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Pannella Marco - 11 marzo 1978
La Costituzione è morta. Viva la Costituzione
Marco Pannella

SOMMARIO: Adelaide Aglietta, segretario del partito radicale, si è assunta la responsabilità di sospendere tutte le attività statutarie del partito. E' la manifestazione concreta della impossibilità per un partito democratico di sopravvivere in un regime che quotidianamente viola la legge, affossa la Costituzione.

Marco Pannella analizza le ragioni che hanno portato alla morte della Costituzione e della possibilità di costruire una alternativa di classe e democratica al regime costituito, alla stessa morte del Partito radicale. Ma proprio nel momento in cui tutto sembra finito è necessario insorgere perché la Costituzione viva, è necessario che i radicali scendano in piazza, con i propri tavoli, per informare la gente, per raccogliere le risorse necessarie per ricostruire nuovi spazi di attività politica democratica e libertaria.

(Notizie Radicali Marzo 1978 da " Marco Pannella - Scritti e discorsi - 1959-1980", editrice Gammalibri, gennaio 1982)

Più di un mese è passato. Adelaide Aglietta è ora a Torino, dando corpo e emblematica concretezza a una necessità drammatica di resistenza della quale per primi i radicali, soggetti destinatari e vittime di questa necessità, non sono in genere nemmeno consapevoli.

Dopo 22 anni di lotte, il Partito radicale aveva ormai cessato da tempo, perché impeditone con la violenza, le sue attività statutarie. Per assicurare la conquista degli obiettivi votati dai Congressi, le attività della Segreteria nazionale, del Tesoriere, del Presidente del Consiglio federativo, dei membri di Giunta e della decina di compagni direttamente con loro impegnati, non erano più quelle "esecutive" previste dai Congressi stessi.

Gli obiettivi venivano raggiunti: ma a che prezzo? Ormai, perché passasse quel minimo di informazione e di attenzione, anche interna, era necessario un impegno che ha messo in gioco la vita di quei compagni con quasi cento giorni di digiuno l'anno. Abbiamo dovuto scoprire e praticare il digiuno della sete, per la prima volta, penso, nella storia della nonviolenza politica. E' solamente grazie a queste decisioni, in genere personali o di piccolo collettivo, che il Partito radicale è il risultato presente (e distorto nella sua identità) nella scena politica e civile italiana. Né più né meno di quel che accadeva alle poche decine di militanti antifascisti della metà degli anni Trenta che "esistevano", in Italia e nell'opinione mondiale, solo grazie ai loro processi, alle loro azioni dirette, alle loro condanne, ai loro ferimenti, in una ventina di casi nel decennio, con la loro morte provocata.

Non saremmo in Parlamento, non avremmo potuto rovesciare il segno dell'assassinio di Giorgiana Masi, vera azione deliberata per assassinare il Partito radicale e la sua politica nonviolenta, non avremmo mai raggiunto le firme necessarie per richiedere i referendum (e costringere il regime e il PCI alla colossale, pubblica rapina della Costituzione), se il Partito non avesse al suo centro deciso ogni volta di pagare il prezzo proprio delle dittature per conquistare al Paese quel minimo di informazione senza di che è accecato e violentemente impedito di conoscere e giudicare, e il gioco democratico diventa impossibile.

Nel 1972 molti non compresero il nostro invito a bruciare pubblicamente le schede elettorali per denunciare il carattere antidemocratico, truffaldino, di elezioni che non consentivano nemmeno in teoria la effettiva "presentazione" di altre liste oltre quelle ufficiali (dal MSI al PSIUP) al giudizio del popolo. »Non ci mettiamo a tavola con i bari , »Questa non è democrazia, la Costituzione è violata e tradita , andavamo spiegando.

Scomparvero in quella occasione il PSIUP, il Manifesto, il MLP di Livio Labor. Raccogliendo firme contro il monopolio abusivo e violento della Rai-Tv e della Commissione parlamentare di regime, concorremmo in modo determinante a indurre la Corte Costituzionale alla sua sentenza esplosiva, che ingiungeva al Parlamento di riformare il servizio pubblico, altrimenti incostituzionale. Senza quella sentenza non sarebbero bastati i drammatici, quasi disperati digiuni della sete per conquistare spazi di informazione non di regime, non DC-PCI, per l'elettorato furono la corrispondenza fra le nostre richieste e "la legge" imposta dalla Corte Costituzionale a consentirci di aprire quelle brecce di libertà e di democrazia.

Ma parallelamente, l'azione di affossamento della libertà di espressione, nella stampa, di giornalisti e politici libertari o autenticamente liberali (cioè credenti nello Stato di diritto) avanzava a passi da gigante. I contorni mafiosi, sindoniani, massonici, multinazionali, dell'impero fatto costruire da Angelo Rizzoli, con la concomitante estensione di potere del gruppo dei giornalisti Fiat, con le nuove scelte del gruppo Mondatori ( di cui la diversa linea di Panorama è solo una spia), con il consueto allineamento agli interessi della "razza padronissima" di Caracciolo e Scalfari ( attorno alla polemica sullo scandalo Italcasse e Caltagirone, giunto a comportamenti banditeschi, a estorsioni vere e proprie nei confronti di Conte, con il linciaggio organizzato contro Tempo di Jannuzzi, colpevole d'aver dato spazio a noi radicali, con la liquidazione delle direzioni "liberali" del Resto del Carlino e del Giornale di Sicilia, dell'Alto Adige, della proprietà e direzione di Alessi (anti-Osimo) del Piccolo di

Trieste, con l'operazione Mattino, con quella Corriere della Sera (con buona pace di Giuliano Zincone), con la linea ferocemente antiradicale assicurata (per compiacere al PCI) dal TG2 e da GR1, con il vero e proprio teppismo fascista nei confronti delle opposizioni di sinistra assunto da Paese Sera di Aniello Coppola e di Franco Rodano, con i Maurizio Costanzo e gli Enzo Biagi, l'unità di regime della stampa la rende tale da non avere altri margini di differenza e di apertura che non siano paragonabili a quelli che durante il regime PNF erano consentiti e richiesti alla stampa di allora, ai Gayda e agli Interlandi, ai Farinacci e ai Missiroli, fino agli spazi bottiani a intermittenza concessi già allora ai Benedetti e Pannunzio, al loro maestro Longanesi.

Situazione pienamente di continuità e sviluppo del fascismo, dunque. Se appartenessi a quanti dicono: »Se tornano i fascisti, allora non c'è che il mitra , a quanti credono che la nonviolenza sia possibile in regime di libertà anglosassoni, o a quanti ritengono perseguibile (sia pure "dialetticamente") la pace con la guerra, il socialismo con la politica, sia pure difensiva, di assassinio e di violenza, avrei già scelto queste strade.

Ma credo nella nonviolenza, nella libertà, nella democrazia, nel socialismo, nel dialogo innanzitutto come metodi, come mezzi, strumenti. Credo nella "guerriglia nonviolenta" d'attacco e non solo di difesa, credo nel ragionato, continuo, ragionevole sregolamento di tutti i meccanismi (indotti ed ereditati, conquistati ieri e inadeguati oggi) e sensi collettivi e personali, privati e politici; credo nel "valore" del diritto e dei diritti, credo nella speranza "Partito radicale" cui abbiamo saputo dare finora, non di rado, prefigurazione e corpo e speranza.

Credo che la responsabilità che si è assunta Adelaide sia enorme, dolorosa e felice. Ha avuto il coraggio di constatare che il Partito radicale non poteva più esistere, non esisteva più, se non a prezzi e condizioni che lo snaturavano pericolosamente, che chiedevano sicuramente i nostri morti e le nostre morti, eroi e martiri, a meno di voler ridursi al "ruolo" di minoranza protestataria, inefficace, di nuova opposizione legittimante il regime, e il sistema ( la scelta nucleare rappresenta il primo, vero, insuperabile anello di congiunzione fra il regime italiano e sistema capitalistico, imperialistico violento e distruttore anche del futuro dell'umanità; quell'anello di congiunzione che può richiamare all'interno dello Stato non solamente in Italia il "potere" di classe necessariamente fin qui detenuto dalle multinazionali).

Vi sono radicali che sembrano non comprendere questo. La loro soggettività corrisponde a dati oggettivi: sono quali la mancanza di dialogo e di informazione nel Paese, nella società (non siamo una setta: non basta quella "interna", può anzi essere pericolosa se isolata), li rende. Poi vi sono anche radicali la cui vita è meno difficile, non per loro calcolo o tradimento, ma perché il regime sa premiare chi riduce o "innalza" l'esser radicale a "pensiero", a "contenuti" da perseguire "un giorno", o da omologare ad altri meno condizionati in senso alternativo. C'è una "serenità" e "compostezza" radicale che sono all'opposto della severità e del rigore degli "scomposti" e "esagitati", cui finora (purtroppo!) si sono dovuti tutti i risultati raggiunti, le vittorie, le crescite.

Cessare l'attività politica nazionale del Partito radicale non è decisione di un momento. E' attività, o non è che resa (anche se la resa, per dei nonviolenti, può essere momento morale e civile necessario) continua per rinnovare la gestualità e il rituale di espressioni e azioni senza avvenire e senza reale presente se non quello di servizio al "tutto" che questo potere ha bisogno di essere e apparire, tutto e il contrario di tutto.

E' attività il chiedersi ogni momento se, per comunicare la nozione che nel 1978 in Italia non c'è democrazia politica, diritti costituzionali, libertà per le minoranze di alternativa e di opposizione, ma solamente violenza e arbitrio, dalla Corte Costituzionale al Parlamento, dalla Giustizia alla Economia, è attività il chiedersi ogni momento dicevo se per comunicare questa nozione sia necessario o possibile tacere o parlare. Ma si deve lottare perché questo silenzio, imposto e deliberato, diventi evidenza, parli, dia coscienza di sé, e del suo significato. Si deve lottare a livelli diversi.

Il nostro Statuto, il nostro pensiero comune, ci indica che il Partito radicale non può non essere, nel medio termine (nel quale dopo 22 anni di attività siamo pienamente entrati), che una conquista dei Partiti radicali. La nostra esperienza e la nostra identità storica ci indicano che le dimensioni territoriali democratiche, le Regioni o altro, non sono nemmeno esse raggiungibili, oggi, se non attraverso i marciapiedi, le strade, le piazze. Non si raggiunge, in questo fascismo, la gente, la classe che attraverso la materialità conosciuta e conquistata dei tavoli, delle schede, della raccolta del denaro e delle firme, cioè della innalzata bandiera costituzionalista e legalitaria, anticonsumistica e antiviolenta della "povertà" quale caratteristica aggregante e unificante, di base e di partenza di un movimento liberatorio, alternativo, maggioritario, come abbiamo sempre voluto essere e non di rado siamo stati.

Non li si raggiunge, non ci si trova, conosce e riconosce, se non con l'umiltà di richieste precise, umili, motivate semplicemente. Dobbiamo tutti in primo luogo ridiscendere nelle strade, con i nostri tavoli e con noi militanti così; la cruna dell'ago della raccolta di almeno un miliardo, come simbolo di forza e di speranza degli umili contro i ricchi, i potenti, i prevaricatori, i disperati e i fanatici.

E' poco per questo, per motivare il nuovo impegno di tanti? Può darsi. Vigevano mi assicura che non siamo più di un migliaio, finora, di iscritti militanti che hanno accettato e praticato la nuova forma di associazione, di autotassazione, per il Partito. Basteremmo in molti di meno, in realtà, per riannodare il filo interrotto, spezzato dalla DC e dal PCI, dal regime nel suo assieme, nella sua disperazione e nella sua paura, nel caos e nella guerra (per ora solo civile, ma per quanto ancora?) che sono l'"emergenza" senza la quale morirebbe anziché farci morire , far morire il Paese.

Intanto, ancora grazie ad Adelaide, all'unico punto fermo che abbiamo, per la sua decisione e intelligenza, che dobbiamo rendere comune alla gente, a tutti noi. I Partiti radicali, anch'essi, non credano di esistere, in quanto tali. I movimenti federati, meno che mai. C'è tutto da costruire. Di nuovo, come un tempo. Siamo in alcune centinaia ad avere gli strumenti, in centinaia di migliaia pronti a usarli, se sapremo diffonderli, socializzarli.

E non è vero che la decisione della Corte, l'assassinio della Costituzione sia sconfitta, altro che particolare e di mera congiuntura, nostra e non del regime. La Costituzione era assassinata nel silenzio e nella incredulità generale dei "liberali", della gente, da trent'anni. Referendum non se ne facevano (tranne uno: contro la democrazia, nel suo oggetto) da trent'anni. Tutto questo era normalità.

Oggi, per quattro referendum che non si faranno, e altri cinque che abbiamo ancora da difendere, a migliaia o milioni rompono dentro di sé con il potere. Quel che era nascosto e negato, ora è evidente. La verità delle nostre analisi e delle nostre proposte è ora fortemente cresciuta storicamente, è socializzata, è affidata non più solamente a noi e a coloro che abbiamo un tempo avuto accanto. La Costituzione assassinata, la strage di legalità, la costruzione materiale, vivente, alternativa a quella repubblicana, l'unità di tutti, dal PCI, al MSI, dal PRI alla DC, attorno al pensiero e alla realtà dello Stato Etico e corporativista, di Bottai, Rocco, Federzoni, Gentile, del patto sociale fra Capitale, Lavoro e Stato, mediato dal "Partito", non è più intuizione o fantasma, incubo o follia di qualcuno, del Partito radicale.

Il Partito radicale, lo Stato di diritto, la Costituzione, l'alternativa democratica e libertaria di classe, il movimento socialista e pacifista, la rivoluzione umanistica sono morti. Viva il partito radicale, lo Stato di diritto, la Costituzione, l'alternativa democratica e libertaria di classe, il movimento socialista e pacifista, la rivoluzione umanistica, battaglie di libertà e di liberazione.

 
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