto confligge con il divieto di istituire tali giudici. Solo che questo vizio è, prima ancora che nella proposta, nella legge vigente, attorno alla quale si fa quadrato.

La proposta comunista, al pari di tutte le altre, in fondo è l'invito ad un dibattito, l'occasione di un riesame della legge 352, che di incostituzionalità ne contiene parecchie. Sdegno e censure possono colpire la una o l'altra modifica puntuale, ma il problema politico-istituzionale rimane, e grave; quello dello svilimento del referendum, dello stravolgimento della democrazia rappresentativa, dell'efficienza del sistema.

("Paese Sera" 28 settembre 1977")

Il Tempo

Il futuro del referendum

di Paolo Armaroli

"(...) Ossessionati dall'idea del compromesso storico, che referendum a raffica potrebbero allontanare e forse par sfumare in via definitiva, i comunisti sono invece costretti a rinunciare a un minimo di fair play e fanno di tutto perché non si tengano i referendum.

Il tentativo legislativo dei comunisti risulta però alquanto maldestro. Per accelerare al massimo i tempi, non si prendono nemmeno il disturbo di presentare una proposta di legge costituzionale, e presentano invece una comune iniziativa legislativa con lo scoperto proposito di rivedere la Costituzione. Si proibisce la richiesta di referendum su una legge nei primi tre anni di vigilanza, che invece la costituzione consente, allo scopo di far accettare al corpo elettorale le novità legislative. Si concede al capo dello Stato la facoltà di ritardare l'indizione del referendum per un massimo di sei mesi, si aggiunge non senza ipocrisie; in realtà per un tempo assai maggiore, perché "in ogni caso" i referendum devono svolgersi in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno.

Ma c'è di più. Si arriva all'assurdo di prevedere la sospensione delle disposizioni sulle quali è stato richiesto il referendum come puro espediente per ritardarlo, quasi che assieme alle disposizioni opportune, e quindi da mantenere, e inopportune, e dunque da abrogare, possano concepirsi disposizioni da collocare nel limbo delle norme temporaneamente sospese.

E se dopo tutte queste disposizioni qualche richiesta di referendum uscisse indenne, ecco una ulteriore prova da superare. La Costituzione non lascia dubbi. Essa dice che la proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. Ebbene la proposta di legge comunista, che è ordinaria e non costituzionale, dice tutto il contrario. Ai fini del computo in questione essa considera anche gli astenuti, dei quali tutto si può dire tranne che siano voti validamente espressi. Non basta. Quasi che si tema l'accusa di eccessiva liberalità, subito dopo si aggiunge che le operazioni di voto si svolgono in una medesima giornata. Abolendo il lunedì mattina si confida che i votanti possano essere meno della metà degli aventi diritto e che perciò il referendum non sia valido".

Avanti!

Un'interpretazione della sovranità popolare

di Michele cozza

(...) L'Unità, infine, sostiene che il disegno di legge del referendum è inteso a "valorizzare" l'istituto stesso, "sottraendo ai pericoli di logoramento e di degenerazione". Per questo aspetto vorrei osservare che il disegno di legge del Pci, mentre da una parte stravolge l'istituto del referendum quale è previsto dalla Costituzione, dall'altra tocca questioni di principio rispetto alle quali si può tranquillamente dire che la iniziativa comunista è gravemente lesiva della nostra Costituzione.

Sul primo punto - cioè sul fatto che il disegno di legge stravolge l'istituto - ha scritto cose esatte e condividibili Stefano Rodotà e non mi resta, quindi, che rinviare il lettore a Panorama (n. 595 del 13-9-1977). Mi sia consentito solo di osservare che di fronte a proposte come quella intesa a dare al Presidente della Repubblica il potere di prorogare di un anno i referendum e quella intesa a dare al Parlamento il potere di sospendere ("sospendere" non abrogare o modificare con una nuova legge) una legge, mi coglie il dubbio che tra i proponenti comunisti e la nostra costituzione sia nato un qui pro quo. (...)

Infirmare l'istituto del referendum, significa non solo modificare la Costituzione, ma anche retrodatare la nostra Carta, quando viva e ampia nel Paese si manifesta l'esigenza di maggiore partecipazione.

("Avanti, 4 ottobre 1977")

La Repubblica

Elezioni e referendum

di Giorgio Galli

"(...) Le elezioni amministrative sono state rinviate con lo stesso spirito col quale si stenta di ostacolare l'uso del referendum previsto dalla Costituzione. Si pensa di modificare le leggo elettorali con decreti-legge e le leggi costituzionali con leggi ordinarie (violando la Costituzione) al solo scopo di rendere più difficile se non impossibile al cittadino l'espressione della sua volontà. Si vuol stabilire che non si possono fare referendum quando ci sono le elezioni politiche, oppure quelle europee, od anche quelle amministrative. Non si possono fare referendum se la legge non è in vigore da molto tempo, se il Parlamento sta discutendo una modifica, se possenti organizzazioni di massa non appoggiano la raccolta delle firme.

Si suggerisce ai giovani della nuova sinistra d'isolare i violenti e i "pitrentottisti". Ma quando due movimenti della nuova sinistra, "Lotta continua" e il Movimento lavoratori per il socialismo, impegnano i loro militanti a fianco di quelli radicali per raccogliere firme per i referendum gli stessi leaders politici che esortano i giovani alla democrazia, invece di compiacersi di quest'impegno, fanno di tutto per rendere impossibile l'attuazione dei referendum, per i quali le firme sono state raccolte".

(La Repubblica 5 ottobre 1977)

L'Unità

Un falso dei radicali sul Pci e referendum

di Fulvio colonna

"(...) "Le accuse dei radicali al nostro partito di voler impedire l'effettuazione dei referendum da loro promossi e sostenuti, è del tutto gratuita e provocatoria. Le nostre proposte, frutto di una attenta riflessione sulla natura dell'istituto referendario, sono state presentate già alcuni anni fa, e quindi in epoca del tutto non sospetta, e riprese recentemente. Possono certo essere discusse e controbbattute nel merito. Ma nessuno può in buonafede sostenere che esse possono in alcun modo incidere sull'iter dei referendum in corso. Non l'autorizza né la lettera né lo spirito delle proposte stesse. D'altra parte, come ognuno sa, le leggi provvedono per l'avvenire e non hanno effetto retroattivo. Anche se le nostre proposte venissero rapidamente approvate (e non mi risulta che siano neanche poste all'ordine del giorno della commissione) esse non potrebbero dispiegare effetti sui referendum il cui procedimento è in corso. Questo lo abbiamo sempre affermato e siamo costretti a ripeterlo solo perché la campagna

strumentale e agitatoria dei radicali tende a disinformare e disorientare l'opinione pubblica".

(Unità 7 ottobre 1977)

Il Giorno

Il referendum è un veicolo di democrazia

di Gianfranco Pasquino

(...) Nessuno ha dubbi sul fatto che il referendum è un importante, ineliminabile strumento di partecipazioni politica. Pochi possono negare un certo scollamento fra il Parlamento e la società civile su temi anche importanti, un certo ritardo dei parlamentari a prendere atto dei mutamenti intervenuti nella società italiana negli ultimi dieci anni. Ebbene, il referendum abrogativo ha il compito di eliminare quelle leggi non più consone con il sentire dei cittadini (o che non sono mai state il risultato della volontà popolare).

Il referendum è uno strumento di partecipazione politica che deve essere valorizzato. Sussistono, però, forti preoccupazioni per quanto riguarda gli esiti, ad esempio l'abrogazione di leggi che producano vuoti legislativi. Pur senza sottovalutare questo problema, è forse utile soffermarsi sugli esiti positivi del ricorso al referendum. A prescindere dal fatto che l'unico referendum abrogativo tenutosi in Italia ha mostrato il volto di una società matura e ha messo in moto processi positivi, il referendum rappresenta un possente strumento di informazione politica nei due sensi: dal basso verso l'alto e dall'alto verso il basso.

Non siamo forse d'accordo che i temi proposti dai radicali meritano l'attenzione dei cittadini italiani perché toccano problemi centrali della convivenza civile e democratica? Allora, ogni limitazione del ricorso al referendum che incida sulla possibilità di aprire un ampio dibattito, e di imporre al Parlamento le domande dei cittadini, va nel senso di un rapporto flessibile e continuo fra società civile e partiti politici; e, in definitiva, limita la democratizzazione del sistema politico italiano.

("Giorno, 7 ottobre 1977")

 
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