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Pannella Marco - 24 gennaio 1978
...Peste li colga
A colloquio con Marco Pannella

SOMMARIO: Dopo all'incirca un decennio di tentativi, il partito radicale è riuscito a raccogliere le firme necessarie a promuovere otto referendum che investono le leggi, umbertine o fasciste sopravvissute nell'ordinamento repubblicano, dai Codici penali militari al Codice penale di Alfredo Rocco. La Corte Costituzionale boccia quattro di questi otto referendum: Marco Pannella denuncia un "pactum sceleris" tra democristiani e comunisti. "E' l'ennesima dimostrazione - dice Pannella - che il compromesso storico passa necessariamente attraverso il ritorno allo Stato etico". Ma non è tutto: ci sono anche motivazioni più basse, necessità partitiche e di corrente.

(L'OPINIONE, 24 gennaio 1978)

"E' una decisione chiaramente dettata da motivi di opportunità politica. Devo dire, ad ogni modo, che quanto è avvenuto non ci ha stupiti. Da mesi denunciavo il ``pactum sceleris'' stretto fra alcuni giudici della Corte". Questa la prima valutazione, a caldo, con cui Marco Pannella commenta la decisione della Corte Costituzionale di dichiarare inammissibili quattro degli otto referendum. Ma le considerazioni che aggiunge, su questo, come su altri temi, non perdono certo di tono.

Domanda: D'accordo per l'opportunità politica, forse, ma a quale ``pactum sceleris'' ti riferisci?

Risposta: Mi riferisco la vero e proprio compromesso fra il giudice Elia, democristiano, anzi, moroteo, e Malagugini, comunista; questi signori tentavano da mesi, ormai, di guadagnare otto giudici su quindici alla tesi della inammissibilità. Certezza dell'imbroglio, dunque, sul piano politico. Mi chiedevo, semmai, quale sarebbe stata la reazione dei vecchi magistrati di Cassazione cresciuti insieme e omogenei alle leggi fasciste: poteva darsi che all'attaccamento al vecchio ordinamento subentrasse la fedeltà alla costituzione repubblicana, e che sulla devozione allo stato etico facesse premio il rispetto dello stato di diritto. Il corpo dello stato etico, le sue leggi più repressive, sono uscite vittoriose da questa prova perché omogenee alla cultura dei magistrati. Ma non è tutto: questa è l'ennesima dimostrazione che il compromesso storico passa necessariamente attraverso il ritorno allo stato etico, al rispetto delle sue leggi.

D.: Anche se sulla questione del compromesso storico possiamo essere d'accordo, temo che tu semplifichi un poco. Pensi realmente che tutto possa ridursi unicamente alla cultura dei magistrati e alla volontà di compromesso fra Dc e Pci. A un fatto antropologico e a uno politico?

R.: Infatti, ci sono motivazioni più basse. Quella della necessità partitica e quella della necessità di corrente. Dicevo già prima dell'esito che questa era la prova generale della elezione di Moro alla presidenza della repubblica. Elia è sfrenatamente moroteo, ed ha reso un servizio preziosissimo al Pci, che sarebbe stata la vera, grande vittima dei referendum, e che aveva assoluto bisogno di un rinvio. Per questo Moro verrà ripagato.

D.: Tu parli della Corte Costituzionale come di un gruppo di servi del potere, non di giudici. Fino ad ora, però, la Corte ha dimostrato un comportamento diverso.

R.: Infatti con questa operazione la Corte ha emesso una sentenza suicida, nel senso che ha ucciso tutto il suo prestigio. E' indubbio che dopo ``questo'' servizio al potere ``questa'' Corte ha perso la sua laicità e la sua giustificazione in un sistema democratico.

D.: Intanto però, di referendum ne sono rimasti quattro.

R.: Che però, probabilmente, non si faranno. Proprio per due di essi, quello sull'Inquirente e quello sulla legge manicomiale, a noi stessi andrebbe benissimo la soluzione parlamentare, attraverso una riforma. Ma si tratta, diciamo, di riforme ``facili''. Ad ogni modo, per la legge manicomiale, si sta verificando il caso previsto della Corte di Cassazione, di inammissibilità del referendum per mutamento ``in peggio'' della norma da abrogare. La riforma sanitaria, infatti, da un lato abroga la legge del 1908 ma dall'altro estende il ``fermo per malattia''.

Restano la legge Reale e il finanziamento pubblico dei partiti. La legge Reale verrà ``svuotata'' perché molti dei suoi articoli più repressivi verranno compresi in altre leggi di polizia. Si finirebbe, dunque, con il votare su una legge ormai priva di significato.

Sul finanziamento pubblico, invece, il discorso si inverte: questo è l'unico referendum su cui il Pci vuole andare. Ha le mani pulite, può dire di non avere mai avuto guai per finanziamenti ``neri'' e sa, soprattutto, che gran parte dei firmatari sono anche suoi elettori. Infine al Pci può convenire premere per almeno un referendum per non dare l'impressione di essere ``troppo'' contro.

D.: Veniamo alle due dimissioni e alla denuncia dell'esautoramento del Parlamento. In base a quali considerazioni vi siete mossi?

R.: I fatti sono noti. Dopo che mercoledì 11 gennaio la Camera ha votato, unanime, la mozione con cui i radicali chiedevano la costituzionalizzazione della crisi di governo, si è avuto l'atto di furbizia di lunedì scorso, con il quale Andreotti si è dimesso prima di passare davanti al giudizio delle Camere. A questo punto non avendo altro mezzo per intervenire, per denunciare questa grave offesa al Parlamento, ho creduto di dover rassegnare le mie dimissioni a Ingrao.

D.: Non c'è il rischio che queste dimissioni facciano la fine di quelle di Emma Bonino? L'on. Preti dice che subito dopo averle rassegnate si è messa a cercar gente che le rifiutasse...

R.: Il mio caso è completamente diverso da quello di Emma Bonino. Lei infatti, a giugno di quest'anno si dimise perché il governo non faceva niente per la riforma carceraria. Poi arrivò l'impegno di Andreotti a votare i provvedimenti sugli agenti di custodia. A quel punto, su preciso invito di Ingrao, Emma Bonino ritirò le dimissioni. Anche nel mio caso, del resto, se le dimissioni verranno rifiutate io non avrò niente da dire. Questo semplicemente perché dal modo come ho messo le cose, unendo le mie dimissioni alla mozione approvata dal Parlamento, la Camera, con le mie dimissioni, accetterà o rifiuterà il fatto politico della crisi al buio. E questo mi basta.

D.: Veniamo all'ultima questione, quella dei continui rinvii elettorali cui è ormai sottoposta la nostra democrazia.

R.: Mi pare che su questo punto la nostra posizioni sia chiara, anzi ovvia: l'unico pericolo che corre una democrazia è l'assuefazione a non votare, non l'abitudine a votare. Le elezioni traumatizzano un paese? Certo.

 
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