di Enzo RoggiSOMMARIO: Enzo Roggi definisce, dalle colonne dell'Unità, una "mina vagante" gli 8 referendum promossi dal Partito radicale. La natura dei referendum offrirebbe la possibilità a forze conservatrici e moderate, battute su altri piani, di tentare una rivincita. Il numero eccessivo degli effettivi quesiti referendari (123) e in particolare l'abrogazione dell'ergastolo, potrebbe infatti favorire operazioni di attacco nei confronti dell'ascesa del movimento operaio. Gli 8 referendum rappresentano perciò un pericolo di degenerazione della democrazia. Per queste ragioni, in accordo con quanto affermato da Neppi Modona, è necessario approvare alcune leggi che "servano ad evitare o a semplificare i referendum più complessi e contraddittori, attraverso modifiche sostanziali". [Replica di Marco Pannella al testo n. 3731]
(L'Unità, 8 gennaio 1978)
Il tema degli otto referendum (più quello già indetto sull'aborto), su cui si potrebbe votare - se la Corte Costituzionale li riterrà ammissibili - tra il 15 aprile e il 15 giugno, è uscito dalle brume della disputa giuridico-formale tra pochi iniziati, ed è finalmente entrato nel confronto tra le forze politiche. Esponenti di sinistra ed anche giuristi hanno cominciato, sia pure con grande ritardo, a valutarne il peso politico. E' un discorso da chiarire fino in fondo e rapidamente, in stretto rapporto non solo con le urgenti scadenze procedurali, ma con la crisi del Paese e la tormentata ricerca di una via di uscita. Parliamoci chiaro. Ben poco valore avrebbe un qualsiasi accordo su un nuovo governo, che si presenti pure come un passo avanti rispetto alla situazione attuale, se contemporaneamente non viene disinnescata questa vera e propria "mina vagante" dei referendum. E ciò perché lo sforzo di corresponsabilizzare più strettamente le forze democratiche e le grandi masse popolari per fronteggiare l'emerg
enza, dare certezze nuove, insomma per governare la crisi e impedire lo sfascio, verrebbe dopo due o tre mesi vanificato da uno scontro confuso e lacerante, che per di più servirebbe solo a coagulare un fronte assai vasto ed equivoco di "difensori dell'ordine".
Guardiamo bene come stanno le cose. La natura e l'argomento dei referendum sono tali che, mentre sarebbe praticamente impossibile delineare schieramenti basati su una visione razionale dei problemi, di certo si offrirebbe la possibilità a forze conservatrici e moderate, battute su altri piani, e chiaramente sconfitte nel '74 (divorzio) e nelle elezioni del '75 e '76 di tentare una rivincita.
Queste preoccupazioni non hanno nulla di aprioristico e non sono mosse - come qualcuno ha scioccamente detto - dal desiderio di conculcare la "democrazia diretta". Sono invece fondate sulla realtà dei fatti. E il primo fatto da rilevare è che 40 milioni di italiani sarebbero chiamati a rispondere "si" o "no" a tanti diversi quesiti, che in realtà sono (se abbiamo contato bene) 123. Sempre che si consideri riducibile ad un unico giudizio l'insieme dei 36 articoli della legge Reale.
Proviamo a immaginare il grado di informazione dell'elettore medio di fronte ad un complesso così eterogeneo di norme, istituti, sanzioni. Proviamo a immaginare quanti, di fronte al quesito abrogativo su 97 articoli del codice penale, sarebbero in grado di decidere se abrogarne alcuni e non altri: ad esempio, abrogare il divieto di soggiorno ma non il reato di "atti contrari alla pubblica decenza", o favorevoli ad abrogare il reato di cospirazione politica ma non quello di diffamazione a mezzo stampa.
Per stare ancora al concreto, ci sembra giustissima la preoccupazione espressa in questi giorni anche dalla "Repubblica" secondo cui, delle 97norme del Codice penale, incluse nel quesito abrogativo, alla fine molta gente anche perché strumentalmente sollecitata ne considererebbe decisiva solo una: quella che riguarda l'ergastolo. Legittima (e probabilmente giusta) in astratto, questa richiesta abrogativa cade in un momento segnato dalla crescita delle forme più feroci e organizzate di criminalità e di terrorismo, e quindi potrebbe essere considerata non opportuna da molti che pure non hanno animo repressivo. E se vincesse (è possibile) il "no", si farebbe un regalo enorme alle forze antidemocratiche per il fatto stesso di cadere nel trabocchetto di disegnare, in modo artificioso, un dislocazione degli italiani che non è quella vera ma quella provocata dalla carica emotiva di un falso problema.
Oltre tutto, con ciò si sarebbe compromessa la possibilità di cassare rapidamente dal nostro ordinamento altre norme repressive (ad esempio quelle relative ai reati di opinione) che recano maggiormente offesa alla coscienza democratica e pretesto agli evasori. Non possiamo volere che venga a formarsi un "partito dell'ergastolo"da affiancare a quello già esistente del ristabilimento della pene di morte. Inevitabilmente un tale partito di opinione diverrebbe base di massa di una più generale involuzione. E chi lo manovrerebbe se non le stesse forze che - per dirla chiaramente - oggi oppongono la loro rabbiosa discriminante contro l'ascesa del movimento operaio alla guida della nazione? Possiamo immaginare benissimo certe forze democristiane, oggi costrette, forse, a cedere sul problema del governo e della maggioranza, tentare tra pochi mesi un contrattacco. Come? Dicendo a un paese, turbato e stanco per lo stillicidio delle violenze e dei fenomeni di disgregazione: attento, vogliono con questi referendum sfasc
iare tutto - esercito, carceri, leggi penali, famiglia, ecc. - e allora rispondi no a tutto, salva l'Italia. Ecco il servizio che Pannella e i suoi amici che domenica si riuniscono a Roma in piazza S. Giovanni, fanno, per lo meno obiettivamente, alla conservazione.
Giustamente il senatore Branca, ex presidente della Corte costituzionale ha osservato che il diritto sovrano, in cui consiste il referendum, può esercitarsi se il giudizio riguarda questioni precise e comprensibili, e che il polverone referendario su decine di norme poco conosciute e incomprensibili è pura demagogia.
in effetti, quel che emerge, con gli otto referendum, è un pericolo di degenerazione della democrazia. Anzitutto perché democrazia significa, prima di ogni altra cosa, conoscenza, fondatezza oggettiva del giudizio. In secondo luogo perché, quando la qualità degli oggetti di cui si propone la soppressione è tale da provocare vaste zone di silenzio della legge e da porre, sia pure pro tempore, in mora il funzionamento di istituti costituzionalmente rilevanti (per esempio l'ordinamento militare di pace), allora si apre un conflitto, una contraddizione tra Paese e istituzioni.
Tutto questo non significa - lo vogliamo ribadire per l'ennesima volta - che i comunisti considerino indesiderabile o pericoloso l'istituto del referendum. Al contrario, vogliamo che esso operi con tutta la sua potenzialità democratica e rettificatrice. Ma proprio per questo non ne possiamo desiderare la degenerazione. Ora ci sembra possibile - come indicano le più recenti prese di posizione di partiti e giuristi - conseguire il fine rinnovatore che ha ispirato una grande parte dei firmatari del referendum, preservare l'istituto
da una deformazione e, contemporaneamente, evitare al Paese una prova che si presenta carica di grandi rischi.
La soluzione è quella da noi sempre sostenuta, e indicata, di recente, dal prof. Neppi Modona: "servano ad evitare o a semplificare i referendum più complessi e contraddittori, attraverso modifiche sostanziali".
Fatto tutto questo, sui referendum o parte di referendum che resteranno si andrà al voto popolare ma in un quadro meno ambiguo e su oggetti più limitati e chiari. La soluzione, dunque, c'è. Ma bisogna agire subito.